Il nostro compito e le sardine

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15 dicembre 2019

Il nostro compito e le sardine ovvero il dovere di ricominciare a ragionare sulla funzione (politica) delle piazze e il coraggio di costruire altro dalla parte giusta della barricata.

[Pubblichiamo alcune riflessioni sul cosiddetto movimento delle sardine, una serie di ragionamenti che abbiamo messo per iscritto nei giorni scorsi, ma che abbiamo atteso a pubblicare per monitorare gli sviluppi del passaggio politico della piazza nazionale a Roma del 14 dicembre. una giornata che ci conferma e rafforza le nostre convinzioni su questo “movimento”, e  dalla quale il dato importante da registrare è il palesarsi della regressione sul piano rivendicativo rispetto i decreti sicurezza, richiedendo il “ripensamento” e non l’abolizione. A dimostrazione che il problema che muove le sardine è, e rimane, di pura forma e non di sostanza della politica, che si tratti della Lega, del M5S o del PD. Un po come dire: “le cose si devono fare nel silenzio, senza rumore”…]

Il movimento delle sardine, divenuto famoso fin dalla prima piazza bolognese, ha imposto una serie di questioni nel dibattito politico. Per valutare le caratteristiche che questo movimento assume non si può che analizzarne la funzione che svolge all’interno di questo contesto. Un’analisi che prende in considerazione le Sardine astraendole dalla società in cui si sviluppano non può che essere parziale e di conseguenza non può che portare a conseguenze politiche particolari e incapaci di cogliere le questioni più generali.

La domanda a cui vogliamo rispondere è: basta l’elemento di massa per generare conflitto sociale?

Guardando appunto alla società si deve prendere atto che – in Italia soprattutto – le mobilitazioni di massa si esprimono essenzialmente su tre questioni: quella dell’ambientalismo, quella di genere e quella dell’antifascimo/antirazzismo, intorno a questi tre “temi” effettivamente si riempiono le piazze. Questo è sintomo di una certa disponibilità da parte di alcuni settori sociali a dedicarsi alla politica, ovvero a dedicare parte del proprio tempo – per quanto minimo in molti casi – a questioni che certamente ci toccano personalmente ma che necessariamente devono essere rappresentate collettivamente e quindi in piazza. Il movimento delle Sardine coglie questo dato oggettivo ma come ogni movimento politico – essendo il prodotto della società in cui viviamo – non può che essere soggetto ai rapporti di forza esistenti, rapporti di forza che definiscono i caratteri e la forma politica che il movimento assume e di conseguenza la funzione che svolge realmente nella società.

Il contesto nel quale si sviluppa è certamente quello della crisi del modo di produzione capitalistico, una crisi che dura ormai da più di dieci anni e che ha ridotto i margini di redistribuzione della ricchezza. Quindi oggettivamente le classi popolari percepiscono che “si sta peggio di prima”. Questo dato di fatto non fa altro che aumentare le contraddizioni nella società. Le contraddizioni di per se non si esprimono in maniera “pura” ma è l’azione delle soggettività organizzate che ne definisce la forma politica, ciò che non si può più negare è che il movimento delle Sardine è stato fondato da quattro portavoce che non si fanno problemi ad affermare “il centro-sinistra ci rappresenta bene”. Non solo, Mattia Sartori ha tranquillamente preso parte alla manifestazione elettorale di Stefano Bonaccini, candidato Pd in Emilia Romagna, dove il movimento è nato in funzione anti-Lega. È quindi un fatto che una delle soggettività organizzate di riferimento sia il centro-sinistra. Inoltre, se i media mainstream costruiscono una narrazione in cui esiste solo il dualismo PD/Lega, nel momento in cui si identificano i sovranisti con la Lega allora diventa naturale pensare che il soggetto capace di capitalizzare a livello elettorale sia proprio il PD. Ci sono altre soggettività all’interno del movimento? Certamente, in che rapporti di forza stanno con il PD? Agendo in un movimento con queste caratteristiche e a forte egemonia del PD è possibile rafforzarsi e quindi modificare i rapporti di forza?

