di Francesco Galofaro, Università IULM di Milano
La lista pacifista di Santoro vale l’1,4% sul mercato elettorale: è quanto sostiene un sondaggio di ixè del 3 novembre sulle intenzioni di voto degli italiani. È la prima volta che il dato viene rilevato; andrebbe preso con una certa cautela. Occorrerà attendere per capire se questo numero tenderà a crescere, man mano che salirà la notorietà della lista, o si manterrà stabile, andando incontro al consueto insuccesso dei cartelli elettorali di sinistra radicale.
Questa prima rilevazione non è molto incoraggiante, se si pensa all’esposizione mediatica di molti protagonisti dell’operazione politica: Odifreddi, Cacciari, Marc Innaro, Vauro, Fiorella Mannoia, Valeria Golino e Marisa Laurito, oltre ad una serie di personaggi legati al mondo un po’ blasé del post-marxismo come Bertinotti, Vendola e Luciana Castellina. Questo pranzo di gala rivoluzionario è stimato meno della lista di Paragone, data al 2%; il peggio è che l’1,4% è lo stesso risultato che Unione Popolare aveva preso alle elezioni politiche del 2022, presentandosi senza uomini-immagine e con un ampio programma, evitando di cavalcare esclusivamente la questione della guerra.
I problemi del pacifismo
Quali difficoltà minacciano il decollo di Santoro e De Magistris? Secondo i sondaggisti, c’è un eccesso di offerta politica ambientalista, movimentista, pacifista, anticapitalista, anti-atlantista che pesca nel medesimo bacino elettorale, la cui ampiezza è stimata in un 4%; inoltre, i movimenti monotematici non funzionano. Non solo la sinistra radicale è divisa e autoreferenziale; per di più va all’esame delle urne preparandosi su un solo argomento.
Eppure, secondo un sondaggio di Quorum/YouTrend per Sky TG24, il 56% degli italiani oggi ritiene che l’Italia dovrebbe divincolarsi dalla guerra Ucraina-Russia. Il morale delle truppe è basso: il 45% degli intervistati ritiene che il conflitto, spesso giustificato come la lotta finale del bene contro il male, si concluderà con un compromesso tra diavolo e acquasanta. Come mai la stanchezza degli italiani nei confronti della guerra non si è tradotta, fin qui, in un ampio consenso per Santoro?
Il problema delle liste a tema è che la cultura politica che le ispira scambia i risultati dei sondaggi d’opinione per la visione del mondo degli elettori. In realtà, questi decidono per chi votare considerando un insieme di temi urgenti. Oltre all’impoverimento e all’instabilità economica legata alle guerre, ad esempio, vi sono preoccupazioni diffuse legate al sistema sanitario o alla criminalità, per citare due evergreen. Quindi, perché un elettore Cinque stelle dovrebbe smettere di votare per Conte, del quale condivide le posizioni sull’economia e sullo stato sociale, e premiare Santoro, che si presenta per ultimo ed esclusivamente sulla questione della guerra? E se un elettore del PD ritiene che Elly Schlein difenda complessivamente i suoi interessi materiali, dovrebbe smettere di votarla solo perché non ne condivide la posizione sulla guerra? Questo è il motivo per cui una coalizione di governo può permettersi di “sfidare” l’opinione pubblica su singole questioni, trasformando, paradossalmente, una posizione impopolare in un valore.
Il “messianismo mediatico” della sinistra radicale
Marx21 ha spesso ospitato, anche ultimamente, molti interessanti interventi e analisi sulla crisi della sinistra dopo la fine del PCI; dovremmo tuttavia interrogarci di più su quel che è successo negli ultimi anni, dal fallimento della sinistra arcobaleno in avanti, se vogliamo trarne conseguenze utili sul piano della prassi. In questo periodo la sinistra si è comportata come una giocatrice d’azzardo, che, avendo perduto forti somme, tenta di rifarsi con la scorciatoia di una vittoria rapida. Mentre i Cinquestelle crescevano e si radicavano utilizzando forme politiche nuove e aggiornate e mezzi di comunicazione alternative ai media tradizionali, la sinistra postmarxista dava vita a cartelli elettorali quali la Federazione della sinistra, Rivoluzione civile, L’Altra Europa, Potere al Popolo, La Sinistra e Unione Popolare, affidandosi a testimonial come Ingroia, De Magistris, Tsipras e – oggi – Santoro nel tentativo di ottenere un’esposizione mediatica. Ogni volta, la continuità del lavoro politico svolto sul territorio e l’identità delle organizzazioni politiche vengono sacrificate e oscurate da simboli improbabili, e la discussione si sposta dal bilancio sull’attività politica al gradimento del testimonial.
Si tratta di una sinistra malata di una forma di messianismo mediatico. In questo fenomeno si distinguono tre componenti:
- un messia carismatico dotato di esposizione mediatica, ma privo di categorie ed esperienza politica;
- piccoli gruppi dirigenti sbandati in concorrenza tra loro, disponibili a trasformarsi in un clero che medi tra il messia carismatico e il popolo, e allo stesso tempo manipolare il leader;
- residui a macchia di leopardo di ciò che un tempo era un radicamento territoriale, che occorre ricucire temporaneamente per diffondere il verbo elettorale del clero suddetto;
Il collante ideologico è la strenua convinzione che il messaggio che si vuol far pervenire all’elettore sia in sé comprensibile e convincente, e che la sua inefficacia sia causata esclusivamente dall’oscuramento mediatico (colpa, dunque, del canale di comunicazione), il che rivela per lo meno una scarsa propensione all’autocritica. Le cose non stanno così: al giorno d’oggi, infatti, non mancano certo canali più democratici e pervasivi entro cui far circolare i propri messaggi, mentre alcuni media tradizionali, in primis la stampa, soffrono una chiarissima crisi di credibilità e di lettori.
Il dilemma del post-marxismo
Come si è detto, le insufficienze culturali dei gruppi dirigenti sopravvissuti al disastro della sinistra arcobaleno hanno lasciato campo libero ai Cinquestelle, oggi egemoni. Occupano un vasto spazio a sinistra e garantiscono al proprio elettorato l’efficacia del voto. In questo contesto, i gruppi dirigenti della sinistra radicale hanno due scelte per sopravvivere:
- rimanere rinchiusi nel recinto rappresentato dal 4% di elettori potenziali da dividere per la pletora di movimenti comunisti, socialisti, laburisti esistenti;
- traghettarsi verso i Cinquestelle per esercitare un’influenza ideologica nei confronti di quel soggetto politico;
Questo è in fondo il senso dell’operazione di Santoro, almeno per una parte del clero che lo sostiene: dimostrare a Conte che è nel suo interesse aprire un dialogo che, fin qui, ha rifiutato contando sul loro insuccesso elettorale. Insuccesso che, a giudicare dai rilevamenti iniziali, sembra ancora una volta l’esito più probabile.
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