di Francesco Valerio della Croce* per Marx21.it
Insopportabile. Tale è diventato il pressapochismo ed il discettare con proporzioni di massa a proposito del fenomeno migratorio, un trionfo di luoghi comuni ed irrazionalità scandito più dai rumori intestinali che dall’elaborazione di pensieri logici. Per l’importanza di questo fenomeno, che ha assunto dimensioni e proporzioni “bibliche”, non è possibile per un movimento rivoluzionario veramente consapevole rimanere impassibile di fronte a questo concentrato di ipocrisia, strumentalizzazione e vera e propria opera di distrazione di massa. Compito nostro, degli eredi della lezione di Antonio Gramsci, è arrivare alla radice dei problemi che la società e segnatamente questo modello sociale presenta, questioni che, in verità, noi sappiamo non essere epidermiche ma, al contrario, profondamente legate al modello di sviluppo entro cui questi grandi fenomeni sono descritti: vale a dire quello capitalistico contrassegnato dal pieno dispiegarsi della sua brutalità imperialista.
Per farlo, per arrivare al nocciolo della questione, è necessario, seppur nelle dimensioni contenute di un articolo d’approfondimento, dare risposte ad alcune domande fondamentali, il più delle volte eluse od aggirate, anche consapevolmente.
Procediamo con ordine e con un procedimento induttivo: chi sono questi immigrati? Sono persone che fuggono in massa dalle loro terre, principalmente dalla Libia. Scappano da terre in cui non esiste più legge, più Stato e più nessun ordine. Non c’è bisogno di argomentare troppo a riguardo: si consideri la Libia, divenuta oramai una mera espressione geografica, per parafrasare una nota espressione de cancelliere Metternich, divisa in almeno tre aree con tre governi differenti. Non è la “bocca della legge” a governare, ma quella delle armi: infatti, dopo la fine dell’era del governo di Gheddafi, sappiamo che quella terra è stata ed è tuttora insanguinata dalla rivalità tra settori dell’esercito divisi da interessi contrapposti. Sapete chi ha contribuito a creare questo stato di cose? I lettori di questo sito certamente possono rispondere agevolmente all’interrogativo, ma la grande maggioranza dell’assopito popolo italiano no. Sapete chi è andato a “rompergli le scatole a casa loro” (adoperando una frase fatta, in realtà in una forma più edulcorata di quella impiegata volgarmente, tanto rispettosa che oramai è entrata nel lessico comune popolare in un’accezione realmente razzista e dispregiativa)? Noi occidentali (mi si perdoni la lettera iniziale minuscola, ma diventa sempre più complicato riconoscere a questa porzione di mondo atlantica sita a ovest del mappamondo tratti di civiltà). Proprio noi, nuovamente invaghiti delle frontiere nazionali non abbiamo esitato a varcare i confini dei Paesi del nord Africa per raderli al suolo. Nell’indifferenza generale di un’opinione pubblica assopita e si sa che il silenzio che accompagna i fatti importanti della storia può essere un’accondiscendenza più forte e sentita di un assenso esplicito.
Perché vengono in Italia? Perché non c’è altra meta più vicina. Non c’è altro rifugio più sicuro. Gli Stati laici del nord Africa rischiano di essere abbattuti tutti per l’azione mirata degli occidentali, un altro presidio laico è sotto attacco da anni ormai. Parliamo della Siria.
A sud c’è l’ISIS. Provate, ancora una volta, a capire un po’ chi ha dato armi, soldi e, in buona sostanza, garantisce la sopravvivenza di questo flagello? Sempre noi occidentali, principalmente di lingua americana. E sapete perché sono stati armati da noi civili occidentali? Per distruggere i suddetti Stati laici, scomodi, poco inclini ad eseguire, Stati caratterizzati dalla presunzione di poter decidere autonomamente e sovranamente, potremmo dire. Ma una nota definizione di imperialismo di Lenin è sufficiente, quindi, a spiegare i motivi che hanno spinto la “nazione eletta da Dio” (definizione che rubo dalla riflessione del prof. Domenico Losurdo) ad una nuova campagna imperialista nel nord Africa.
Piccola chiosa sulla questione: questi popoli in esodo raggiungono l’Italia anche perché non si può, fortunatamente, impedire a nessuno di sognare una vita migliore, in uno Stato progredito economicamente (se sapessero che perfino la nostra Italia pian piano sta diventando sempre più una colonia, uno Stato, questo sì, molto incline ad eseguire ed a esercitare raramente la propria sovranità anzitutto politica…).