Diamo uno sguardo alle parole d’ordine che il movimento ha sviluppato.

È sicuramente un movimento “morale” che, a partire da una piattaforma di “buoni sentimenti”, si oppone ai cosiddetti sovranisti e “populisti” nostrani. Rivendicano il diritto di essere persone normali che amano la bellezza e la non violenza mentre cantano Com’è profondo il mare di Lucio Dalla. La contrapposizione si esprime solo sul piano verbale e infatti le Sardine chiedono alla politica di abbassare i toni, di eliminare l’odio, di ridurre al minimo le esternazioni di rabbia. Contestano la forma che la politica ha assunto in Italia grazie a Salvini ma non si dice una parola sulle politiche che ha condotto, anche perché sono in continuità con quelle del PD. Quindi si può dire che sfrutta un dato morale e lo declina nella forma più utile al soggetto più forte in quel contesto, ovvero si rimuove ogni possibile “degenerazione” conflittuale e anzi si costruisce una narrazione nella quale il “conflitto” è il problema. La conseguenza naturale di questa operazione è l’affermazione che siamo tutti uguali, tra le Sardine non ci sono differenze. La questione delle Madamine SiTav nella piazza torinese ha messo in luce proprio questo, ovvero se le Madamine non rappresentano differenze nella forma che la manifestazione deve assumere allora possono tranquillamente stare in piazza.

Si vanno inoltre a definire alcuni elementi culturali che più che appartenere al popolo sono il riflesso diretto dell’egemonia borghese sulla società. Gli endorsement di Saviano e di Fazio hanno proprio la funzione di creare ad arte una divisione tra un “noi” e un “loro”, dove il “noi” sono gli illuminati, quelli che non si scompongono mai nemmeno di fronte alle atrocità di una società malata, mentre “loro”, quelli ignoranti, sono gli incompetenti, quelli che vengono strumentalizzati dalla paura e dalla demagogia, quelli accecati dall’odio. Tanto che La Stampa, in un’analisi sulla piazza torinese, candidamente ammette “Nessuno di loro, per dire, spende una parola per Joker che si potrebbe immaginare come film di riferimento di una massa giovanile scesa nelle strade per rivendicare attenzione da un potere cinico e insensibile. Anzi, in tanti ironizzano sul suo successo: ‘Non l’ho ancora visto, sarà grave?’”. Insomma, un atteggiamento per nulla popolare e molto elitario: in questo senso le Sardine sono l’esatto opposto dei Gilet Gialli.

La funzione reale che questa forma politica sta svolgendo nella società è tutta ideologica, nel senso che è funzionale allo sviluppo di una falsa coscienza che rimuove le differenze tra i settori popolari che subiscono la crisi e coloro che la gestiscono a colpi di tagli al welfare. Le sardine sono il brand – dalle sembianze buone e spontanee – della forza della concertazione nel nostro paese, anche questa uscita allo scoperto dopo le recenti dichiarazioni di Landini sulla necessità di un patto tra lavoratori, imprese e governo per rimettere in piedi il nostro paese. Alla faccia del facciamo come in Francia.

Salvini ha nel tempo sviluppato dei toni che soffiano sul fuoco delle contraddizioni reali di questa società, pur declinandole in maniera reazionaria la prateria poteva accendersi da un momento all’altro e così assistiamo al ritorno dei campioni dei “toni bassi”, i tecnici, come Mario Monti. Il segno di quanto questa operazione sia ideologica ce lo danno le parole della Fornero, colei che ha intasato il mercato del lavoro con la legge sulle pensioni costringendo migliaia di giovani alla disoccupazione e alla precarietà ha affermato: “I giovani mostrano di avere capito la necessità delle riforme, che tutte le riforme non sono necessariamente giuste ma vanno fatte, e l’idea di cancellarle soltanto in nome ‘del buon tempo antico’ è sbagliata” e ancora: “hanno anche capito che la riforma delle pensioni era un tentativo di riequilibrare il bilanciamento economico, fortemente sbilanciato a scapito delle nuove generazioni”. Tuttavia, lo ha detto sommessamente – com’è nel suo stile – e quindi le Sardine lo accettano. È chiaro che la forma che ha assunto il movimento delle Sardine permette la continuità delle politiche che hanno massacrato la popolazione, tutto sotto il segno della bandiera dell’Unione Europea.

