Sui Forconi

di Fosco Giannini per Marx21.it

forconi0Vi sono alcuni fatti, emersi in questi giorni in modo inquietante all’interno delle manifestazioni dei Forconi che, se non hanno la forza di descrivere ancora, e in modo esauriente, la natura sociale complessiva di quel movimento, hanno tuttavia la forza di indicarne, di evocarne, l’essenza politica e “culturale”, di carattere palesemente populista e reazionario. Vediamo alcuni di questi fatti e solo alcuni, poiché la crescita tempestosa del movimento – troppo rapida per non essere ambigua; troppo organizzata capillarmente sul piano nazionale per essere “spontanea” – ci impediscono ancora di verificare ciò che va accadendo a livello territoriale. A Torino, innanzitutto, i Forconi tentano di aggredire gli operai e i dirigenti della FIOM, giustamente individuata (non dall’intero movimento in piazza, ma dai suoi capi, ed ecco l’egemonia oscura e reazionaria sul movimento) come l’organizzazione d’avanguardia e di classe della CGIL, e dunque particolarmente invisa al qualunquismo conservatore incline invece – volens/nolens- alla subordinazione al capitale e alla rappresentazione oggettiva dei suoi interessi.

Secondo: nel centro di Savona alcuni manifestanti del movimento “9 dicembre” tentano un’incursione nella libreria Ubik, ordinando brutalmente ai commessi presenti di chiudere la libreria e bruciare i libri: che i militanti dei Forconi lo sappiano o meno, essi hanno usato la stessa parola d’ordine (“i libri al rogo!”) che usava Goebbels nel 1933, nella fase di crescita del nazismo. Ci chiediamo: quale rapporto hanno stabilito “i disperati” del “9 dicembre” tra la loro condizione sociale e il progetto di dare a fuoco ad una libreria? Anche in questo caso è del tutto evidente da quale melma “culturale” traggono ispirazione tanti dirigenti e tanta parte dei “moti d’animo” della testa politica del movimento: melma fascista. E ancora: a Torino le ronde dei Forconi battono i quartieri con le mazze in mano, ordinando ai commercianti di chiudere i negozi ancora aperti, battendo le mazze sulle serrande già chiuse per aumentare cupamente il senso dell’intimidazione e del terrore. Anche qui, in questo modo di muoversi, di “far risuonare il tacco degli stivali”, il pensiero non può non andare ai raid nazisti nei quartieri ebrei o ai raid fascisti nei quartieri operai. Come a quei raid si pensa quando si vedono i commercianti spintonati violentemente dai Forconi e rinchiusi nei loro negozi; e a già conosciute e brutali violenze fasciste si ripensa quando si vedono le persone allontanate prepotentemente dalle porte degli ipermercati, specie di periferia, dove le forze dell’ordine non possono intervenire, dove è più facile disseminare la paura. Ancora: ad Ivrea un camionista dei Forconi fa girare continuamente il suo Tir attorno ad una rotonda, lo sposta da un presidio a un altro, lo muove con manovre volutamente frenetiche, urlando, intimidendo i passanti, bloccando ovunque la circolazione e seminando paura. Dal Piemonte alla Puglia, sino all’intero sud d’Italia, passando per Ancona, il ruolo dei camionisti legati ai Forconi è stato d’avanguardia nel paralizzare le città e disseminare paura ed ansia, con una modalità d’azione violenta e prepotente; non con l’intento di conquistare simpatia tra i cittadini e i lavoratori, ma con quello di ridurli ad un silenzio impaurito e alla passività. Stile fascista. Questi camionisti, infatti, ( questi, non tutti i camionisti) non ricordano – nell’essenza – quelli che dettero una grossa spallata al governo Allende, in Cile, contribuendo a spianare la strada a Pinochet? La lista delle azioni di carattere squadrista del movimento, poiché estese all’intero territorio nazionale, sarebbe molto lunga e ci fermiano qui, cristallizzando un centro della riflessione: le azioni dei Forconi, nella meccanica del loro svolgimento, hanno avuto, sinora, un punto comune: l’evocazione della violenza, un’evocazione che ha superato la prassi della violenza stessa ma non per questo è stata meno efficace nel costruire una paura di massa. Un’evocazione della violenza – oltretutto – senza progetto politico e sociale annunciato, dunque ancor più capace, nel suo mistero, di disseminare angoscia sociale, base materiale per ogni movimento di destra. Anche se più evocata che liberata, dunque, la violenza apparentemente priva di pensiero ha chiaramente rimandato – non attraverso un documento politico, un manifesto ideologico, ma direttamente dal campo d’azione – ad un intento sovversivo a tinte oscure.

