di Mao Calliano, Segretario PdCI Torino
Per gli organizzatori, 150.000 presenze. Per la questura, 20.000 persone. Chi conosce la piazza sa perfettamente che la guerra dei numeri è una costante dopo ogni manifestazione. Ognuno in quel contesto deve tirare l’acqua al proprio mulino dopodiché solitamente la verità sta sempre abbastanza nel mezzo delle sparate dei manifestanti o della questura. A scanso di equivoci e per evitare di apparire il maestrino con la penna rossa, ammetto che il sottoscritto ha utilizzato il gioco dei numeri tutte le volte che lo ha ritenuto necessario, per cui niente di scandaloso contro chi la spara più grossa. A prescindere dai numeri,dopo il No Monti Day di sabato, credo sia necessario offrire alcuni spunti di riflessione per evitare che la discussione si appiattisca sulle presenze e sul numero delle bandiere rosse tralasciando di fatto il dato politico. La manifestazione è servita o no? Sia chiaro, la mia è una semplice riflessione che non si pone affatto il problema di avere la verità in tasca e sia chiaro che ho il massimo rispetto per chi ha deciso di recarsi a Roma il 27.
Aggiungo che ho trovato anche molto interessanti le riflessioni fatte dal compagno Grassi sull’esito della manifestazione, in cui si delinea chiaramente che l’esito di questa vada ben soppesato e che difficilmente questa possa segnare la nascita di una nuova forza politica, data la difficoltà di mettere d’accordo gruppettari e gruppuscoli vari presenti in piazza il 27.
La manifestazione è stata sì colorata, come si è detto fin da subito, ma non è stata quell’occasione di mobilitare le masse dietro le bandiere dei comunisti, non lo è stata e la differenza con le manifestazioni di massa che abbiamo visto in Grecia risultava evidente. In Grecia infatti, ma anche in Spagna e in Portogallo, i sindacati di classe hanno portato e portano in piazza praticamente tutto il mondo del lavoro e in questi anni di crisi sono riusciti a ritagliarsi uno spazio molto importante nei loro rispettivi paesi. In Italia questo non è successo, anzi proprio la crisi ha acuito le già pesanti difficoltà di collaborazione tra i sindacati di base che invece di collaborare hanno preferito gareggiare con asprezza tra chi si oppone di più al governo Berlusconi prima e Monti poi.
Anche il tempismo mi è parso quantomeno inappropriato dal momento che in questa fase politica, con la presenza costante di Berlusconi e il successo del populismo grillino, coalizzare un’insieme di forze che vadano contro Monti e il liberismo dietro le bandiere di sindacati, associazioni e di un partito che purtroppo non ha più nulla a che vedere con i fasti del passato (e che comunque può ambire al 1,5% se va bene) rappresenta anche il rischio di portare la critica al liberismo e al montismo su un binario morto, che appunto rischia di andare a sfracellarsi ad aprile. Il rischio del No Monti Day è quello di scegliere deliberatamente di togliere dall’agone politico istanze vitali come la critica del liberismo (da sinistra) e delle politiche di austerity imposte dalla Troika. Il rischio mortale è appunto quello che tali istanze, realistiche e oggettive, vengano invece percepite come estremiste e faziose dall’uomo della strada, che come vediamo invece è sempre più attratto da Grillo, che ha percorso ormai per primo la strada del polo alternativo contro tutti e tutto. L’isolamento porta quasi sempre alla morte o comunque alla consunzione delle idee; perciò, quando sento i militanti di rifondazione parlare di creare un fronte elettorale con le forze contrarie al montismo, ho l’impressione che ci si ponga di fatto volontariamente fuori dagli scenari politici che governeranno il Paese nei prossimi cinque anni, condannando quindi quelle idee, anche per noi giuste e sacrosante, all’isolamento e all’inutilità politica. Le elezioni in Sicilia sono infatti l’esempio più importante su cui soffermarsi, anche perché, per qualcuno sono considerate un importante banco di prova per alchimie politico/elettorali su scala nazionale. In Sicilia i dati importanti sono 2: ha votato meno del 50% degli aventi diritto al voto e ha ottenuto un buon successo elettorale il Movimento 5 Stelle, mentre la candidata della coalizione di sinistra “radicale” ossia la compagna Giovanna Marano, pur sostenuta da tutti i big dei nostri partiti e dal sindaco di Palermo Orlando, si è fermata poco sopra il 5%, risultato inutile (scusate la brutalità) ad eleggere consiglieri perché la legge elettorale prevede che lo sbarramento appunto del 5% lo debbano superare le liste e non la coalizione : è vero, la Sicilia è sempre stata un territorio difficilissimo per i comunisti e per la sinistra ma quelle forze che hanno vinto a Palermo un anno fa, sbaragliando tutti, Pd compreso, oggi si fermano ad un risultato molto più basso. Grillo invece, dopo essere arrivato a nuoto dalla Calabria, ha girato tutte le piazze delle maggiori città siciliane sapendo bene che anche per lui queste elezioni regionali sarebbero state il banco di prova più importante per lanciarsi nel rush finale di una lunga campagna elettorale iniziata nel 2010 per arrivare alle Politiche del prossimo anno.
Il Movimento 5 stelle, con il risultato del 15% è diventato il primo partito mentre non è cambiato nulla rispetto alla situazione precedente: tutti i grandi partiti hanno perso voti, mentre il PdL e la sinistra radicale sono stati i veri sconfitti da questa consultazione. Tornando sul risultato elettorale della coalizione di cui facevamo parte e che sosteneva la compagna Marano, pur con tutte le difficoltà che ci sono state, prima fra tutte la sostituzione del candidato presidente in extremis, bisogna sottolineare come l’alleanza di Fds, Sel, Verdi e IdV non abbia saputo intercettare quei voti di protesta in parte confluiti nel grillismo ma soprattutto caduti nell’astensionismo. Un problema che potrebbe ripercuotersi anche a livello nazionale, se si vuole usare la Sicilia da esempio, come fanno tanti. Grillo è infatti l’alternativa per tutti coloro che sono schifati dalla politica e, esattamente come nel 94, si cerca qualcuno di completamente diverso da votare, che sia un imprenditore di nuovo corso oppure un comico. L’importante quindi è rompere lo schema, e i partiti “tradizionali” hanno perso quella capacità di farlo che avevano nel Novecento. I politici sono tutti uguali, sono tutti ladri, serve pulizia, serve gente nuova e quindi, quasi seguendo lo stesso copione di vent’anni fa, ecco spuntare il nuovo, costruito a regola d’arte in base a modernissime tecniche di comunicazione.
In questa situazione, portare solo 70.000 (forse) persone in piazza, pur avendo mesi di lavoro organizzativo alle spalle e avendo mosso le macchine organizzative di Rifondazione, di Usb e dei Cobas, non può essere considerato un successo, bensì un fallimento. Sono stati commessi errori di fondo molto gravi nelle decisioni che hanno portato alla decisione di convocare questa manifestazione, il più grave di tutti è il non aver saputo analizzare la fase storica in senso marxista. Siamo lontanissimi da una fase prerivoluzionaria, al contrario di quanto sentenziava qualcuno nei folli appelli alla partecipazione usciti prima del No Monti Day e non esiste più nel paese una cultura collettiva che unisca tutte le classi sociali sfruttate. Sicuramente non è chiudendosi in uno steccato iperidentitario ed iperpopulista che si riesce a ricostruire questa cultura anche perché la gara a chi urla più forte la vince Grillo.