di Alessandro Squizzato
A maggior ragione in un momento come questo la materia delle tasse diventa delicata e ogni populismo o schematismo sono nemici della verità. Tutta la spesa pubblica che si traduce in assistenza, servizi e diritti dei cittadini va difesa (anche contro gli attacchi privatizzatori) e lo si può fare solo con una sana tassazione, ma la domanda resta sempre la stessa: chi paga?
All’inizio della manovra “Salva Italia” il governo si è dato una risposta: paga chi è di più e chi è più affidabile. È più facile prelevare una somma relativamente contenuta ai molti già innervati nelle maglie dell’agenzia delle entrate tramite i 730 o le ritenute alla fonte, oppure con le imposte indirette, piuttosto che prelevare molto ai pochi ricchi e ricchissimi.
Quindi no alla patrimoniale, misura derubricata frettolosamente ma la cui efficacia e opportunità nessuno ha osato smentire, aumento tendenziale delle addizionali comunali irpef e – ancora di più – l’IVA al 21% e l’aumento delle accise benzina. Queste ultime imposte indirette e quindi identiche sia per il pensionato con la minima che per il milionario e per questo particolarmente inique.
E poi l’IMU.
Di per sé una tassa sugli immobili, si dirà, ragiona come una patrimoniale: più grande è la casa più alta è la tassa. E poi va ai comuni quindi è anche federalista. Non è del tutto vero.
L’ IMU ignora il capitale complessivo di una persona o di una famiglia, colpisce la casa, magari ricevuta per eredità e unico bene rilevante.
Se per le seconde case le particolarità di questo tipo possono essere meno, per i possessori di prima casa in un paese notoriamente di proprietari di casa dove ogni onesto lavoratore appena ha potuto si è comprato un tetto, l’incoerenza tra l’IMU e il benessere complessivo di un cittadino diventa più probabile.
Metà dell’incasso andrà allo Stato. Ma i “ritocchi” delle amministrazioni comunali graveranno solo sui comuni quindi ogni amministrazione si guarderà bene dall’abbassarla, visti i grossi guai in cui versano già le finanze degli enti locali. La tendenza sarà quindi di aumentare l’aliquota dello 0,76% sulle seconde case.
Ma anche qui ci sono grossi problemi.
Per la normativa del governo figura come seconda casa anche l’abitazione di un internato in ospedale o in casa di riposo, che quindi non abita più lì non certo per sfizio. Con ulteriore aggravio per i parenti che con tutta evidenza dovranno pagare di tasca propria.
Così come non si distingue tra gli edifici necessari all’attività produttiva e quelli semplicemente a disposizione: le botteghe dei piccoli artigiani o esercenti, categorie già in grosso affanno per la crisi, non hanno alcuno sgravio.
A conti fatti l’IMU, così come consegnato dal Governo ai Comuni, è una imposta approssimativa, che taglia con l’accetta ogni particolarità sociale e genera una tale mole di casi particolari ingiusti da rendere un caos anche capire come pagarla. L’affronto finale viene dalla statistica: proiezioni alla mano l’aumento medio rispetto all’ICI riguarda più i poveri dei ricchi. Una casa di lusso pagherà una imposta proporzionalmente poco maggiorata alla vecchia ICI rispetto ad una casa modesta.
Si sarebbe potuto fare altrimenti? Si. Due cose molto semplici su tutte: con una patrimoniale sui ricchi (non sono in crisi i consumi di fascia alta in Italia, ma quelli popolari), recedendo da una parte consistente dei 15 miliardi preventivati per i noti caccia bombardieri F35, si sarebbe evitato di gravare sulla gente comune, pensionati e lavoratori, ammazzando i consumi.
Ma si può fare qualcosa anche adesso.
L’azione dei comuni può intervenire sulla seconda o terza rata dell’IMU, è più di una opportunità, correggerne le ingiustizie è un dovere verso i cittadini. Certo sarebbe più semplice avendo una seria previsione di bilancio, cosa che mi risulta molte amministrazioni comunali non siano state in grado di fare.
Dove la distribuzione di prime e seconde case lo consente si può abbassare l’aliquota sulla prima casa dello 0,2% alzando per bilanciare quella sulla seconda casa. Da qualche parte, come a Polistena (RC), è già stato fatto.
Ma ovunque è d’obbligo correggere lo scempio davvero offensivo sulle case degli internati e correggere le aliquote sugli edifici produttivi.
Da ultimo l’addizionale comunale. Da tempo ormai lo andiamo ripetendo: i comuni possono riparametrarla: lo facciano secondo gli scaglioni nazionali dell’IRPEF. Da una fascia di esenzione sotto i 15.000 lo portino dallo 0,4 allo 0,8 secondo il reddito di chi lo paga, facendone una imposta progressiva oltre che proporzionale.
Sono delle misure relativamente piccole, che parlano all’ immediato ma che per molti uomini e donne che lavorano significano una cambiamento radicale del bilancio famigliare.
Faremo queste proposte in ogni consiglio comunale in cui riusciremo ad arrivare, i tempi sono stretti ma si può ottenere un prelievo fiscale più giusto ed è responsabilità che le amministrazioni si devono prendere.