Questa è la prima considerazione che oggi, allo stato delle cose, abbiamo potuto trarre dalle “gesta” concrete che i Forconi hanno palesato nelle piazze e nelle strade.

Vi sono poi altri due angoli visuali dai quali trarre ulteriori riflessioni. Il primo è quello relativo alla “semiologia” del movimento, l’analisi dei suoi segni esteriori. Il secondo è quello relativo alla “semantica” del movimento, l’analisi del suo linguaggio.

Per ciò che riguarda l’aspetto dei segni esteriori: nei cortei del ” 9 dicembre”, nelle piazze d’Italia, diffusissimo è il nero dei giubbotti, il nero dei guanti, dei maglioni, degli stivali; come in ogni altra manifestazione nazionalista, di destra e di estrema destra, è la bandiera italiana – utilizzata a sostegno di grumi oscuri di idee e tirata fuori dalle sedi della destra e dell’estrema destra- a sventolare ovunque e sono le teste rasate, spesso, troppo spesso, a coniare e lanciare le parole d’ordine nei cortei, a guidarli, ad egemonizzarli. Nelle piazze, specie quelle di provincia, dove è stato più difficile nascondersi tra il “popolo disperato” delle metropoli, sono stati direttamente i nazifascisti di Forza Nuova, dei diversi gruppi dell’estrema destra, degli ex “missini”, degli ex “AN”, persino degli odierni Fratelli d’Italia a gestire i presidi dei Forconi. E ciò non può essere stato casuale, ma il prodotto organizzativo di una rete di relazioni costruita precedentemente, a noi sconosciuta nel suo farsi ma certamente attiva da tempo. Probabilmente dai primordi del movimento siciliano, infiltrato sino al midollo, e infine eterodiretto, dalla mafia. La stessa mafia, quella dei “clan”, che in questi giorni, in Puglia pare essere molto attiva a sostegno dei Forconi baresi e leccesi.

Vi è poi la “semantica” del movimento, le sue parole. Il leader torinese dei Forconi, Andrea Zunino, ha espresso con chiarezza, sui media locali, il proprio pensiero: “Bisogna fare come in Ungheria; bisogna costruire un governo come quello di Viktor Orbàn”. Un governo di destra, razzista, fascista, dunque. E anche antisemita, poiché Zunino, perdendo ogni inibizione tra i fumi dell’improvvisa notorietà, ha rilasciato alla stampa dichiarazioni chiarissime, rispetto agli ebrei : “L’Italia è schiava dei banchieri ebrei…Non ho le prove ma penso che Hitler si sia vendicato con l’antisemitismo del voltafaccia dei suoi iniziali finanziatori americani”. La parola d’ordine più diffusa, naturalmente è “via tutti i politici dal Parlamento”, per fare cosa, sul piano strategico, nessuno ancora lo dice, nessuno è in grado di dirlo, ma attraverso quale tappa intermedia in molti – dentro il movimento – cominciano a rivelarlo: attraverso un governo composto da militari e da forze dell’ordine. Da Masaniello a Pinochet: la via intrapresa è quella maestra e tradizionale dei moti fascisti. Nulla sul piano dell’elaborazione politica e del progetto, ma ciò che si evince dalle urla di piazza è chiaro: i nemici principali sono “i politici” e “la politica” e, benché a volte anch’essi criticati, i nemici principali non sono il profitto capitalista, la speculazione finanziaria, l’ordine liberista. Che, al riparo dal moto distruttivo, paiono essere già pronti a fingere di ravvedersi un po’ per poi offrirsi come accoglienti approdi del movimento (borghesia italiana e francese degli anni ’10 e Mussolini insegnano). Naturalmente, le tre paroline ( secche come la dimostrazione finale di un teorema) che superano la nebbia ideologica del movimento fornendogli chiarezza espressiva e sintesi politica; le tre paroline che mobilitano a livello di massa, racchiudendo in sè il pensiero in potenza del movimento sono : ” Marcia su Roma! “, sin troppo facilmente collocabili nell’orizzonte storico e ideologico.

