
di Marco Pondrelli e Michele Carozza
La campagna elettorale con la fine del generale agosto sta entrando nel vivo. Gli estimatori del modello americano saranno contenti, questa è una campagna elettorale che si avvicina a quelle d’oltreoceano, si urla, si litiga ma più si entra nello specifico dei temi più ci si accorge che le differenze tra i grandi poli sono minime.
Il 14 agosto intervistato dal ‘Corriere della sera’ Calenda ha dato voce a quello che molti pensano, qualsiasi governo nato dal voto durerà al massimo sei mesi poi occorrerà una larga coalizione. In questi anni la maggior parte dei ‘governi responsabili’ è ruotata attorno al Partito democratico, vero garante rispetto ai poteri europei ed atlantici. Una volta un grande calciatore inglese, Gary Lineker, ha detto ‘il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince’, noi potremmo dire che anche il voto in Italia è una cosa semplice, si vota e governa il Pd, un partito che non ha mai vinto un’elezione ed ha quasi sempre governato.
In questo circo mediatico i candidati ed i giornalisti sono impegnati a cercare il pericoloso putiniano che vuole distruggere da dentro la democrazia italiana, nel grande bagaglino elettorale recentemente Paolo Mieli ha toccato inaspettate vette comiche accusando il Pd di essere sovietico, prontamente superato da Letta che ha chiesto agli elettori di scegliere fra Almirante e Berlinguer, di cui evidentemente l’allievo di Andreatta si considera erede, dopo avere votato con Fratelli d’Italia all’Europarlamento una risoluzione che equiparava nazismo e comunismo.
Qualche sera fa in televisione una nota e plastificata imprenditrice, senatrice di quella destra che si appresta a governare il paese alternandosi alla destra che lo ha governato fino ad ora, si è scagliata contro un disoccupato percettore del reddito di cittadinanza, 47enne e padre di quattro figli, reo di aver rifiutato impieghi per 400 euro mensili, accusandolo di svolgere lavori in nero ed insultandolo nel ruolo di padre a suo dire incapace, proprio in quanto disoccupato e percettore di reddito, di educare i figli al lavoro (non remunerato, avrebbe dovuto precisare). Il tutto con la complicità del conduttore, l’impavido Giletti, scampato per il rotto della cuffia alle risposte della Zakharova ma già pronto a silenziare quelle del malcapitato cittadino comune, col solito repertorio di sorrisi allusivi e insopportabile condiscendenza tipico di quelli che fanno il suo mestiere. Scene di una violenza intollerabile cui invece gran parte dell’opinione pubblica pare ormai assuefatta. Sembra di essere tornati nell’Inghilterra delle poor laws elisabettiane descritta nelle pagine del Capitale dedicate all’accumulazione primitiva, dove rentiers e latifondisti si trasformavano in moderni imprenditori chiedendo ed ottenendo dal potere legislativo di procurar loro manodopera gratuita, costringendo per legge i poveri al lavoro forzato, pena la perdita del diritto all’assistenza.
Chi ama lo spettacolo può concentrarsi su quello indegno che ci propinano ogni giorno, chi vuole fare politica dovrebbe invece riservare più tempo al rapporto che l’Ispettorato del Lavoro ha recentemente pubblicato. Si afferma alla fine del rapporto che ‘su 84.679 [ispezioni] il 69% è risultato complessivamente IRREGOLARE‘. Per quanto riguarda il lavoro nero si afferma: ‘negli anni si è assistito ad una diminuzione generale del lavoro nero per le donne determinando una riduzione della quota femminile che dal 40% del 2019 passa al 30% del 2021, mentre si è assistito ad una crescita della quota maschile di lavoro nero che va dal 60% del 2019 e arriva al 70% nel 2021‘, questo vuole dire che la quota femminile non si riduce perché le lavoratrici sono messe in regola ma semplicemente perché sono lasciate a casa.
Sempre nel rapporto emergono situazioni preoccupanti rispetto al mondo delle cooperative dove su 1320 controlli il 69% delle volte si sono registrate delle irregolarità e rispetto ai riders ‘dall’indagine è emerso che l’app scaricata da ciascun rider gestiva le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative (fasce orarie di lavoro, tempistica delle consegne, percorso da seguire, modalità di pagamento da parte del cliente) e che i riders che non si adeguavano al modello organizzativo previsto dalla piattaforma subivano ripercussioni negative‘.
Questi sono alcuni degli elementi più preoccupanti contenuti nel rapporto.
Conosciamo già gli argomenti a giustificazione di questa situazione. Sono solo casi, si dirà, la maggioranza delle imprese è sana, la maggioranza degli imprenditori è onesta. Eppure 7 imprese irregolari su 10 controllate è un dato inequivocabile che non può essere ignorato e che quanto meno dovrebbe condurre ad una seria discussione. Certo, se parliamo con uno dei tanti imprenditori di questo paese, lo sentiremo lamentarsi che nel groviglio di leggi, tasse e burocrazia è impossibile fare impresa senza incorrere in qualche irregolarità, l’illecito è un fatto fisiologico. Ma in un paese dove ogni giorno si contano tre morti sul lavoro, alcuni stritolati da macchinari manomessi cui qualcuno ha rimosso le sicurezze per aumentare i ritmi di produzione, questi argomenti sono inaccettabili. I numeri parlano di aspetti sistemici, non di una serie di episodi scollegati l’uno dall’altro. È indubbio che le leggi degli ultimi decenni (dalla legge Treu al Jobs Act) hanno peggiorato le condizioni dei lavoratori e reso più facili situazioni di sfruttamento diminuendo la forza dei lavoratori e delle lavoratrici. I salari italiani sono fermi al palo da anni, anzi sono addirittura calati negli ultimi tre decenni, unico caso in Europa. Ma incredibilmente la politica oggi è in grado solo di discutere del Reddito di Cittadinanza, che secondo alcuni sarebbe una valida alternativa ad un posto di lavoro, ovviamente se i posti di lavoro vengono pagati una miseria anche chiedere l’elemosina diventa una valida alternativa! Ciò che sconcerta è che questi temi siano completamente estranei al dibattito elettorale, segno ulteriore della distanza fra il Paese reale e le istituzioni che dovrebbero rappresentarlo. E del resto concorre a determinare questo quadro un’informazione pessima che fa di tutto per espellere le questioni del lavoro dal dibattito politico. Così i destinatari in difficoltà di eventuali misure economiche non sono mai i lavoratori, ma di volta in volta “le famiglie e le imprese”, nel linguaggio dei politici come in quello dei giornalisti il lavoro non è mai neppure nominato.
Oramai è sempre più probabile un’ulteriore crisi in autunno, di fronte ad una probabile recessione assisteremo alla passerella degli esperti di turno che ci spiegheranno che dobbiamo scegliere fra la sicurezza sul lavoro ed il lavoro stesso. Sono trent’anni che il mondo del lavoro in Italia è duramente colpito e sono 30 anni che l’Italia si impoverisce. A prescindere dal risultato del voto occorre da subito costruire un forte movimento di protesta, ci aspetta un autunno di lotta!
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