Politiche 2018: una lettura dei flussi elettorali

elezioni 2018 affluenza urnedi Francesco Galofaro per Marx21.it

A partire dal giorno dopo le elezioni politiche del 2018 diversi istituti hanno diffuso i propri dati sui flussi elettorali. A qualche giorno di distanza è interessante confrontarli, in modo da ridurre l’eterogeneità delle interpretazioni che circolano circa il voto degli italiani. Il paragone tra studi diversi si rende necessario anche perché in alcuni casi i dati disponibili aggregano il risultato delle formazioni che si presentarono in coalizione nel 2013, significativamente diverse da quelle attuali. In questo modo non rappresentano cosa è accaduto all’interno delle coalizioni: ad esempio, tra Forza Italia e Lega.

Per cominciare, ecco una panoramica a volo d’uccello sui diversi schieramenti basata soprattutto sui dati IPSOS [1]. Quando necessario, ricorriamo ad altri studi citando le fonti. Le percentuali possono variare, dato che i margini di errore sono i medesimi dei sondaggi; non discordano tuttavia nelle tendenze.

Centrodestra

Rispetto a quanto è accaduto nel 2013, il voto al centrodestra si è mantenuto stabile. Solo l’11% dell’elettorato di centrodestra ha cambiato opinione, prevalentemente verso i Cinquestelle (8%). Berlusconi, Salvini e Meloni intercettano anche l’8% dei voti di chi si era astenuto nel 2013 e il 18% dei giovani al primo voto. Il voto dei neoelettori e degli astenuti pentiti ha premiato soprattutto la Lega, poi Forza Italia, infine Fratelli d’Italia, rispecchiando così la classifica finale delle tre forze politiche. Per comprendere più nel dettaglio cosa è cambiato nei rapporti di forza entro la coalizione, è possibile ricorrere a dati SWG [2]: rispetto al 2013, circa un quarto dell’elettorato del Popolo delle libertà ha lasciato Forza Italia e ha votato Lega. La coalizione di centrodestra poneva un quesito circa l’atteggiamento da tenere verso l’Unione europea: l’elettore ha risposto premiando euroscetticismo e sovranismo.

Il Movimento 5 Stelle

Anche l’elettorato M5S si è mantenuto fedele al voto del 2013 (76%), ma in misura minore. Si segnalano soprattutto due fenomeni: il 10% si è spostato verso lo schieramento di Centrodestra; il 9% ha deciso di astenersi. Se il saldo Centrodestra-Cinquestelle è sostanzialmente in equilibrio, i pentastellati fanno in ogni caso incetta del voto altrui: il 14% dei voti provengono dal PD-SEL, il 13% dalla lista Monti, oltre al 28% del voto dei neoelettori e al 7% degli ex-astenuti.

Il Centrosinistra

Come ci si può attendere, l’elettorato del PD-SEL è il meno fedele: solo il 43% degli elettori del 2013 ha confermato il proprio voto. Il PD perde piccole percentuali di voto verso tutte le forze politiche. A parte il caso già ricordato dell’M5S, si vede una redistribuzione dei voti all’interno della nuova coalizione: il 6% vota Bonino, Insieme, Lorenzin. Circa il voto verso LEU (7%) occorre ricordare che SEL nel 2013 si presentava in alleanza con il PD bersaniano. Il fenomeno davvero interessante è piuttosto un’altro: il 22% dell’elettorato PD del 2013 questa volta ha alimentato l’astensione. Commenteremo più avanti questo nodo cruciale.

Il voto per area geografica

i grafici messi a disposizione da IPSOS mostrano un fenomeno interessante: una redistribuzione dei voti tra M5S e Centrodestra che riguarda nord e sud. Il Centrosinistra perde voti dappertutto: casi clamorosi sono l’Emilia Romagna, alcuni collegi della Toscana, Sardegna, Sicilia, Basilicata e Calabria. Al sud è il M5S a fare incetta dei voti, che vanno a compensare quelli che perde – in misura minore – al nord, specialmente in Piemonte e Liguria. Al nord è il Centrodestra ad avvantaggiarsi dell’arretramento degli avversari. Questi dati concordano con gli studi che mettono in correlazione il PIL pro capite, il tasso di disoccupazione e il voto ai 5Stelle, che raccolgono consensi soprattutto dove il PIL è più basso e la disoccupazione è più alta.

