di Fabio Nobile, segreteria nazionale PdCI | da fabionobile.wordpress.com
I risultati elettorali delle amministrative, seppure con un’analisi che ancora non contiene l’importante riferimento ai flussi elettorali, evidenziano lo stato di grande fluidità della situazione politica italiana. La prima conseguenza di questa considerazione è che non ci può essere una lettura uniforme dei risultati, tranne le tendenze di fondo.
Il primo dato è certamente l’astensionismo, che registra un incremento dell’8,2% rispetto all’affluenza delle ultime comunali nei ventisei comuni capoluogo. Un dato che è diffuso su tutto il territorio nazionale, ma che vede nel centro- nord le punte più alte. Quello del centro-nord è un risultato dove pesa la debacle del PDL e quella storica della Lega che, alidlà della vittoria di Tosi, viene ridimensionata drasticamente. In questa parte del Paese la crisi di rappresentanza è esplosa, almeno per il momento, molto più che a sud.
In tale quadro, i dati dell’astensionismo ha senso sommarli a quelli dei grillini che raggiungono un risultato straordinario, ma che si ferma nelle regioni centrali a conferma di una specificità dell’ area centrosettentrionale del Paese. Un fenomeno, quello di Grillo, nelle cui dimensioni rappresenta un effetto collaterale, più o meno voluto, della delegittimazione dei partiti utilizzata per sostenere il Governo Monti.
Astensionismo e grillini insieme esprimono, comunque, un’insofferenza strutturale verso il sistema politico rappresentato dai partiti della seconda repubblica. La maggior parte di questi partiti si sono palesati incapaci, ormai, di esprimere la rappresentanza ad un tessuto economico e sociale le cui viscere sono scosse dalla crisi economica. Come durante la fine del ’92 il dissolvimentodi DC e PSI aprì un vuoto che fu riempito Berlusconi e la Lega, oggi siamo nella fase in cui il vuoto è tutto da riempire. Ma la crisi di rappresentanza a differenza del ‘92, ovviamente, va molto oltre il solo crollo del centrodestra.
Da questo punto di vista tutti i partiti arretrano o tengono con difficoltà. Il crollo del Pdl del post Berlusconi, che perde in molti casi più della metà dei voti percentuali, riflette plasticamente una fase che si chiude. Ma lo stesso PD, nonostante gli entusiastici proclami del suo gruppo dirigente, perde sul piano percentuale ed assoluto una quantità di voti impressionanti, seppure la dimensione è amplificata da una molteplicità di liste civiche. Su tutti il dato di Genova, dove è a -7% rispetto alle regionali, e a Palermo dove riduce il suo consenso del 13%. Stessa sorte per la stessa idv che paga la vittoria grillina e il terzo polo che rimane fermo al palo. La stessa proliferazione, con alterne fortune, di liste civiche rende ancora più chiara la mobilità del quadro.
La tenuta unitaria di una buona parte delle coalizioni di centro-sinistra, a differenza della totale divisione del centro-destra che si somma e amplifica la sua disfatta, ha permesso le sue vittorie in tanti comuni. Ma c’è da rilevare che, in moltissimi casi, si arriva comunque al ballottaggio e che nelle grandi città, come era successo lo scorso anno, vincono sindaci o sostenuti da Idv ed FdS o figure che chiaramente vengono percepite come alternative. Basti pensare a Genova e Palermo.
Questa lettura dei dati ci dice che questo voto ha al fondo una contrarietà al governo Monti e le politiche economiche imposte dalla BCE. In tale quadro, in relazione a quanto abbiamo visto in Francia ed in Grecia, ciò che va rafforzata e costruita è una forza comunista ed una sinistra antiliberista in grado di essere percepita a livello di massa come un’alternativa credibile. Noi non siamo la Francia e la Grecia, abbiamo le nostre specificità, a partire dal sindacato troppo vincolato dal PD, con i relativi livelli inadeguati di mobilitazione dei lavoratori. Sicuramente su questo il prezzo che paghiamo è altissimo. Gli stessi risultati poco lusinghieri o comunque, tranne in pochi casi, inadeguati di candidature alternative di sinistra al centro-sinistra sta li a dimostrarlo.
Ma per questo è necessaria ancora di più l’iniziativa. I risultati della FdS, da ponderare anche con molti risultati positivi avuti con liste unitarie di sinistra, dimostrano ancora la tenuta diffusa nel territorio nazionale e un insediamento in grado di essere decisivo sui risultati elettorali. In sostanza i voti arrivano alla Federazione soprattutto nei luoghi dove c’’è un radicamento.Invece, quando PdCI e PRC vanno divisi, tranne alcuni casi come a Parma per il PdCI, i dati sono negativi e questo, si spera, faccia definitivamente riflettere tutti. D’altra parte la FdS ha una percentuale assolutamente vicina a quella di SeL, che dovrebbe adagiarsi meno sui sondaggi e guardare alla sua sinistra per costruire una prospettiva. Questo risultato, seppure contraddittorio, deve dare il coraggio di andare avanti.
Il fatto che ad un arretramento del PD e alla fluidità della situazione non corrisponde una crescita della sinistra, probabilmente, dipende anche dalla forza e dall’efficacia dell’iniziativa politica. Ciò che va rimarcato, per rendere credibile e competitivo il progetto, è la maggiore definizione del profilo politico della FdS, declinato nell’azione e nel programma. A partire da questo è possibile rilanciare la questione dell’unificazione tra PdCI e PRC in un unico Partito Comunista nell’Italia del XXI Secolo e lavorare all’allargamento della Federazione, nelle forme e nei modi da discutere con chi vuole aprirsi ad un percorso unitario. Questa sembra la strada più efficace per provare a fare passi avanti. Lo spazio c’è e lo dicono anche queste elezioni. Serve un po’ di coraggio. Ci vediamo il 12.