di Gabriele Mirone
Riceviamo e pubblichiamo come contributo alla discussione sulla storia e il ruolo del movimento operaio nel nostro paese
Era il 16 Giugno 1901 quando a Livorno nacque la Federazione Italiana Operai Metallurgici, nota come Fiom, che rappresenta la più antica organizzazione sindacale di lavoratori metalmeccanici, ad oggi composta da circa 335mila associati (1).
E’ importante ricordare che, fin dalle sue origini, la Fiom fu un sindacato nazionale esclusivamente operaio, fondato sulla base delle esigenze legate allo sviluppo delle forze produttive. L’inclusione della categoria degli impiegati avvenne durante la sua rifondazione nel 1946. Proprio durante i primi anni del XX secolo, con l’espansione dell’industria moderna, avvenne l’apertura di molte fabbriche soprattutto nelle regioni centro-settentrionali del paese, tra le quali ricordiamo il settore automobilistico della Fiat (1899), Pirelli (1872), Alfa (1910); diverse acciaierie come l’Ilva (1905) e la Falck (1906); opifici e industrie di trasformazione alimentare. A capo di questa organizzazione che raccolse in sé molto del proletariato emergente fu il primo segretario Nazionale Ernesto Verzi, un operaio trentenne di Firenze, la cui esperienza fondativa e sindacale è riportata nel libro “I metallurgici d’Italia nel loro sindacato” (2) .
Successivamente, per opera della nuova corrente sindacalista, e grazie anche alla partecipazione delle Camere del Lavoro e le Leghe di Resistenza, venne istituita il 1 Ottobre 1906 la Confederazione Generale del Lavoro, oggi meglio conosciuta come CGIL. Anche se non furono pochi i conflitti tra le frange riformiste e massimaliste durante questo periodo che culminò nel Biennio Rosso (1919-1920), l’egemonia dei sindacati cresceva sempre di più e con questa il riconoscimento dei lavoratori, soprattutto all’interno del rapporto di forza con il capitale. E’ in questi anni che la Fiom, sotto il segretariato del riformista Bruno Buozzi, stipulò il primo contratto collettivo (3) con la Itala (1904-1934) di Torino, il quale regolò questioni essenziali come la nomina stabile di una commissione interna cioè i delegati sindacali (oggi RSU), l’orario di lavoro di 10 ore, la struttura della paga; interessante è quanto riportato dall’articolo 18: “I licenziati – non per loro colpa – saranno indennizzati coll’importo delle ultime 70 giornate di lavoro (…)”. Da questo momento, presero forma sotto iniziativa maggioritaria del sindacato dei metalmeccanici , insieme alle Camere del Lavoro, una serie di rivendicazioni aventi toni anche rivoluzionari (4), da cui scaturirono i numerosi scioperi e occupazioni (si stimarono più di 400 mila occupanti) avvenute nel biennio (5).
Con questi presupposti, la stagione contrattuale nel periodo successivo alla prima “vittoria mutilata” divenne allora più intensa e rivendicativa: vengono firmati i primi accordi nazionali con gli industriali per istituire le otto ore lavorative; si ottengono aumenti salariali; i primi sei giorni di ferie pagati; miglioramenti per gli straordinari e il lavoro notturno. Tali diritti, principalmente ottenuti dai metalmeccanici , furono successivamente estesi ad altre categorie (5). Si raggiunse perfino il “riconoscimento dell’intervento operaio al controllo tecnico e finanziario dell’amministrazione dell’azienda (6)“, ed insieme anche la costituzione e sperimentazione dei primi Consigli di Fabbrica (7) in particolare nella città di Torino, epicentro del sindacalismo rivoluzionario sostenuto dallo stesso Gramsci, nella quale operarono figure centrali della Fiom quali il segretario della sezione torinese Pietro Ferrero e il sindacalista Maurizio Garino, entrambi anarchici.
