Le primarie e il futuro della sinistra

di Luigi Vinci | da Lavoro&Politica

bersani comizioIl dibattito interno al PD interessa tutti. Chi ne resta fuori sbaglia

La campagna delle primarie per la selezione del candidato del centrosinistra alla guida del governo, dopo le elezioni di primavera, fornisce non pochi elementi di riflessione sulla realtà del suo principale partito, il PD. Il contrasto tra i due principali candidati, il segretario Bersani e il sindaco di Firenze Renzi, ha le caratteristiche di un contrasto tra partiti alternativi, non tra membri dello stesso partito. Anche il tema della “rottamazione” è significativo in questo senso. E’ evidente l’intendimento di Renzi: spostare organicamente il PD sul versante del liberismo, in perfetta continuità con la politica del governo Monti. La “rottamazione” è funzionale a quest’obiettivo: si tratta, mortificando figure significative delle generazioni precedenti, di rompere ogni continuità anche parziale del PD con il passato gramsciano-riformatore di chi era nel PCI (o nel PSI) e con quello popolare-solidaristico di chi era nella DC.

La dichiarazione entusiasta “con Marchionne senza se e senza ma” e le cene con banchieri con sede nei “paradisi fiscali” sono esse pure parte di un discorso liberista: alla cui base è che si sta con i padroni, non con i lavoratori, con chi ha soldi e potere, non con chi fatica a tirare la fine del mese. Al contrario Bersani sta tentando un ancoraggio più netto del PD alle richieste popolari e del mondo del lavoro. Non si tratta solo di farsi perdonare l’appoggio alle misure del governo Monti: nel PD operano da tempo in profondità, e hanno cominciato a venire alla luce, ripensamenti più o meno ampi. Come ogni altra forza di centrosinistra europea, il PD (e prima di lui, DS e Margherita) si era bevuto in passato il calice del liberismo fino all’ultima goccia. La crisi esplosa nel 2007-2008, i suoi effetti sociali drammatici, soprattutto le politiche liberiste imposte dalle strutture di comando europee, con a capo Merkel e Sarkozy, hanno imposto ripensamenti, per via dei loro effetti sociali ed economici disastrosi e di cui non si vede la fine. Il governo Monti era stato accolto dal PD con entusiasmo, non solo perché sanciva la fine del governo Berlusconi, ma anche perché si credeva che potesse fermare l’attacco speculativo all’Italia e, più gradatamente, rovesciare la tendenza economica negativa: nulla di tutto questo è accaduto, l’attacco speculativo è stato contenuto dalla Banca Centrale Europea, la recessione si è aggravata, chiusure di imprese, disoccupazione, tagli allo stato sociale e balzelli sono a mille: e soprattutto questo ha imposto ripensamenti. Niente di strano che le culture politiche precedenti il trentennio liberista, nel caso di Bersani quella del PCI, che si ritenevano definitivamente archiviate, abbiano cominciato a condizionare le riflessioni su crisi, liberismo, loro effetti. Sono rondini che faranno primavera? O è il solito comportamento di sinistra moderata sotto elezioni, che vede uno spostamento verso sinistra i cui contenuti verranno dimenticati cinque minuti dopo averle vinte, come ci insegna l’esperienza dei due governi Prodi? Il fatto è che oggi è in corso una pesantissima crisi sociale ed economica (e delle stesse istituzioni democratiche) che, o incontra risposte di sinistra, o manderà a fondo il nostro paese. Le strade sono due e solo due: o la gestione di destra del disastro, utile a dare la mazzata finale al mondo del lavoro, o una svolta a sinistra. Il fatto che il PD sia il terreno principale sul quale oggi avviene lo scontro politico tra queste due strade non testimonia solo la forza delle componenti liberiste interne e quella del condizionamento liberista mass-mediatico: ci dice anche della serietà degli intendimenti dei contendenti Renzi e Bersani. Dunque la cosa più sciocca che si possa oggi affermare come sinistra “radicale” è che tutto questo interessi poco o nulla. In realtà, data anche l’elevata probabilità che le prossime elezioni siano vinte dal centro-sinistra, si tratta di una partita decisiva per il futuro del paese e della sua gente. Inoltre è una partita il cui esito può dipendere dal comportamento stesso della sinistra “radicale”, dal fatto cioè che stia a guardare oppure entri in campo. Una parte di essa per la verità in campo c’è entrata: SEL di Vendola. Un’altra parte sta tentando, dopo qualche intemperanza estiva, di rientrare: IdV di Di Pietro. Il Movimento per il Partito del Lavoro sarà in campo esso pure. Manca solo Rifondazione Comunista. Una scelta grave. E non c’è più molto tempo per correggerla.