La sinistra radicale

Per comprendere cosa è accaduto alla coalizione politica di D’Alema e Fratoianni ricorriamo ai dati forniti da SWG, che disaggrega il voto del 2013 [3]. Il magro risultato di LeU è dovuto solo per un 34% agli elettori delusi dal PD. Il 21% del suo elettorato viene da Sinistra e Libertà e un 9,5% dalla lista Ingroia. Gli astenuti pentiti sono in questo caso l’11%, e i neoelettori il 6,2. Dati confermati da IPSOS: il nuovo progetto non convince i giovani né gli ex-astenuti. Il risultato sembra punitivo soprattutto per la ex-sinistra e libertà, il cui elettorato si dissolve.

Non è facile trovare dati su Potere al popolo – men che mai su altre formazioni più ridotte. Spesso i suoi numeri si trovano aggregati, sotto la rubrica “altri”, al voto neofascista. Quest’uso dei sondaggi riflette il modo in cui i media mainstream hanno rappresentato ideologicamente la campagna elettorale: una rissa tra fascisti e antifascisti militanti, in cui gli uni meritano gli altri. Per parlare di Pot-Pop, ricorriamo quindi a uno dei pochi studi disponibili, condotto dal CISE [4]. Stando ad essi, se Atene piange, Sparta non ride. Pot-Pop eredita solo un 16% del voto di Rivoluzione civile. Il resto si è disperso tra Potere al Popolo, Liberi e Uguali, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle. Un 10%, deluso, non è andato a votare. Scarso anche il voto dei neoelettori: 1,5%.

Stabilità della base elettorale

La stabilità, intesa come capacità di mantenere e incrementare i propri voti è la prima caratteristica che permette di distinguere vincitori (destra, M5S) e sconfitti (sinistre di ogni sorta). Nonostante il sistema proporzionale, è ancora la capacità di mobilitare i propri elettori a giocare un ruolo decisivo, prima del potere di sedurre l’elettore degli altri. Questo ci porta a una prima questione riguardo all’identità dell’elettore italiano. Non pare proprio che le categorie di “destra” e “sinistra” siano davvero superate, come affermano i Di Battista. Infatti, l’elettore deluso di destra e di sinistra si astiene, non cambia schieramento: il risultato della destra può essere interpretato come un aumento di credibilità della coalizione, in grado di riportare a casa una parte degli astenuti. L’elettore deluso dal PD punisce il proprio partito soprattutto astenendosi; un 22% che, tuttavia, può potenzialmente “tornare a casa” in futuro. Altri preferiscono dare un segnale al PD scegliendo sì un altro partito, ma mantenendosi all’interno della stessa coalizione. LEU e Potere al Popolo sottraggono solo un 10% dell’elettorato alla coalizione PD-SEL del 2013, e si tratta comunque di voti che rimangono a sinistra. 

Se è così, se l’asse sinistra-destra orienta ancora l’identità dell’elettorato, come spiegare il voto ai 5 Stelle, la cui provenienza è trasversale? In primo luogo, il voto all’M5S si configura ancora in grandissima parte come un voto di protesta la cui composizione varia: agli elettori stabili, fidelizzati, si aggiungono nuovi elettori che spostano la collocazione complessiva della base. Dopo le elezioni, i voti al movimento provengono soprattutto dalle aree economicamente più depresse del Paese e più colpite dalla crisi, un elettorato cui il PD ha smesso da tempo di parlare. I 5Stelle dovranno in qualche modo tenerne conto nella scelta delle alleanze e nelle politiche economiche, il che finirà per definirne meglio la loro posizione sull’asse sinistra-destra.

I temi della campagna elettorale

Il risultato del movimento 5 stelle al sud prova anche la sua capacità di persuadere la parte della popolazione che ha subito le conseguenze peggiori dei processi di globalizzazione, di costruzione dell’Unione europea, e infine della crisi economica. Il movimento ha convinto questa parte dell’elettorato che la risposta ai loro problemi consiste in un rinnovamento della classe dirigente, nell’istituzione di misure assistenziali, nell’opposizione forte ai fenomeni migratori e in quello che potremmo definire un “euroscetticismo moderato nei limiti delle compatibilità europee e della NATO”. In altre parole, il Movimento ha convinto gli elettori della validità dell’omologazione tra le seguenti opposizioni (un tempo le avremmo chiamate “contraddizioni”):

Egoismo sociale : sostegno al reddito
=
Europeismo : euroscetticismo
=
Apertura agli immigrati : chiusura
=
Obsolescenza della classe dirigente : rinnovamento

I progetti degli altri partiti hanno in qualche modo mancato di convincere rispetto a una o più opposizioni o di costruire un sistema di omologazioni alternativo. Ad esempio, l’importanza dell’opposizione tra euroscettici ed europeisti e del tema dell’immigrazione è evidente nel risultato del centrodestra, e in particolare dal travaso di voti da Forza Italia a Salvini. Il risultato della coalizione tuttavia non sfonda oltre il nord Italia: non è riuscita la ricollocazione della Lega come forza nazional-sovranista; le misure economiche proposte dal centro destra nel suo complesso – la flat tax – non hanno evidentemente convinto la parte povera del Paese.

