“Forconi”: un po’ di chiarezza

da www.fgci.it

 

movimento-forconi-sicilia-w300In questi giorni tutta la Sicilia è paralizzata dal blocco dei caselli autostradali e dei principali nodi di comunicazione da parte di un assai strano movimento detto “dei forconi”. Dopo un primo momento di disinteresse generale operato dai principalimedia nazionali e locali, la notizia è presto diventata di dominio pubblico, e sembra avere interessato un po’ tutti, dai social network ai giornali locali, imponendosi all’attenzione del grande pubblico.

Le proteste degli autotrasportatori della cosiddetta “forza d’urto”, nome che tra l’altro tristemente ci ricorda qualcosa di più “NUOVA” che purtroppo tanto nuova non è più, a cui si sono unite le proteste di agricoltori e braccianti, hanno già messo in ginocchio dopo pochi giorni di blocco i rifornimenti dell’isola, causando la mancanza di merci e generi di prima necessità, come carburanti vari ed alimenti.

Tale protesta ha creato un certo consenso tra la popolazione, coinvolgendo lavoratori e cittadini siciliani invitandoli ad unirsi ed a solidarizzare con i manifestanti,spingendoli ad informarsi sulle loro ragioni ed anche talune volte, convincendoli ad unirsi ai vari presidi.

Insieme al coinvolgimento dell’opinione pubblica siciliana, il movimento dei forconi ha fatto sorgere innumerevoli dubbi e interrogativi su quali fossero le concrete motivazioni che li hanno spinti a bloccare l’intera isola. Si notano strane ed inquietanti connivenze e similitudini politiche tra il movimento stesso e l’estrema destra, parole d’ordine demagogiche e populiste sono troppo spesso utilizzate per far leva sullo stato di reale crisi sociale ed economica del sistema. L’unica piattaforma rivendicativa appare confusa ed ivi si ritrovano richieste di stampo corporativistico, oltre che i soliti richiami all’indipendenza di un presunto stato siciliano.
Il quadro risulta purtroppo enigmatico e difficile da affrontare e capire.

Quello che è innegabile è che la protesta si fa forte di una reale e concreta situazione di disagio e malessere che nel nostro povero e meridione martoriato da politiche che negli ultimi 60 anni, dall’indomani della strage di Portella delle Ginestre, per intenderci, ha visto sempre più il malaffare e le organizzazioni mafiose collaborare con la politica per sfruttare e distruggere sempre più queste terre.
La rinascita del meridione Italiano deve partire certamente dal sud ed in particolare dai siciliani può tuttavia il movimento dei forconi rappresentare una speranza di emancipazione delle classi subalterne o piuttosto vi è il serio pericolo che lo stesso rappresenti il germe di una uscita a destra dalla crisi?

Dare risposta a questa domanda non è certamente compito facile perché se è vero che un sentimento di malessere diffuso c’è è anche vero le che fin troppo spesso nella storia si è verificato il drammatico fenomeno dell’autodifesa del sistema dominante da parte delle classi che comandano che, in maniera quasi scientifica mettono, a capo di tali sommosse popolari loschi individui che niente hanno a che vedere con l’emancipazione della classe proletaria che riempiendosi la bocca di belle parole e di facili entusiasmi fanno presa sul sottoproletariato facile da raggirare, utili proprio a fare da tappo per arginare quella che potrebbe essere una vera rivoluzione in senso socialista della società.

Chi dirige la protesta?
Cominciamo iniziando col capire la composizione della protesta.
Lo sciopero che sta paralizzando l’economia dell’isola che porta il profetico nome delle “cinque giornate per la Sicilia”, è stato indetto dal “movimento forza d’urto” e appunto dal “movimento dei forconi”.
Il primo riunisce attorno a sé gli autotrasportatori, vero nerbo della protesta, che con i loro tir bloccano i principali snodi viari dell’isola. Leader del movimento è tale Giuseppe Richichi, presidente della principale associazione di categoria siciliana e che in tempi recenti aveva dato vita al “Partito degli Autotrasportatori” che all’ultima tornata per la presidenza della regione ha appoggiato Raffaele Lombardo; poi Salvatore Bella, imprenditore del trasporto su camion in Sicilia, che vede un passato di militanza politica attiva tra la Dc, Forza Italia e Mpa.
Il secondo invece rappresenta la protesta degli agricoltori e dei braccianti, che da subito hanno aderito alla protesta. Tra i fondatori del movimento, nato dopo la visita nella provincia di Ragusa dell’allora ministro all’agricoltura Saverio Romano, tre soggetti dalle indubbie capacità di capipopolo ma dal nebbioso passato: Mariano Ferro ex acceso sostenitore del Mpa; Martino Morsello, segretario di “altra agricoltura sicilia” che comprende al proprio interno imprenditori e braccianti agricoli, nonché invitato fisso nei congressi regionali del partito neo-fascista Forza Nuova; Mariano Ferro, anch’egli fino a poco tempo fa, simpatizzante del Mpa.