E’ tuttavia durante la fine del biennio che la dialettica tra tendenze riformiste e rivoluzionarie (anarchiche e socialiste) arrivò ad una risoluzione: l’esperienza delle occupazioni e dei consigli si concluse tramite il referendum del 24 Settembre 1920, con la vittoria delle prime. Le riflessioni sulla “rivoluzione mancata” furono molte, ricordiamo quella di Antonio Gramsci (8), così come gli sviluppi storici, tra i più significativi la fondazione del PCI e l’avvento del “biennio nero”.
Il ventennio fascista, con la sua carica reazionaria, portò alla riaffermazione e consolidamento della borghesia industriale e allo scioglimento di tutte le rappresentanze sindacali, l’abolizione delle commissioni interne e il diritto di sciopero. In particolare, tra le tante violenze perpetuate nei confronti dei “sindacalisti rossi”, la “strage di Torino” avvenuta nel Dicembre del 1922 segnò la morte del segretario torinese Fiom Pietro Ferrero e la distruzione della sede centrale. La segreteria perseguitata continuò a migrare di sede in sede, sino al 1924, anno dell’ultimo Congresso della Fiom prebellica tenuto a Milano tra il 27 e 28 aprile e che precedette di poco il patto di palazzo Chigi, perfezionato con quello di palazzo Vidoni, che vide l’emarginazione e la successiva estromissione dal mondo del lavoro della Fiom (6) e l’esilio in Francia del segretario Buozzi.
Il IX Congresso nazionale tenutosi a Torino nel 1946 riportò sulla scena il sindacato metallurgico, sotto la direzione di Giovanni Roveda, che allargò la sua rappresentanza agli impiegati, raggiungendo i 638.697 iscritti. Nel periodo del dopoguerra, insieme alle scissioni che vedono il costituirsi dell’unità Fiom-Cgil, sia apre un’altra stagione di scioperi e rivendicazioni. Di particolare importanza fu il decennio che culminò nell’ ”autunno caldo”(9) o il “decennio operaio” (1960-70) in cui le ore di sciopero registrate e la perdita di produzione furono da record (10). L’epicentro di questa seconda ondata fu sempre Torino, tant’è vero che l’allora direttore de La Stampa, Alberto Ronchey, in un editoriale pubblicato il 14 settembre 1969, pochi giorni dopo l’apertura del rinnovo del contratto dei metalmeccanici, scriveva: “la lotta degli operai Fiat ci ha messo sotto gli occhi forme e contenuti della lotta di classe in Europa: gli scioperi selvaggi”.
L’esito degli scioperi e occupazioni furono molteplici. Tra i diritti economici e sociali acquisiti troviamo: aumento salariale uguale per tutti (e abolizione delle gabbie salariali); 40 ore di lavoro settimanali; diritto di riunione all’interno della fabbrica e di assemblea retribuita per 10 ore annue; l’istituzione della rappresentanza sindacale aziendale. È questo un punto molto importante anche per quel che riguarda il rapporto degli operai con il sindacato e che culminerà nella rifondazione dei Consigli di Fabbrica (11). Tutto questo venne consolidato con la legge 20 maggio 1970, n. 300, lo “Statuto dei lavoratori”, il cui articolo 18 (norme sul licenziamento, reintegro e indennità) è stato oggi reso innicuo. Nel 1973 la Fiom, insieme alle altre componenti della Federazione lavoratori metalmeccanici, firma il settimo contratto nazionale, acquisendo le 150 ore di diritto allo studio e le quattro settimane di ferie. Seguì l’indennità di malattia, d’infortunio e gravidanza.
Alla fine del “secondo biennio rosso” , definito tale dall’allora segretario generale FIOM Bruno Trentin (12), arriviamo, passando per gli anni 80 e 90, ai giorni nostri. La fine di questa stagione portò nel tempo a cambiamenti radicali nel sindacalismo di sinistra italiano, alla cui base si possono rilevare diversi elementi, tra i quali il disfacimento della sinistra comunista italiana, tutt’ora frammentaria e perlopiù assente (13), e la flessibilizzazione del mercato del lavoro (ricordiamo per esempio il “pacchetto Treu”) che ha fatto perdere molti dei diritti precedentemente riconosciuti, soprattutto ai giovani. La tendenza progressiva che si può allora constatare è un passaggio dalle lotte organizzate alle manifestazioni composte e la raccolta firme, insieme ad una strategia sempre più difensiva e meno rivendicativa.
