Pubblichiamo come contributo alla discussione questo intervento di Stefano Fassina
30/07/2018
L’8 Settembre 1943, l’Italia, il Governo Badoglio, firmava l’armistizio con le potenze alleate. Quella data è, per una parte della nostra storiografia, per gli storici liberal-conservatori, la “morte della patria”. Per un’altra parte, la parte azionista, cattolico-sociale, socialista e comunista, legata ai protagonisti della Resistenza e dell’offensiva per la Repubblica, l’8 settembre 1943 è stata, invece, la “rinascita della Patria”: una comunità nazionale definita non soltanto da segni storici, culturali e linguistici, ma da libertà, democrazia, giustizia sociale, solidarietà, apertura, ossia l’impianto etico, politico e programmatico scolpito, attraverso l’Assemblea Costituente, nella nostra Costituzione.
Il senso di appartenenza a una comunità nazionale fu fattore propulsivo della lotta di liberazione dall’oppressione interna e esterna (la rivista dell’Anpi conserva ancora il nome di “Patria Indipendente”). Fu anche proposto, al contempo, come terreno di costruzione di cooperazione sovranazionale. In estrema sintesi, riconoscersi come italiani non soltanto non determinava derive nazionaliste, isolazioniste e xenofobe, ma nutriva gli obiettivi della nostra Costituzione e dava legittimazione popolare allo strumento imprescindibile per la sua attuazione: lo Stato democratico.
L’ancoraggio del programma fondamentale della nostra Costituzione alla Patria e alla Nazione (maiuscole presenti nel testo della Carta) è chiaro. Nella Parte Prima, al Titolo IV, Rapporti politici, l’Art. 52 intima: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Nella parte Seconda, Titolo I, Il Parlamento, l’Art 67 indica: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Sono articoli caposaldo. In nessuna altra norma della Costituzione dedicata ai doveri di cittadinanza si utilizza un aggettivo così carico di senso etico e di religiosità laica: “sacro”. Nessun vincolo di parte può superare il legame alla Nazione (fu notato da pochi, ma nella riscrittura della Costituzione imposta dal Governo Renzi al Parlamento si prevedeva l’eliminazione dall’Art 67 delle parole “rappresenta la Nazione”).
La nostra carta fondamentale, scritta quando ancora si seppellivano i milioni di morti e si spalavano le montagne di macerie causate dal nazionalismo, presuppone la Patria e il servizio prioritario della politica alla Nazione, ma la Patria definita e la Nazione interpretata secondo i principi e gli obiettivi costituzionali. È infatti altrettanto chiaro che la Patria costituzionale si prospetta, all’art 11, all’opposto del nazionalismo e di quello che viene bollato dall’establishment liberista “sovranismo”: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli…..; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni. …..”.
I comunisti e i socialisti non hanno subito tali articoli. Li condividevano profondamente. Distinguevano cosmopolitismo da internazionalismo e declinavano quest’ultimo come interazione virtuosa di Patrie e Nazioni. Su Rinascita del Luglio-Agosto 1945, Togliatti scriveva: “Assai spesso i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti, invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia”.
Nel simbolo del Pci del 1948, la bandiera rossa con falce, martello e stella è insieme alla bandiera dell’Italia, poggiata sul Tricolore. Gramsci ha fatto del concetto di nazional-popolare un pilastro della cultura politica del partito dei lavoratori. Lelio Basso ha pronunciato discorsi analoghi su tali punti in Parlamento.
Nel corso degli ultimi decenni, in particolare dopo il ’68, è prevalsa a sinistra, in nome di un’interpretazione parziale e di una visione subalterna di liberazione dell’individuo, la criminalizzazione della Patria e dello Stato nazionale. Lo “Stato borghese” veniva assolutizzato e conseguentemente lo Stato in quanto tale delegittimato e aggredito poiché identificato come strumento intrinsecamente oppressivo dentro i confini nazionali e aggressivo oltre confine.
Insomma, irresistibilmente fascista, proprio in conseguenza del richiamo alla Patria e alla Nazione come comunità di uomini e donne distinte e separate artificialmente dai confini nazionali da altre donne e uomini. Pertanto, la soluzione non era e non è la piena democratizzazione dell’insieme di istituzioni definite Stato, ma il suo superamento in una indefinita comunità umana globale, naturalmente capace di autoregolazione o regolata da un governo globale espressione diretta di cittadini liberati da strumentali appartenenze nazionali, cosmopoliti in un mondo “no borders”.
In tale contesto, la prima approssimazione dell’ideale universale veniva e viene riconosciuta nell’Unione europea e nell’eurozona, iniziative meritevoli di incondizionata promozione in quanto inibitrici di sovranità nazionale e destrutturanti lo Stato nazionale. La preoccupazione per i totalitarismi alla base delle devastanti guerre mondiali della prima metà del ‘900 diventava così involontario sostegno ideologico e politico alla controffensiva liberista per lo smantellamento dello Stato nazionale, strumento, l’unico possibile, per il primato della politica democratica sull’economia, per la costruzione del welfare che è “State” o non è, per l’attuazione delle libertà e dei diritti della persona a cominciare dalla dignità del lavoro.