Crisi delle sinistre

Quanto ai diversi schieramenti di sinistra, nessuna tra le proposte alternative ha convinto gli elettori. Il terribile risultato del PD mostra tutti i limiti degli ultimi governi: incapaci di far fronte alle conseguenze della crisi economica con misure efficaci. A nulla è servito precarizzare i lavoratori; gli ottanta euro non hanno compensato i grotteschi tagli alla sanità del ministro Lorenzin [5]. Il PD non ha più un riferimento sociale preciso né nelle fasce più deboli della popolazione né nel ceto medio, e sarà presto abbandonato anche da quella parte della grande borghesia con legami internazionali cui ha fin qui garantito la possibilità di giocare al tavolo europeo. 

LeU, il cui gruppo dirigente ha condiviso in gran parte le scelte dei governi degli ultimi anni, è evidentemente stata percepita come una semplice variante scaduta del PD. Per essere chiari, il voto degli elettori non ha punito Renzi; ha punito la parabola discendente della socialdemocrazia europea. Realizzata questa UE la socialdemocrazia ha perduto ogni dimensione progettuale; avendo sposato senza riserve l’ideologia economica liberista, non è semplicemente in grado di risolvere le contraddizioni che caratterizzano l’Unione.

Non si avvantaggia d’altronde nemmeno la sinistra radicale di Pot-pop. I mille rivoli elettorali in uscita da Rivoluzione civile e l’instabilità del voto di sinistra riflettono con chiarezza la disarticolazione costante delle formazioni che di volta in volta si propongono alle elezioni. Simboli e sigle sempre nuove non comunicano più all’elettore valori né progetti. Le mutevoli alleanze tra le componenti organizzate della sinistra radicale obbligano l’elettore a ricollocarsi ogni volta. In questo modo non sussistono le condizioni di possibilità perché i progetti acquistino credibilità o perché si individuino tendenze di fondo stabili.

Limiti progettuali della sinistra radicale

Tuttavia, non si tratta solo di un problema di unire le forze: il fallimento complessivo delle proposte alternative a sinistra mostra come queste formazioni, prive di conformazione, non siano state in grado di rispondere con chiarezza alle questioni che abbiamo enumerato sopra, connettendole in un unico progetto coerente e credibile, nonostante aumenti nel Paese la disuguaglianza, la povertà, la consapevolezza critica verso le politiche liberiste dell’Unione. Si tratta con ogni evidenza di un paradosso.

Il sovranismo 5Stelle e leghista presenta dei limiti evidenti. Come si concilia la nozione di sovranità statale con l’appartenenza alla NATO, con la presenza di basi militari nel nostro Paese sulle quali non esercitiamo alcun controllo? Come si concilia con la cessione di sovranità all’Unione europea? Come conciliare politiche di integrazione del reddito con il liberismo e coi trattati di Maastricht? Proprio la sinistra ha nella propria storia gli strumenti per mostrare l’inconsistenza delle posizioni della destra e dei 5Stelle. Fu Rifondazione a votare contro l’adesione ai trattati di Maastricht; erano i comunisti a chiedere l’uscita dell’Italia dalla NATO. E tuttavia sembra chiaro che queste posizioni, oggi enunciate con un po’ di timidezza e con un certo numero di distinguo, sono avvertite dagli elettori come un retaggio tradizionale un po’ vintage; non come risultato di un’analisi dell’attuale né come un progetto politico credibile in grado di garantire al Paese un futuro diverso. Un futuro che che guardi meno all’Unione europea e più all’Europa; meno all’Atlantico e più al mondo intero.

NOTE

[1] https://www.termometropolitico.it/1292631_elezioni-politiche-flussi-elettorali.html
[2] https://www.termometropolitico.it/1292140_sondaggi-politiche-2018-flussi-elettorali.html
[3] https://www.termometropolitico.it/1292140_sondaggi-politiche-2018-flussi-elettorali.html
[4] https://cise.luiss.it/cise/wp-content/uploads/2018/02/flussi_ITA_tab.jpg
[5] https://www.aboutpharma.com/blog/2017/10/25/471231/