di Piero Di Siena | su Liberazione
Se è molto probabile che non ci fossero alternative, all’indomani delle dimissioni di Berlusconi, a un governo di transizione per affrontare l’emergenza finanziaria in cui il Paese si trova, è anche vero che nel corso di questi giorni la formazione del governo Monti sta incominciando a indicare anche i possibili sbocchi di questa fase di passaggio.
Appare sempre più evidente – sia dal lato dei contenuti illustrati dal presidente del Consiglio nel suo intervento alle Camere, sia dal lato dell’evoluzione dei rapporti tra le forze politiche che possono mettersi in moto – che la sinistra debba prendere le distanze dalla formazione di questo governo. Il programma di Monti non può essere il nostro. Nella sostanza esso esprime semplicemente un maggiore grado di coerenza e di serietà nell’applicare la linea che ci è stata dettata dalla Bce rispetto al vuoto e al marasma dell’ultima fase del governo Berlusconi.
Ciò non significa, tuttavia, che la sinistra debba limitarsi a rappresentare l’opposizione al nuovo governo e alla sua linea. Essa deve contemporaneamente avere uno sguardo attento e cercare di influire sull’evoluzione delle forze politiche nel loro complesso. Siamo in una situazione di una grande coalizione di fatto ed è difficile dire come ad essa reagiranno le maggiori forze in campo. Solo il Terzo polo sembra trovarsi completamente a suo agio nella situazione nuova che si è creata. Il Pdl è stato ad un passo dall’implosione ma è arduo sostenere che abbia del tutto scampato il pericolo. La Lega ha ripreso la sua libertà di movimento. Non sappiamo ancora se, come parte attiva della maggioranza che sostiene Monti, il Pd saprà diventare quel moderno partito che la borghesia italiana non ha mai avuto, oppure in questa difficile prova ripiomberà nelle laceranti divisioni e nella crisi d’identità che solo l’opposizione a Berlusconi aveva occultato. Quello che è certo che questo governo, almeno nelle sue intenzioni, è nato anche per sostenere un progetto politico ambizioso: quello di ridisegnare il quadro politico nel nostro paese, rompendo contemporaneamente gli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra.
In questa incertezza in cui l’intreccio tra crisi del sistema politico e crisi economica e finanziaria potrebbe diventare ancora più esplosivo, sarebbe importante che da sinistra – pur nella netta presa di distanze dal governo Monti e dal suo programma – venisse una proposta di coesione. Esercitare un’opposizione di qualità al governo, basata sulla capacità di critica e di proposta, e fare contemporaneamente della ricostruzione del centrosinistra la propria bandiera, per la sinistra intera, dovrebbe essere la parola d’ordine di questa fase politica. Si tratterebbe cioè di assumere il Pd come interlocutore per quello che è, e non per quello che vorremmo che fosse, cioè non come un pezzo della sinistra, casomai moderata, ma come rappresentante di un punto di vista dell’ordine sociale costituito che possa essere uno degli attori di quel compromesso tra capitale e lavoro che Monti non potrà mai rappresentare, per come egli è e per la maggioranza che lo sostiene, necessario a far uscire positivamente l’Italia e l’Europa dalla crisi.
In questa prospettiva la sinistra – che sarebbe necessario fosse unita – ritornerebbe ad assumere la sua peculiare funzione nazionale, perché è del tutto evidente che sul medio e lungo termine se si vuole effettivamente far uscire l’Italia e l’Europa dalla crisi non si tratta di applicare le ricette della Bce ma di cambiarle radicalmente e con esse la mission della stessa banca e delle altre istituzioni europee.
Per questo l’Italia avrebbe bisogno di un governo che avesse la forza e l’autorevolezza di aprire con gli altri partners europei, e in primo luogo con la Germania, questa discussione, non solo per la salvezza dell’Italia ma per quella dell’Europa.