È un’analisi di fondo, approssimativa e semplificata, ma imprescindibile per impostare una risposta politica, ossia non di mera testimonianza etica, alla declinazione regressiva, alimentata dai cosiddetti “sovranisti”, dell’inarrestabile fase di de-globalizzazione e de-europeizzazione in corso. Si dovrebbe, infatti, prendere atto che la via della sovranità democratica europea è illusoria: lo è sempre stata anche quando la sinistra storica, sbandata dopo l’89, l’ha proposta come orizzonte sostitutivo del socialismo sepolto dalle macerie del Muro di Berlino.
Ma fare i conti con i dati di realtà non implica uscire dalla Ue o dall’euro. Vuol dire impostare una rotta realistica per la cooperazione sovranazionale. Può voler dire, impostare una ritirata costruttiva e condivisa da un terreno storico-politico impraticabile per evitare una rottura caotica. Insomma, un realistico second best per superare il baratro dei nazionalismi.
Il richiamo alle norme costituzionali e alla visione dei padri della sinistra storica non è reso anacronistico e nostalgico dagli effetti della globalizzazione e dalla sua aggravante ordoliberista realizzata attraverso il mercato unico europeo e l’euro. È esattamente il contrario. Poiché il regime di “libera concorrenza”, costruito sul paradigma individualista del liberismo, ha reciso ogni legame sociale e generato solitudini impoverite e domanda di protezione, ritorna di straordinaria attualità la ricostruzione di comunità politica. Il bisogno di patria, la necessità di riconoscersi in una comunità riemerge imprescindibile. Tanto più nella fase di grandi trasformazioni, di sofferenza economico e sociale, di smarrimento culturale, di paura identitaria.
Il punto nodale è quale patria, quale nazione e, quindi, quale Stato. Patria e Nazionale definite non dal sangue e dal territorio. Ma Patria e Nazione identificate da caratteri storico-culturali condivisi, dalla fiducia negli italiani, da un interesse comune e da un impianto programmatico fondamentale. L’assenza di un’offerta costituzionale, quindi progressiva, di Patria e di Nazione, lascia inevitabilmente enormi spazi di popolo non al cosmopolitismo irenico delle élite o all’avanzamento degli Stati Uniti d’Europa, ma alla degenerazione nazionalista del bisogno di appartenenza.
Ripartiamo dall’ideale di Patria e dal senso di Nazione dei condannati a morte delle Resistenza, dei partigiani e dei nostri padri e madri costituenti. Navighiamo controvento, in uno stretto insidiosissimo: da un lato, i sempre più preoccupanti gorghi nazionalisti; dall’altro, le correnti di svalutazione del lavoro e della democrazia costituzionale dell’europeismo liberista, ancora dominanti anche nelle sinistre nella retorica degli Stati Uniti d’Europa.
La nostra bussola per una navigazione difficile è il primato della Costituzione sui Trattati europei e sovranazionali e i principi del socialismo, del cattolicesimo sociale e dell’ecologia integrale. Per affermare una comunità aperta e solidale dentro i confini nazionali, dove i conflitti, a partire da quelli di classe e ambientali, si riconoscono, si combattono e si compongono in riferimento alla dignità del lavoro, alla giustizia sociale, al rispetto della natura. Per coltivare una comunità accogliente verso l’altro e cooperativa nelle relazioni con le altre patrie, con le altre comunità democratiche, con gli altri Stati nazionali, a partire dai partner dell’Unione europea, per affrontare le enorme sfide globali di fronte a noi, innanzitutto la riconversione ecologica delle economie e delle società e il governo dei flussi migratori.
La nostra iniziativa non ha ovviamente carattere storiografico. Ha un obiettivo più semplice ma non meno ambizioso: riscoprire il sentimento positivo di Patria e Nazione per rilegittimare e, qui il punto politico decisivo, rivitalizzare nelle sue funzioni essenziali lo Stato nazionale e riconnettere, nella misura possibile all’avvio del XXI Secolo, popolo e democrazia costituzionale. Senza rivitalizzare nelle sue funzioni essenziali lo Stato nazionale, la politica rimane ancella dell’economia, il capitale dominante sul lavoro, quindi la democrazia sequestrata dagli interessi economici più forti. Come aveva capito negli anni ’30 Von Hayek, uno dei massimi teorici del liberismo, la via della sovranità europea porta inevitabilmente allo Stato minimo, date le radicate differenze tra contesti nazionali e rispettivi popoli.
“Patria e Costituzione” è il nome dell’associazione che avviamo il prossimo 8 Settembre a Roma. Un’associazione di cultura e iniziativa politica, dalla parte del lavoro. Un movimento senza legami o collateralismi ai partiti in campo, ma attivo nella discussione di tutti i soggetti democratici e coerenti con i principi costituzionali. Un progetto per la rinascita della sinistra di popolo.