di Luca Cangemi
Sulla scena del capitalismo occidentale contemporaneo la figura sociale del “giovane” è al centro di un campo di tensioni fortissime, al limite della schizofrenia ideologica. Quanto più tendenze profonde (innanzitutto la dinamica demografica), scelte politiche, economiche concrete e meccanismi della rappresentanza politica (il paese guida dell’occidente pensa di continuare a affidarsi a un ultraottantenne neanche troppo lucido) disegnano una società vecchia, in cui per le giovani generazioni il protagonismo è precluso e gli stessi spazi di autonomia personale negati, tanto più la figura del giovane costruita socialmente viene enfatizzata, su di essa si costruiscono i paradigmi della vita associata e del consumo.
Senza queste considerazioni è impossibile capire l’attenzione spasmodica che viene riservata agli esami di maturità innanzitutto dai media ma anche dai ceti politici e intellettuali. Gli esami che concludono il percorso scolastico si configurano come il tipico “rito di passaggio” in cui il giovane entra in società. Un momento da ricordare per sempre. Assolutamente esemplare il messaggio che attraverso un portale studentesco la Meloni rivolge ai maturandi: con la maturità “si apre un capitolo completamente nuovo per la propria vita” .. diventate “i padroni del vostro destino”. Difficile immaginare qualcosa di più lontano da quest’enfasi delle concrete condizioni a cui si troveranno di fronte la grande maggioranza dei giovani che, tra qualche settimana, saranno “maturi” con l’accesso sempre più difficile alle facoltà universitarie, la prospettiva di lavoretti precari e di una lunghissima permanenza in famiglia.
Ovviamente un appuntamento con queste caratteristiche e questa copertura mediatica, anche nel suo svolgimento è segnato da messaggi ideologici e politici, in particolare nelle tracce della prima prova scritta. E quest’anno, prima maturità del governo di destra, non poteva essere diversamente. Messa da parte la mancanza di stile di un compito della maturità basato su di una lettera critica verso un ex ministro (peraltro pessimo), episodio significativo del carattere rissoso e miserabile dei ceti politici italiani, sono soprattutto due le tracce ideologicamente significative. E a scanso di equivoci ce le indica il ministro della cultura Sangiuliano: la traccia sull’idea di nazione declinata da Federico Chabod e quella basata su un testo di Oriana Fallaci.
Notato che – considerate le letture di gran parte degli ambienti governativi attuali – sull’idea di nazione si potevano temere testi di autori molto peggiori di Chabod, appare chiaro come l’operazione proposta sia quella di coniugare un forte accento sull’idea di nazione con il liberalismo e l’europeismo. Cioè, esattamente il problema politico che si trova di fronte il governo. Per non farci mancare proprio nulla Calderoli (che, a rigore di termini, sta lavorando per sfasciare la nazione con l’autonomia differenziata) esalta le posizioni autonomiste e federaliste di Chabod. Complessivamente si tratta di un’operazione certo non filologicamente e intellettualmente onesta (tra l’altro il brano proposto è tagliato in modo assai discutibile) ma molto abile e molto rilevante perché allude al problema generale dell’unificazione ideologica delle classi dirigenti italiane.
Ancora più esplicito è il significato del rilancio della figura di Oriana Fallaci: costruire un pensiero occidentalista radicale, adatto ai tempi di guerra. Non a caso i commenti si sono indirizzati non tanto verso il testo proposto, quando verso la figura della Fallaci, verso le posizioni anche estreme che caratterizzarono l’ultima parte della sua vita.
Il discorso pubblico intorno alla maturità si è quindi sviluppato intorno alla proiezione politico-mediatica dell’evento, del tutto assente è stato, invece, un elemento che sarebbe stato naturale: la riflessione sullo stato della scuola italiana.
Questo silenzio ha, anche, un motivo di ordine politico: la sostanziale continuità delle scelte sulla scuola del governo Meloni con quelle degli esecutivi precedenti. Dalla destrutturazione della funzione docente al taglio del tempo scuola, dalla subordinazione sempre più evidente al sistema delle imprese allo scandalo dell’INVALSI, dall’irrisolta questione salariale dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola al problema del precariato: non vi è capitolo rilevante in cui le scelte del governo Meloni e del suo ministro Valditara non hanno accentuato tratti tipici della lunga stagione di controriforma che vive la scuola italiana e che ha trovato nel PNRR un ombrello e uno strumento di accelerazione. Questa continuità, in particolare rispetto a Draghi, ha anche garantito l’assenza di ogni intervento critico da parte dell’opposizione parlamentare. E quindi l’assenza di ogni attenzione.
Valditara, oltre a fare disciplinatamente l’amministratore delegato della controriforma del sistema dell’istruzione , secondo linee già tracciate, si è dedicato soprattutto a usare la scuola italiana per un perseverante lavoro ideologico. L’atto più noto (e più grave) del ministro è la lettera, intrisa di un anticomunismo feroce, rivolta agli studenti italiani, il 9 novembre in occasione della ricorrenza della caduta del muro di Berlino. Con quella lettera il ministro dell’istruzione collocava la scuola in modo inaudito, i mesi successivi sono stati coerenti con questa impostazione (basti pensare all’intervento dopo l’aggressione squadrista agli studenti di Firenze). Fino alla maturità.
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