Quindi stando dentro al movimento delle Sardine una forza politica che vuole portare avanti gli interessi delle classi popolari si rafforza o si indebolisce?

Qualcuno potrà dire che in fin dei conti se il movimento è democratico dovrà accettare le critiche ed è quindi possibile avanzare dei contenuti all’interno, non terrebbe conto però del fatto che la democrazia in questo contesto è solo formale. Infatti, tra le regole per stare insieme in piazza c’è questa: “Tutte le feste delle Sardine si sono svolte con sorrisi e serenità e sarà così anche la nostra. Se proprio qualche facinoroso vuol dire la sua, restate tranquilli, non reagite d’impulso, ma con distacco, le Forze dell’Ordine sono dalla nostra parte”. Chiediamolo ai Gilet Gialli da che parte stanno le Forze dell’Ordine.

E’ chiaro quindi che il movimento delle Sardine è uno dei tanti strumenti della pacificazione contro la nascita di conflitti in grado di rompere l’egemonia neoliberale e neoliberista nel nostro paese, nonché un’arma molto potente della ricomposizione della “sinistra” attorno alla paura del ritorno del fascismo: il fronte antifascista unito contro la Bestia è ancora una volta coniugato in senso negativo, mai per proposte sociali in opposizione alle imposizioni antipopolari della Troika e del capitale europeo. Come insegnano Macron e la Merkel per dare stabilità politica ad un paese è necessaria la Grosse koalition socialisti/conservatori, ma questa alleanza in Italia significa un governo PD/Lega il ché mette a rischio il consenso di entrambi i partiti. Il movimento delle Sardine recupera consensi sul terreno del centro-sinistra e finisce così per rispondere a una necessità delle classi dominanti, non solo in Emilia Romagna ma in tutto il paese. Nel paese dell’ex-Ilva e di Alitalia, bombe sociali in grado di mettere in ginocchio il nostro paese, l’area politica che ruota attorno al PD continua ad utilizzare strumentalmente il radicamento sociale ereditato dal vecchio PCI ed a usare – sfruttando il mondo dell’associazionismo ad esso affine – le strutture giovanili e sindacali per far sì che tutto cambi, senza realmente cambiare nulla. Nel frattempo si lascia alla Lega il rapporto con gli strati popolari che maggiormente sentono gli effetti della crisi e per questo non possono contenere la loro rabbia. Si produce così quella contraddizione tipica del dualismo politico italiano in cui la sinistra dice di combattere contro la Bestia (ieri Berlusconi e oggi Salvini) mentre costruisce materialmente l’ipotesi reazionaria consegnando la rappresentanza politica delle classi popolari alla destra e condividendone con essa le politiche reali.

Come organizzazione politica giovanile non possiamo esimerci dal prendere atto che c’è una certa disponibilità da parte di alcuni settori sociali a mobilitarsi, che la Storia non è finita ma sta girando e l’America latina sta lì a dimostrarcelo. Le Sardine ci dicono che per essere influenti nei movimenti è necessario organizzarsi, se però mancano gli spazi politici utili a mantenere il rapporto con i settori popolari l’organizzazione non può che indebolirsi e il nemico rafforzarsi. La fase politica che stiamo vivendo ci impone un salto di qualità sul piano della dialettizzazione con la realtà ma nessuna scorciatoia può salvarci dall’obbligo di provare a costruire altro, cioè una rappresentanza autonoma e indipendente degli interessi della nostra “gente”, a partire dalle nuove generazioni nate e cresciute nella crisi. Questo è il nostro compito, è la Storia che ce lo richiede.