Appare quantomeno bizzarro e contraddittorio come personaggi che fino a ieri erano contigui ed organici a quella cerchia di politica da loro stessa definita corrotta ed incompetente a cui a gran voce chiedono di vergognarsi per le male fatte ed a cui chiedono di restituire i soldi al “popolo siciliano” delle loro indennità da parlamentari, possano in così breve tempo, essere folgorai sulla strada di Damasco e dar vita ad una durissima protesta nei confronti proprio di quella classe dirigente che fino a non poco tempo fa, sostenevano e spalleggiavano.

Il sistema affaristico-clientelare dell’isola, che unisce con un sottile filo rosso il governatorato di Totò Cuffaro e quello di Raffaele Lombardo, è sicuramente tra le cause principali del dissesto dell’economia e dell’agricoltura siciliana. Non possiamo e non dobbiamo infatti dimenticare le responsabilità di Lombardo e del suo entourage nell’ingente sperpero di denaro, per esempio pensando alle centinaia di milioni di euro di fondi Fas ancora inutilizzati che, se correttamente impiegati, avrebbero sicuramente migliorato la drammatica situazione in cui versa l’economia siciliana. Oppure facendo riferimento ai 150 milioni di euro impiegati per costituire i famigerati corsi di formazione professionale, individuati come strumento per dare lavoro a migliaia di disoccupati, ma che in realtà si sono rivelati strumenti di clientela politica nelle mani di Lombardo, attraverso cui poter conservare e rigenerare il proprio bacino elettorale, senza considerare come ormai siano migliaia i lavoratori (per la maggior parte neo-laureati) che ancora non hanno ricevuto il becco di un quattrino. Soldi sprecati, anzi meglio, utilizzati per salvaguardare, mantenere e rafforzare il sistema di clientele nella nostra terra, che da sempre hanno garantito al potente di turno la possibilità di mantenere saldo il proprio potere e i propri interessi, mortificando e degradando le grandi esigenze della nostra terra.

Quali rivendicazioni?
Passiamo dunque a valutare le rivendicazioni della protesta.
Colpisce in prima battuta l’assenza di una chiara piattaforma scritta: le richieste sono facilmente deducibili da volantini e da interventi che si riescono a leggere o sentire. Parole d’ordine sono semplici ma confuse, che spesso si macchiano del vizio di populismo e di demagogia: si sente parlare di defiscalizzazione del petrolio estratto nell’isola, la necessità di dichiarare indipendente il popolo siciliano [sic!] dall’oppressione dei “continentali”, la volontà di far risollevare l’agricoltura isolana e non mancano le solite litanie circa la distruzione della casta.
Insomma, la confusione regna sovrana sotto al cielo.
Non per questo però non possiamo cercare di addentrarci nelle reali motivazioni che hanno spinto genuinamente e in buona fede molti lavoratori ad avvicinarsi alla protesta.

L’agricoltura.

Senza dubbio condivisibile appare il grande malessere dei braccianti per la drammatica situazione in cui versa l’agricoltura siciliana. Merci invendute, macchinari antiquati, troppa concorrenza. Impossibile affermare che non abbiano ragione. Ma chi sono i veri responsabili di questo stato di cose? Sicuramente deve essere annoverata la programmazione di una economia continentale (europea) agricola. Sullo stesso mercato ad esempio il consumatore trova arance siciliane e spagnole, con prezzi di gran lunga inferiori per le seconde grazie ad una politica produttiva più capace e a grandi disuguaglianze sul piano strutturale. In questo senso, numerosissimi sono stati e continuano ad essere sussidi e forme di assistenzialismo al settore, per esempio con finanziamenti per alcuni miliardi di euro nel PSR (piano sviluppo rurale). Una pioggia di denaro di provenienza sia europea (ricordiamo che ai sensi del trattato istitutivo dell’Ue, l’agricoltura è materia di competenza esclusiva europea) che ministeriale, che evidentemente non è stata investita sapientemente da chi negli anni si è trovato seduto nelle comode poltrone di palazzo d’Orleans, ma che, parimenti ha visto anchespesso e volentieri gli stessi imprenditori agricoli attuare un comportamento cattivo e connivente con la mala-politica beneficiando così dei sussidi, con truffe, raggiri osperperi di varia natura. Questa convergenza di fattori fa sì che l’agricoltura siciliana sia una delle più depresse e improduttive dell’intero continente europeo, con la conseguente scesa in piazza dei contadini assieme agli autisti dei tir. E’ necessario considerare però che il blocco alle merci in questi giorni sta creando ancora di più ingenti danni alla economia agricola dell’isola, con tonnellate di merci pronte da consegnare che ammuffiscono nelle cassette e che impediscono il raccolto degli altri prodotti sui campi.
Sempre sul versante dell’agricoltura, bisogna notare anche la totale assenza, tra le battaglie dei “forconi”, quella dei beni comuni e soprattutto dell’acqua che, in generale, ma soprattutto nel mondo agricolo rappresenta un bene inestimabile, non una parola spesa circa la volontà di volerla privatizzare, non una parola sulla loro idea della gestione delle acque che è bene ricordare in Sicilia troppo spesso le acque vengono sciupate e disperse in mille rivoli di acquedotti vecchi ed antiquati.