Alla luce di tutto ciò chi scrive ha trovato quantomeno stravagante un articolo di Marco Revelli (“L’invisibile popolo dei nuovi poveri”) apparso su il manifesto del 12 dicembre (http://ilmanifesto.it/linvisibile-popolo-dei-nuovi-poveri/), nel quale, nell’essenza, si rimarca il carattere “popolare” delle manifestazioni dei Forconi, si ricorda il fatto che i manifestanti provengono in gran parte dalle aree sociali disperate del Paese e, dunque – pensiero finale revelliano- sarebbe sbagliato collocare questo movimento nell’area della destra o subordinato alla mafia ( ma la mafia, caro Revelli, ha subordinato a sè ben altre forze, anche statuali, che il movimento dei Forconi…).

Qui, è del tutto evidente, si apre una questione, sul piano politico e culturale, dirimente. Per affrontare di petto il problema: anche quello dei reduci prodotti dalla smobilitazione dell’esercito italiano nella Prima Guerra Mondiale era un popolo di disperati senza futuro. Ma questa loro condizione sociale ed esistenziale non li salvò dalla fine che fecero: trasformarsi nelle squadracce fasciste al servizio di Mussolini, del grande capitale e dei padroni delle terre. Poiché la questione è chiara: se la disperazione di massa non è organizzata dalle forze comuniste, di sinistra, democratiche, l’egemonia passa alla destra, alle forze oscure, alla mafia, ai fascisti. Che prima guidano il popolo disperato alla distruzione della democrazia borghese e all’instaurazione di regimi a vocazione dittatoriale e antiparlamentare (“tutti i parlamentari sono merda!”, la raffinata e geniale frasetta più in voga tra i Forconi, come, peraltro, tra i “grillini”), per poi riconsegnare il potere nelle mani del grande capitale. E’ nella natura della destra, è la sua sinusoide storica. Ed è del tutto evidente, nella fattispecie, che i Forconi a tutto possono pensare (per chiara e totale mancanza di coscienza di classe) meno che ad una virata a sinistra; sul piano strategico tutto possono pensare meno che all’instaurazione di una dittatura del proletariato. Ma piuttosto, come hanno già affermato, ad una dittatura militare. Strano che Revelli non abbia percepito il pericolo, non abbia scavato sotto la fenomenologia del “popolo disperato”. Chissà se ciò possa dipendere da quella sorta di “movimentismo aristocratico” e lontano dagli interessi concreti delle masse che spesso ha contraddistinto il pensiero politico di Revelli, al quale vorremmo dire che anche l’Associazione Mutilati e Invalidi di guerra partecipò alla costruzione del movimento fascista, nonostante il dolore sociale che indubbiamente incarnava. Comunque, in questa fase sono già in molti a contendersi la guida dei Forconi. Naturalmente, i primi candidati sono coloro che i Forconi li hanno cresciuti in fasce: la borghesia nera siciliana, i pezzi più politicizzati della mafia, l’estrema destra. Ma ora altri provano a mettersi alla testa del movimento, ad utilizzarlo, a cominciare, naturalmente, da tutti i populisti in campo, da Berlusconi, ai leghisti, a Grillo (davvero significativo – ma coerente con l’antiparlamentarismo dei 5 Stelle – il suo appello alle forze dell’ordine di “non difendere i politici,” al fine, dichiarato, di spianare la strada “verso Roma” ai Forconi!). Tutte queste forze annusano la somiglianza tra loro e i Forconi e fiutano, ben più di Revelli, l’essenza antidemocratica del movimento.

