Ora di religione: l’insostenibile leggerezza di Profumo

di Vito Meloni | da web.rifondazione.it

oradireligioneOra che il fuoco delle polemiche sembra essersi spento, c’è modo di provare a ragionare sulle dichiarazioni di Profumo sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane. 

Comincio con una citazione: “In Italia tira più un pelo di vescovo che milioni di studenti…”. Questa frase, postata da un anonimo su un blog, mi sembra che commenti efficacemente le reazioni a quelle dichiarazioni di una parte del mondo cattolico, corroborate da quelle dei tanti politici sempre pronti a genuflettersi davanti agli interessi delle gerarchie ecclesiastiche.

C’è da dire che Profumo non smette di stupirci per l’approssimazione, spesso condita con una buona dose di demagogia, con cui affronta i complessi problemi in carico al dicastero a lui inopinatamente affidato.

Basti ricordare, solo per citare alcune delle sue perle, dichiarazioni come “36 alunni in una classe possono essere pochi se si usano le nuove tecnologie” (a proposito delle classi pollaio), oppure “il concorso è una opportunità per i giovani laureati” e “i posti del concorso saranno in numero maggiore al sud”  (sul concorso-truffa, affermazioni clamorosamente smentite dal bando che egli stesso ha firmato!). 

In questa occasione, tuttavia, si deve riconoscere che l’ineffabile ministro è partito da un dato di realtà: la presenza nelle nostre classi di una moltitudine di ragazze e ragazzi appartenenti a culture e fedi diverse da quella cattolica (e già, perché non va dimenticato che l’insegnamento di cui si parla non è di religione tout court, ma di religione cattolica). Da qui l’idea di trasformarlo in insegnamento di Storia delle religioni o di Etica.

Tutto bene? Solo se ci si ferma alla superficie del problema; se si va più a fondo si può vedere, invece, quanto la proposta di Profumo sia inadeguata. Il primo dato di fatto con cui fare i conti è che, in virtù del Concordato e delle Intese che ne sono seguite, i programmi di religione sono stabiliti dalla Conferenza Episcopale Italiana. In teoria di concerto con il ministero della pubblica istruzione, di fatto unilateralmente. Ad esempio, quando la Gelmini nel 2010 ha adottato i programmi attualmente in vigore, si è limitata a trasmetterli alle scuole così come le erano pervenuti dalla CEI. Sicuramente sarà stata ben felice di farlo, ma se per caso avesse voluto dire la sua si sarebbe scontrata con la competenza esclusiva della CEI, stabilita da una legge dello stato, a “definirne la conformità alla dottrina della Chiesa”! Come se non bastasse, i docenti cui è affidato l’insegnamento della religione cattolica sono sì pagati dallo stato, ma scelti ad insindacabile giudizio dell’Ordinario diocesano competente per territorio. Per inciso, sono circa trentamila, la gran parte a tempo indeterminato, assunti senza alcuna selezione e con la garanzia che, dopo alcuni anni di servizio, saranno immessi in ruolo automaticamente (per loro le chiacchiere sulla asserita selezione per merito attraverso il concorso evidentemente non valgono!). 

A meno di non pensare che Profumo avesse in mente la revisione del Concordato, ipotesi da egli stesso smentita dalle colonne del Corriere della sera, ne consegue che il nuovo insegnamento sarebbe affidato agli stessi docenti di religione e che i relativi programmi sarebbero sempre definiti dalla CEI in “conformità alla dottrina della chiesa”. Lascio a voi immaginare con quale obiettività e con quanto rigore scientifico.

Peggio ancora nel caso l’insegnamento diventasse di Etica! Ci sarebbe già da preoccuparsi per l’introduzione di un’etica di Stato, figuriamoci poi se lo Stato è quello Vaticano!

Ecco dunque il punto: può un Ministro della Repubblica affrontare un tema così delicato con tanta leggerezza? Piuttosto che aprir bocca e dargli fiato su argomenti che evidentemente conosce poco, Profumo farebbe meglio ad occuparsi di quello che il suo ministero può concretamente fare. Perché, malgrado l’insegnamento della religione cattolica sia facoltativo, come autorevolmente ribadito dalla Corte Costituzionale, la strada di chi non intende avvalersene è irta di ostacoli tali da rendere quanto meno problematico l’effettivo il diritto di scelta da parte degli studenti. Chi conosce la realtà delle nostre scuole sa che in troppi casi, nell’indifferenza degli organi di controllo, a partire dal Ministero e dai suoi uffici periferici, le opzioni previste dalla legge non sono rese praticabili. In particolare, non vengono tempestivamente programmati e a volte nemmeno attivati gli insegnamenti alternativi. Nella maggior parte dei casi l’unica alternativa possibile è quella dello “studio individuale”, che nella pratica si traduce nel mettere insieme in una classe gli studenti che non si avvalgono, a volte senza nemmeno la vigilanza di un insegnante, che pure sarebbe dovuta.

Lo stesso non accade per chi si avvale dell’IRC. Se, per esempio, in una classe un solo studente la scegliesse, a lui sarebbe garantito l’insegnante di religione. Un insegnante per un solo studente, in questo caso non c’è spending review che tenga. Lo sanno bene quei presidi che hanno tentato di gestire queste situazioni accorpando gli studenti di classi diverse e che per questo hanno dovuto affrontare le ire delle gerarchie ecclesiastiche spalleggiate, neanche a dirlo, dai provveditorati scolastici. Su di loro l’ira di Dio, come titolava con la solita efficacia il manifesto qualche giorno fa.

Certo, affrontare queste piccole questioni non sarebbe risolutivo del problema della laicità dello Stato e delle sue istituzioni, la strada maestra resta quella dell’abrogazione delle norme concordatarie.

Ad ordinamento vigente sarebbe tuttavia un piccolo passo avanti.

Si impegni in questa direzione signor Ministro. Per poco che valga avrebbe il mio plauso.