Vale la pena, però, di svelare un segreto, cosiddetto, di Pulcinella, ai tanti finissimi analisti che si cimentano nella comprensione di questi flussi inspiegabili ed ingovernabili: fino a quando ci saranno aree del mondo limitrofe in cui i tenori di vita saranno diversi, fino a quando ci saranno Stati più progrediti e prosperi di altri, ci sarà sempre immigrazione, tanto più quanto questo divario risulta maggiore. E’ sempre stato così storicamente e sempre così sarà. Più che di sgomberi, un lettore attento trarrebbe la conclusione che ci sarebbe bisogno di un mondo che tenda ad uno sviluppo eguale, in cui nessuna area e nessuno Stato si arroghi la pretesa di imperare su altri popoli, di depredare risorse, di distruggere tradizioni e costumi, di sfruttare la forza lavoro oltre ogni confine e frontiera, oltre ogni dignità. La soluzione sarebbe il comunismo, ci permettiamo di suggerire sottovoce ad un opinione pubblica dormiente, il cui sonno della ragione sta generando mostri e rupe. A nessuno si può impedire di sognare una vita migliore e di realizzarla, se necessario, emigrando dal proprio Paese, se poi si aggiunge a questo desiderio morale la necessità materiale di fuggire da guerre e folli fondamentalisti che ardono vivi e sgozzano persone inermi, viene facile capire che il desiderio di permanere in un simile inferno risulti veramente scarso.
– Terzo e, però, fondamentale: questi uomini e queste donne non sono solo “migranti”. Chi scrive, peccando certamente di adesione ad un sistema di pensiero e di scarsa inclinazione verso le argomentazioni di bassa lega da salotto televisivo e da “spam” a mezzo facebook, li definisce lavoratori e lavoratrici. Sì, proprio così. Si tratta degli operai che le aziende, italiane in primis, pubbliche e private hanno sfruttato a due soldi in tutti questi anni. Lavoratori provenienti da ogni parte dell’Africa che hanno lavorato soprattutto in Libia (uno stato che fino a quando ha potuto ancora definirsi tale ha accolto nei suoi confini oltre due milioni di immigrati da tutta l’Africa, principalmente dall’Egitto), ma non solo. Ebbene, questi compagni (perdonate l’imprudente definizione, ma tali li considero per gran parte) sono stati sfruttati parimenti e pure più dei lavoratori italiani dagli stessi affamatori del popolo italiano.
E sarebbero loro la causa dei nostri mali? Pazzo il degenere scrivente che li considera compagni di una lotta comune, che con il loro apporto gli sfruttati italiani potrebbero combattere con più forze.
Mi si chiederà a conclusione di questo sintetico ragionamento: “qual’è la proposta? Non ci sono soldi per tutti!”
Risposta secca: falso. Ce ne sono di risorse, eccome. Esse sono concentrate nelle mani e nelle disponibilità di pochi (il 10% dei cittadini italiani possiede circa il 50% della ricchezza nazionale, se non è una concentrazione monopolistica di potere questa in presenza di quale congiuntura del destino ci troveremmo allora?), gli stessi che vogliono far bere la favoletta dei “37 euro al giorno” (è drammatico constatare che ben pochi abbiano avuto il buon gusto di informarsi attraverso gli atti e non i luoghi comuni, avrebbero potuto constatare di persona la menzogna spregevole che innerva queste illazioni). Come si deve fare allora? Si mettano le frontiere. Non alle persone, ma alle grandi ricchezze, per impedire che facciano affaracci sporchi di pochi, affinché siano ridistribuite verso coloro a cui sono state sottratte, vale a dire il popolo italiano, i lavoratori italiani, e siano soggette a giusta e progressiva tassazione, come vuole la Costituzione. Eccoli lì, i soldi necessari per vivere tutti dignitosamente. Eccolo lì, il ruolo di uno Stato programmatore dell’economia, promotore di pace, cooperazione, che non si unisce alla campagna di destabilizzazione del Mediterraneo ma che vede e riconosce in quell’area una parte di sé, della propria storia antica, delle proprie radici e del proprio futuro e della propria dignità da riconquistare.
Non si vedono molto circolare queste analisi dei fatti. In parte è dovuto al fatto che i mass media siano non di più di venditori di fumo. Ma, d’altro canto, questa analisi porta un nome e cognome: si chiama “analisi di classe”, quella che guarda alla realtà, alla concretezza materiale della vita, agli interessi contrapposti delle classi, quella che non casca nella menzogna del “siamo tutti sulla stessa barca, il nemico è lo straniero e il barbaro invasore”. E quelli che la producono e che si schierano a sostegno di quella classe lavoratrice che è vittima delle bugie e del fumo venduto dai suoi affamatori, si chiamano “comunisti”.
Al solito: alla nostra coscienza completare questo ragionamento. Pertanto, a noi scegliere da che parte stare.
*Comitato Centrale PCdI