Tutto ciò, a cominciare dalla cifra politica e culturale dei Forconi, ci fa dire chiaramente, tra l’altro, che davvero illusoria e impossibile a praticarsi è la teoria – che alcune frange della sinistra hanno avanzato – secondo la quale i comunisti e la sinistra dovrebbero immergersi nel movimento (poichè movimento popolare, come afferma tout court Revelli) e prenderne la guida. Indicazione davvero risibile, a partire dalla consapevolezza che dovrebbe oggi esserci, almeno tra i cosiddetti intellettuali, dei reali rapporti di forza, in Italia, tra comunisti, sinistra di classe e sub cultura populista e di destra a livello di massa.

Vi è una questione, naturalmente, che non si può eludere, una questione per molti versi centrale. Quella dell’Unione europea, delle politiche iperliberiste dell’Ue contro le quali si scaglia la rabbia dei Forconi. Qui, non è davvero difficile capire il paradosso per il quale, oggi, sono le forze oscure, populiste e fasciste – quelle, cioè, storicamente più consustanziali al potere capitalistico – a contestare il liberismo dell’Ue e gli ordini sovranazionali della Banca centrale europea. Il motivo di tanto paradosso è, insieme, semplice e drammatico: se non è la sinistra a guidare la lotta contro il liberismo dell’Ue si lascia tale compito, storicamente decisivo, alla destra. Che, attraverso la leva del vecchio e del nuovo nazionalismo, occupa tutto lo spazio dell’opposizione, sino a divenire maggioranza. In Italia come in Europa. Messaggio chiaro al PD e alle altre forze subordinate all’Ue. Tanto chiaro quanto, sinora, drammaticamente inascolato. Rispetto a ciò, al fatto che il nazionalismo fascista e di destra esprima oggi la critica più dura alle politiche antipopolari dell’Ue e segni di sè il movimento dei Forconi, noi possiamo riprendere e attualizzare le riflessioni di Gramsci sul nazionalismo reazionario degli anni ’10, che partendo dalla critica ai ceti politici dominanti e alle loro politiche antipopolari finì per essere la base materiale dell’avvento del fascismo.

Vi è un punto, però che si articola autonomamente dalla questione: perchè pezzi della borghesia italiana, del capitalismo italiano, stanno strizzando l’occhio ai Forconi? Perchè hanno deciso di concedere loro tanto spazio mediatico? Perchè hanno già aiutato economicamente, assieme alla mafia più organica al sistema di potere capitalistico – seppur ancora da dietro le quinte – il movimento a dispiegarsi su scala nazionale, un movimento così palesemente anti Unione europea? Qui occorre svolgere, seppur sinteticamente, un ragionamento: il capitalismo italiano, specie quello di bassa forza o forza intermedia, non partecipa da protagonista al processo, da decenni in atto, di unificazione sovranazionale del capitalismo transnazionale europeo. Non partecipa da protagonista – per limiti strutturali e meschinità progettuali insite nella propria natura di “capitalismo straccione”, di “nanocapitalismo” – alla costruzione del polo neoimperialsita europeo in essere. E’ sostanzialmente estraneo a questo processo; questo processo lo vede su posizioni subordinate e marginali, lo pone, anche, in condizioni di sofferenza. Il capitalismo italiano – fragilissimo rispetto a quello tedesco, francese e inglese – non è in grado di partecipare, in qualità di soggetto determinante, al processo di costruzione di quel nuovo polo imperialista mondiale (il polo dell’Ue) volto a lottare contro gli USA e il Giappone da una parte e i paesi del Brics dall’altra, per la conquista dei mercati internazionali. Su pezzi del capitalismo italiano, questa estraneità di fondo al disegno unitario gestito dal grande capitale transnazionale europeo agisce come una sorta di propellente ideologico, spostandolo su posizioni nazionaliste e antieuropeiste, avvicinandolo, dunque, alle posizioni populiste che di volta in volta prendono corpo in Italia, dalla Lega a Grillo passando per Berlusconi, e finendo, ora, con i Forconi. In sintesi: il nazionalismo ideologico dei Forconi( che di per sè può benissimo incorporare il liberismo) può oggi essere più che funzionale al nazionalismo (già liberista) di quei pezzi – consistenti – del capitalismo italiano tenuti ai margini dal processo di costruzione del neoimperialsimo europeo. Quando sapremo – se mai sapremo – quanto, in termini economici questo pezzo di capitalismo italiano, assieme alla mafia, ha investito sui Forconi tutto sarà più chiaro.