Il prezzo dei carburanti.

Le rivendicazioni degli autotrasportatori e dei pescatori si concentrano sugli aumentidel prezzo dei carburanti che in pochi anni è cresciuto di circa il 30%. Una vertiginosa impennata dovuta sia alle quotazioni di mercato dell’oro nero salgono di ora in ora, esia all’aumento delle accise voluto dal governo Monti.
Impensabile, a a loro dire, una tale situazione, considerando che in Sicilia si produce e raffina petrolio, contribuendo al fabbisogno italiano per circa il 70%.
A tal proposito chiedono una non meglio precisata defiscalizzazione sulla lavorazione e sulla distribuzione del greggio siciliano, una sorta di neo-protezionismo nei confronti del petrolio estratto sull’isola.
La questione si riduce ad una mera pretesa corporativa chiedendo, in pratica, che lo Stato diminuisca o elimini la tassazione globale sul prodotto siculo.
Nessun ragionamento di più ampio respiro, nessun riferimento volto verso una riforma che faccia un sistema fiscale omogeneo e progressivo in tutto il territorio nazionale.Bisogna dire a tal punto, che in barba alla tanto decantata indipendenza siciliana, la Sicilia è l’unica regione italiana a godere della riscossione diretta delle imposte sul reddito, tassa che permette di avere grandi introiti nelle casse della regione. Un grande flusso di denaro che evidentemente, ancora una volta, non viene gestito nel migliore dei modi dalla politica siciliana.

Questione dopo questione quindi, i responsabili dello stato delle cose attuali in Sicilia sono sempre la corruzione, il malaffare e la malavita organizzata.

Una cosa è certa, il movimento dei “forconi” raccoglie sempre con maggior forza, basti fare un giro a Catania e provincia, il sostegno e la solidarietà di organizzazioni politiche di estrema destra, che nei loro simboli e nei loro statuti hanno chiari riferimenti alla xenofobia ed al fascismo, come Forza Nuova.
Giungono voci che i militanti dei “forconi” e di “forza d’urto” abbiano un concetto un po’ distorto del diritto di sciopero. Pare che abbiano perpretrato azioni di squadrismo e minaccia al fine di obbligare chi non aveva intensione di scioperare.
Sicuramente tutto ciò ci lascia molto perplessi circa il nostro giudizio su tali movimenti di protesta.

Sarebbe tuttavia, molto sbagliato non considerare nel nostro ragionamento tutti coloro i quali in buona fede e con passione sono scesi in piazza a gridare il loro malessere e a denunciare la loro condizione, che però si ritrovano ad essere strumentalizzati da un movimento che non ha ancora chiarito i suoi obiettivi politici e di mobilitazione. Troppe domande e troppi interrogativi impediscono il formarsi di unaopinione consolidata sul “movimento dei forconi”, da dove è nato e dove vuole arrivare.
È per questa ragione che bisogna chiedere con forza al più grande sindacato dei lavoratori che è la CGIL di intervenire e prendere in mano la questione indicendo uno sciopero generale serio e concordato di non meno di una settimana che dica a Monti e a tutte le forze reazionarie che l’Italia vuole ripartire, che il sud si rialza e lo fa a partire dalle tematiche sociali e dal lavoro che è un diritto per tutti.

Non è pensabile poter riporre le nostre speranze rivoluzionarie (utilizzo volutamente il termine con la stessa leggerezza con cui ne sentito parlare dai leader dei forconi) inun movimento come questo, che porta dentro di se i germi di quella politica che ha rappresentato e che rappresenta l’ostacolo più grande al progresso e alla riscossa della Sicilia. Non possiamo appiattirci su rivendicazioni che non sono ancora state chiarite e che in ogni caso non appartengono alla nostra cultura e tradizione politica. Non possiamo scendere in piazza a fianco degli organizzatori di questa protesta, amici sino a ieri di quel sistema di potere responsabile maggiore dell’arretratezza sociale ed economica della Sicilia che governa da 60 anni, che noi comunisti denunciamo e combattiamo quotidianamente con le nostre lotte. Dovrà anzi essere nostro compito smascherare la presunta strumentalizzazione che stanno vivendo sulla pelle migliaia di lavoratori onesti, squarciando quel velo di ipocrisia e di oscurità che aleggia attorno a questa protesta.
La lotta, la protesta, la mobilitazione, quella vera e genuina è possibile anche nella nostra isola, storicamente considerata una terra conservatrice e reazionaria. Tocca a noi, sapendo canalizzare ed interpretare il malessere che attraversa tutta l’Italia, da Milano a Palermo, cercare di dare un volto definito alla protesta introducendo contenuti, supporti ed analisi, che fino ad adesso, le sono stati estranei.

Emanuele Pagano
segreteria nazionale Fgci

Vincenzo Rosa
Coordinatore Fgci Catania