Nella Cgil ha ripreso così vita la storica anima riformistica, intraprendendo un percorso politico-economico in totale accordo e subalternità alla classe politica dominante e alla borghesia industriale. Da queste premesse è lo stesso Giorgio Cremaschi, storico presidente del Comitato Centrale della Fiom-Cgil, che dopo 44 anni ha abbandonato il sindacato (14) alla luce innanzitutto delle argomentazioni riportate nel documento congressuale “Il sindacato è un’altra cosa” (15), in cui il j’accuse principale è in riferimento alla reazione verso le politiche attuate dal commissariato Monti (3 ore di sciopero per la riforma Fornero) e alla liquidazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Lo stesso Mario Monti ha dichiarato di essere sorpreso dalla facilità con cui riuscì ad applicare le nuove normative.
L’immobilismo si rivela ancora più evidente in questi giorni, in cui la Francia è paralizzata dalle manifestazioni e scioperi dal sindacato CGT (Confederation General du Travail) in opposizione alla riforma del lavoro, la cui versione italiana è stata accettata facilmente. Con questo, vediamo oggi vivere lo storico sindacato sotto la direzione di Maurizio Landini, senza poter ribadire però che la storia passata e soprattutto futura del movimento sindacale degli operai uniti, così come la sua coscienza ed egemonia, sia indissolubilmente legata ad un partito comunista, ricordando quindi, con le parole di Stefano Barbieri (16) che “ l’azione sindacale ha sempre un “doppio rapporto” con la politica: da un lato, incide sulla politica con le sue lotte e i loro risultati; dall’altro, ha bisogno della politica per realizzare alcuni suoi obiettivi fondamentali o per consolidare alcune sue conquiste”. E aggiungerei, il bisogno di una politica comunista.
RIFERIMENTI:
(1) http://www.cgil.it/i-tesserati-2014/
(2) http://www.ediesseonline.it/catalogo/le-opere-e-i-giorni/i-metallurgici-d-italia-nel-loro-sindacato
(3) http://archivio.fiom.cgil.it/itala.html
(4) Si veda: “Crisi della democrazia. La Camera del lavoro di Milano dal biennio rosso al regime fascista” pg . 17-20 di I. Granata, Franco Angeli, 2006
(5) Si veda: “L’occupazione delle fabbriche. Settembre 1920” di P. Spriano, Einaudi, Torino 1964
(6) http://www.centrostudiluccini.it/pubblicazioni/archiviluccini/2/appunti.pdf
(7) Si veda: “L’Ordine Nuovo e i Consigli di Fabbrica. Con una scelta di testi dall’Ordine Nuovo (1919-1920)” di P. Soriano, Einaudi, 1973
(8) Si veda: “Ancora delle capacità organiche della classe operaia” di Antonio Gramsci, l’Unità, 1 Ottobre 1926
(9) http://www.corriere.it/foto-gallery/cronache/14_ottobre_03/1969-l-anno-cui-italia-scoppio-l-autunno-caldo-34d087ec-4aec-11e4-9829-df2f785edc20.shtml
(10) http://archivio.fiom.cgil.it/autunno69/autunno_caldo.htm
(11) “L’evoluzione storica della rappresentanza sindacale aziendale” di Maria Paola Del Rossi e Fabrizio Loreto
(12) Si veda: “Autunno caldo. Il secondo biennio rosso (1968-1969)” di B. Trentin, Editori Riuniti, Roma, 1999
(13) Si veda: “ La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra” di Domenico Losurdo, Carocci, 2014.
(14) http://www.huffingtonpost.it/giorgio-cremaschi/cremaschi-lascio-cgil_b_8140358.html
(15) http://mps-ti.ch/images/testo_definitivo_documento_alternativo-1.pdf
di Gabriele Mirone
Era il 16 Giugno 1901 quando a Livorno nacque la Federazione Italiana Operai Metallurgici, nota come Fiom, che rappresenta la più antica organizzazione sindacale di lavoratori metalmeccanici, ad oggi composta da circa 335mila associati (1).