La scuola riapre, la lotta deve ripartire

buona scuola non la vogliamodi Luca Cangemi, Associazione per la ricostruzione del Partito Comunista

Si torna a scuola. Non è un ritorno sereno. Lo scorso anno scolastico si è chiuso con un atto di prepotente arroganza: l’approvazione della legge beffardamente chiamata della “Buona scuola”. Una legge, approvata a colpi di fiducia, minacce ed inganni mediatici, nonostante l’opposizione totale ed inequivocabile del mondo della scuola che si è espressa in un enorme sciopero generale, nell’occupazione delle piazze di ogni parte d’Italia, nella contestazione dei test INVALSI che ha trovato la larga partecipazione degli studenti e delle famiglie, nel blocco temporaneo degli scrutini.

Di fronte a questo movimento il renzismo ha mostrato il volto feroce di una politica espressione integrale del paradigma di Marchionne che ha imposto una concentrazione assurda dei poteri nelle mani di presidi-califfi che colpisce al cuore la libertà d’insegnamento e apre le porte ad un clientelismo disgustoso, l’apertura alla speculazione privata nella gestione degli istituto, la distruzione di ogni garanzia nel rapporto di lavoro per insegnanti e assistenti tecnico-amministrativi.

Questa distruzione della scuola disegnata dalla Costituzione, che rappresenta l’organico compimento dell’iniziativa di lungo periodo dei settori più reazionari del paese (dai convegni sulla scuola della fondazione Agnelli agli editoriali di Panebianco, dalle leggi della Gelmini alla politica scolastica della regione Lombardia), è stata nascosta propagandisticamente dietro la stabilizzazione di una parte del precariato, per altro imposta al governo da una sentenza della Corte di Giustizia Europea.

Abbiamo visto in questi giorni d’estate di cosa si trattava in effetti: un altro trasferimento coatto di lavoro intellettuale dal Sud al Nord, compiuto questa volta non solo sotto la frusta del ricatto economico ma per obbligo di legge e con modalità, come la proposta di contratto che arriva con una mail nel cuore della notte, che sfioravano il sadismo.

L’anno scolastico inizia dunque così in un clima pesante e preoccupato. Pesante perché gli effetti dell’atto di prepotenza renziano sono già adesso pienamente percepibili nel loro carattere regressivo sul clima stesso che si respira negli istituti; preoccupato perché la cosiddetta riforma, attraverso il meccanismo delle deleghe, ha depositato ulteriori mine sul sentiero della scuola pubblica; e nei prossimi mesi il governo avrà carta bianca per intervenire su altri aspetti delicatissimi della vita del sistema dell’istruzione. Basti pensare che si prepara un attacco su larga scala al diritto allo studio degli alunni e delle alunne con disabilità, uno dei tradizionali punti forti, riconosciuto a livello mondiale, della scuola pubblica italiana.

Preoccupazione però non significa rassegnazione. Il grande movimento che si è manifestato tra aprile e giugno se non ha conseguito l’obiettivo di fermare il disegno di legge governativo ha però suscitato forze significative.

Esso non solo ha rappresentato la prima, serissima crisi nella macchina del consenso di Renzi, ma ha mostrato su un piano più generale le potenzialità di mobilitazione e di critica dell’esistente del lavoro intellettuale di massa, una dimensione che va ben oltre il sistema della formazione ed investe una dimensione essenziale del capitalismo contemporaneo e quindi della lotta contro di esso.

Bisogna dunque riannodare i fili della lotta, credo, su tre versanti: la resistenza agli effetti della riforma “scuola per scuola”, una ripresa unificante di mobilitazione nazionale, la costruzione di un più generale movimento di lotta contro la politica del governo. Tre aspetti fortemente connessi.

Nelle scuole il movimento di questi mesi ha dato un’occasione di ripresa di ruolo alle RSU. Attorno ad esse ed ai comitati ed ai coordinamenti che sono sorti in ogni parte del paese, si può svolgere una gramsciana guerra di posizione che tenga alta la critica allo spirito della riforma e limiti gli effetti dei nuovi poteri dei presidi sulla gestione del personale e sulle disparità retributive.

Sul piano nazionale vi è da impostare una campagna referendaria, intelligente ed unitaria, che sia una grande occasione di critica all’azione del governo rivolta a tutti i cittadini ed i lavoratori e che rafforzi l’iniziativa per contrastare le infamie con cui verranno riempite le deleghe.

Bisogna riaffermare la consapevolezza che le scelte sulla scuola, ancor più che nel passato, sono scelte generali. Esse riflettono in modo stringente i rapporti di forza politici e sociali del paese e, per converso, una piattaforma di cambiamento non può essere nemmeno immaginata senza una forte investimento di idee e di iniziative sulla questione scuola. E’ quindi necessario un forte impegno per riattivare le energie che si sono mobilitate nei mesi scorsi, dentro un quadro di lotta generale contro le politiche del governo che sappia cogliere i nessi, del resto evidenti, tra i vari interventi (dal jobs act al pubblico impiego, al sistema previdenziale, alla sanità). Su questo si possono e si devono costruire processi unitari nella sinistra politica, sindacale, intellettuale.