di Franco Russo | su il Manifesto
Che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sia persona di cultura, di sagacia politica, convinto sostenitore dell’Ue fin dagli anni ’60, è fuori discussione. Così come fuori discussione è la sua probità. Non si tratta della persona ‘Napolitano’, si tratta del ruolo e dei connotati che la figura del Presidente della Repubblica è andata assumendo nel corso di questi tempi. Il governo Monti non è solo un governo del Presidente che, in una fase di crisi, va in Parlamento per ‘cercare una maggioranza’. Il governo Monti nasce sotto l’alto protettorato del Presidente della Repubblica. È grazie al Lord Protettore della democrazia italiana che si è coagulato il consenso della stragrande maggioranza del Parlamento, sulla base del sostegno delle organizzazioni sociali – dai sindacati alla Confindustria – costruito grazie alla collaborazione dei poteri forti della Confindustria, delle banche e della Chiesa del cardinal Bertone, che ha ora benedetto ‘la bella squadra’ di governo. A Todi il 17 ottobre, le organizzazioni cattoliche, agendo da braccio secolare della Chiesa, hanno costruito il governo Monti. Non a caso tre nuovi ministri – Passera, Riccardi e Ornaghi – sono stati lì protagonisti.
Il Presidente della Repubblica non è stato un ‘risolutore della crisi’, è divenuto un ‘reggitore dello Stato in un periodo di crisi’, per riprendere le espressioni di Carlo Esposito. Se dovessi trovare un riferimento istituzionale, direi che siamo dinnanzi a un semipresidenzialismo francese, dove il presidente regge lo Stato tramite il suo governo. La maggioranza di ‘impegno nazionale’, a differenza della Francia, non è il risultato delle urne ma dei diktat dei mercati finanziari. Questo ruolo di ‘reggitore dello Stato’ si era già manifestato durante il conflitto in Libia quando il deciso intervento del Presidente Napolitano, titolare del ‘comando delle Forze armate’, assicurò l’operativo sostegno dell’Italia all’Alleanza atlantica.
La crisi finanziaria, che coinvolge banche private e ‘debito sovrano’, ha comportato un accentramento della governance politica dell’Ue determinando un ulteriore slittamento della sovranità nel circuito istituzionale formato da Consiglio europeo, Commissione, Ecofin, Eurogruppo e vertice euro. Il suo fine è di imporre, tramite le procedure del ‘semestre europeo’, una rigida disciplina fiscale in ogni Stato membro. Le tre famose lettere tra governo italiano e Ue hanno dettato le scelte di politica economica e sociale: i governi, di qualsiasi colore siano, non possono che eseguire.
La Presidenza della Repubblica, di fronte alla sfiducia degli investitori verso l’Italia, è divenuta organo di garanzia di ‘ultima istanza’ del debito sovrano. A Bruges, il 26 ottobre, mentre si svolgeva il Vertice euro, il Presidente Napolitano ha espresso approvazione piena delle ‘rilevanti innovazioni’ del ‘semestre europeo’ e del contributo della Bce nella gestione della crisi del debito pubblico, facendosi convinto sostenitore dell’esecuzione puntuale delle richieste dell’Ue all’Italia. A Bruges è stata espressa la linea che ha poi guidato il Presidente nella soluzione della crisi di governo: «Nessuna forza politica italiana può continuare a governare, o può candidarsi a governare, senza mostrarsi consapevole delle decisioni, anche impopolari, da prendere ora nell’interesse nazionale e nell’interesse europeo», dunque le misure dell’Ue vanno accettate e attuate senza tentennamenti. Si deve agire in questo modo perché stanno avvenendo «trasferimenti di sovranità … a livello europeo».
Il Presidente Napolitano ha individuato nel Patto euro plus uno scavalcamento della «rigida parete divisoria che si volle sancire nel vigente Trattato a protezione delle competenze degli Stati nazionali, contro una progressiva estensione di quelle dell’Unione». I governi in Italia, come negli altri paesi membri, devono muoversi, secondo il Presidente Napolitano, entro i rigidi binari politici tracciati dall’Ue. Il governo Monti è il frutto di questa visione: è un governo commissario dell’Ue, sotto la protezione del Presidente, gestito da esponenti delle banche e della Chiesa, il cui intreccio va molto più in là dell’incontro di Todi.