Vi è un’ultima questione, forse la più spinosa. Alla fine degli anni’10 Antonio Gramsci individuava nella passività, nell’inerzia, nella codardia e nella mancanza di un progetto rivoluzionario e di lotta del Partito Socialsita le basi materiali per lo scatenarsi degli assalti squadristi condotti dai “Fasci italiani di combattimento”. Individuava nella tremebonda debolezza dei Socialisti l’espandersi della violenza, del populismo, del nazionalismo e del fascismo. ” Per la vostra inerzia – tuonava Gramsci – non siete nemmeno capaci di difendere una Camera del Lavoro attaccata dalle squadracce fasciste!”. E non meno severa era la critica rivolta al sindacato, alla CGL. Scriveva Gramsci che “Il funzionarismo sindacale ha portato la CGL a perdere l’obiettivo della lotta di classe e l’unico contatto rimasto tra la CGL e le masse è il registro dei conti e lo schedario dei soci”. Purtroppo non dobbiamo fare nessuna forzatura asserendo che il giudizio di Gramsci sulla CGL della fine del primo decennio del ‘900 è perfettamente sovrapponibile al giudizio che noi dobbiamo esprimere sulla CGIL del 2013.

E qui siamo al redde rationem : è del tutto evidente che da oltre vent’anni, in Italia, il disagio sociale e la critica di massa non vengono più rappresentate e gestite dalle forze politiche e sindacali di sinistra e che in quest’ultima fase l’assenza dal campo della lotta sociale della CGIL apre spazi immensi al populismo fascistoide dei Forconi. La responsabilità storica dei liquidatori del PCI nell’aver provocato l’inquietante involuzione sociale e politica che segna oggi il nostro Paese si addensa tutta, oggi, sul PD e sulla CGIL. La trasformazione del PD, che con Renzi pare toccare un suo fondo (uno, forse nemmeno l’ultimo) ha giocato un ruolo enorme nella costruzione di questa Italia berlusconiana e ora forconiana. Ma altrettanta responsabilità ha la CGIL: le condizioni socialmente drammatiche del proletariato italiano avrebbero richiesto, da tanti anni, una CGIL di lotta, alla testa della lotta di classe, non una organizzazione volta a gestire solamente ” lo schedario dei soci”. Se oggi fosse la CGIL ad assumere in sè il disagio sociale di massa, a condurre la lotta contro il liberismo dell’Ue e contro il pessimo governo Letta – Alfano non ci sarebbero Forconi fascisteggianti nelle piazze italiane.

Vi sono compagni che, di fronte alla crescita dei Forconi, di nuovo tornano – come in una sorta di inconscio moto “pavloviano” – ad invocare “la più vasta alleanza tra comunisti, sinistra e il PD”, ” un nuovo fronte di centro-sinistra”, sorvolando disinvoltamente sul fatto che il PD, con Renzi, sta molto cambiando e non in meglio, e sorvolando sul fatto che il PD ( condizionando fortemente la CGIL) tanto ha già dato per la costruzione di un quadro politico e sociale generale che vede crescere sul disagio di massa il populismo di massa e il pericolo eversivo e di destra. Credo sia venuto il tempo di abbandonare Pavlov e tentare la delineazione di una proposta all’altezza dei tempi, dello scontro di classe e del pericolo di crisi della democrazia, al fine di mettere in campo un vero polo di alternativa di sinistra e democratica. Credo sia venuto il tempo di impegnarsi politicamente affinché si costituisca un polo comunista e di sinistra capace di interpretare e rappresentare quel disagio di massa che oggi viene delegato alle forze populiste e di destra; lavorare affinché la sinistra PD si liberi della propria zavorra liberista e affinché, soprattutto, l’intera CGIL, non solo la FIOM, riprenda il ruolo che le conviene storicamente, ricollocandosi alla testa delle lotte. Solo così potrebbe funzionare “la più vasta alleanza tra comunisti, sinistra e forze democratiche”. Solo così lo spettro fascista dei Forconi potrebbe dissolversi. Non presentandosi più in nessun’altra forma.