di Antonio Siniscalchi | da www.oltremedianews.com
Monti si è dimesso ma ancora si attendono decisioni su una sua prossima candidatura. Ma in un anno di governo i risultati sono chiari, un paese sempre più povero, sempre più diviso, sempre più privo di diritti. Monti è stata l’arma della finanza per condurre la sua lotta di classe e, per evitare che vinca, l’unica soluzione è una reale alternativa al neoliberismo. Un’alternativa che deve partire da sinistra.
Un anno di governo Monti finisce così come era iniziato. In sordina e velocemente. Il presidente sale a colle, rassegna le dimissioni e Napolitano avvia le consultazioni più veloci della storia della repubblica, a fine mattinata ha sentito tutte le forze politiche e si prepara a sciogliere le camere. Così come un anno fa, in pochi giorni, Monti è stato nominato prima senatore a vita e poi capo del governo. Ed ora? Ed ora si attende sempre lui, Monti, la sua decisione di scendere o non scendere in campo. Fino a poche ore fa la scelta sembrava sicura ma ora il premier fa un piccolo passo indietro. Incertezza dell’ultimo minuto? Probabilmente no.
Monti gioca alla politica della suspense, come è di moda nello scenario elettorale degli ultimi tempi, dimostrando di avere in quest’anno affinato le sue abilità da politicante, alla faccia del tecnicismo. Monti aspetta solo il via libera dei suoi maggiori sostenitori cioè i poteri forti dell’economia globale. Una sorta di trattativa stato-mafia, solo che questa volta lo stato è sostituito dall’Europa – o per meglio dire dalla Germania – e la mafia è la criminalità organizzata dei grandi trust finanziari internazionali. Una trattativa che dovrà definitivamente incoronare Monti (o chiunque altro burattino al loro servizio) come uomo giusto per portare a termine la lotta di classe.
Lotta di classe è un termine arcaico, in disuso, che fa storcere il naso alla destra e – forse ancor più – alla sinistra, ma di lotta di classe si è trattato nell’ultimo anno. Solo che, in barba alle profezie di Marx, la lotta la stanno conducendo l’upper class, gli oligopoli finanziari, le banche. E il governo Monti ha prodotto i primi risultati. L’impoverimento generale di tutte le fasce della popolazione italiana, l’attacco costante ai diritti dei lavoratori, lo smantellamento dello stato sociale, la rincorsa ossessiva al mantenimento dello spread che genera – quando e se la crea – ricchezza fittizia che va in mano agli squali del mercato azionario, ma che non si manifesta nell’economia reale, nel paese che lavora. Quando e se lavora, perché ormai anche il lavoro è un privilegio, un anno di Monti ha fatto crescere i contratti precari diminuendo sempre più le garanzie di riassunzione per il lavoratore, ha continuato nella liberalizzazione selvaggia nella quale ogni privato è giudice, legislatore e boia nella propria impresa e si può permettere di ricattare e disporre in toto della vita del dipendente (su tutti Marchionne e la FIAT). Il paese-Italia è stato trasformato nell’impresa-Italia, una fabbrica d’epoca vittoriana in cui per il benessere dei padroni che controllano la produttività del paese si può sacrificare ogni forma di bene comune, di welfare, di garanzia e diritto primario. Un impoverimento di diritti ma anche un impoverimento reale che vuole portare ad una guerra tra poveri, i lavoratori dipendenti contro i lavoratori pubblici, accusati di sperperare i soldi pubblici, capro espiatorio perfetto per far dimenticare gli sperperi di questo governo che ancora finanzia gli F35 e concede privilegi economici al Vaticano e alle banche; e ancora i giovani contro gli anziani, lo scontro generazionale voluto dal governo nel quale i figli accusano i padri di percepire una pensione che gli nega la possibilità di avere uno stipendio, mentre i tecnici continuano a godersi i super stipendi, le super pensioni e tutti i privilegi pagati di tasca dai contribuenti.
Contribuenti che si son trovati succubi di una stretta fiscale sempre più forte ed iniqua, non redistribuita secondo il principio sacrosanto ed universale che chi più ha più paga. A riprova di ciò solo un esempio, il falso in bilancio, che ancora è legalizzato nel nostro ordinamento come “finanza creativa”, e che al governo Monti non è passato nemmeno lontanamente in testa di reintrodurre nonostante la campagna incessante sul recupero dell’evasione fiscale.
E poi l’antipolitica. Monti non ha fatto altro che inasprire il clima di odio tra la popolazione e la politica. L’astensionismo delle ultime elezioni sempre in crescendo è sintomo di un popolo che sta male, che si è fatto trascinare dalla disperazione sul baratro dell’indifferenza che spalanca le porte alla dittatura, non più militarizzata, ma economicizzata, tecnocratizzata. Parimenti l’assenza di un fronte comune di mobilitazione, nonostante gli accorati appelli della FIOM, stroncato sul nascere anche dalla violenza della polizia voluta dal governo del professore, che anche in ciò ha dimostrato la sua vena repressiva in perfetta linea con i diktat del neoliberismo colonialista e dei signori del mercato.
Ma Monti lascia il lavoro a metà, in attesa di completarlo (lui o chi per lui) dopo le elezioni. Intanto le forze politiche si trovano in stato confusionario. Durante le consultazioni con Napolitano di stamattina si è sentito di tutto. I centristi che dopo questo piccolo dietrofront di Monti si sentono sperduti, come un cagnolino senza più il padrone che gli dice cosa fare. Il PDL in preda, come da tempo, a deliri dialettici: dalla Biancofiore che chiede a Napolitano di riconsegnare la presidenza del consiglio a Berlusconi (il perché farlo, a due mesi dalle elezioni a camere sciolte, non è dato saperlo) fino allo stesso Silvio che cambia nuovamente opinione e, dopo averlo corteggiato per averlo tra i suoi, dice a Monti di restare fuori dalla bagarre elettorale ponendo anche la minaccia che “altrimenti si gioca il Quirinale”. Ma è chiaro a tutti ormai che ogni dichiarazione di Berlusconi è segno di una preoccupante e dilagante demenza senile.
Infine il PD. La Finocchiaro, nell’incontro con Napolitano, ha detto, in sostanza, “grazie di tutto e addio” ma tutto il PD teme che quello di Monti sia solo un arrivederci. Infatti Bersani in questi giorni è stato a meditare, l’ingresso nella competizione elettorale di Monti rischia di destabilizzare la sinistra e di ricondurla nella “sindrome degli eterni secondi”, tra i vertici democratici non se ne parla ma Monti fa paura, perché Monti non è solo il 12% datogli dai sondaggi della prima ora, Monti sono i poteri forti (banche, finanza, Europa, Vaticano) che entrano apertamente in corsa per governare; Monti per il PD è il peggior avversario possibile: come replicare a qualcuno di cui hai votato ogni singolo provvedimento? In un solo modo cambiando strada. Il PD deve strappare l’agenda Monti e costruire un programma di sinistra, un programma che qualche tempo fa già fu proposto dalla piattaforma FIOM. Il PD, ora, deve decidere la sua identità, o vittima dei centristi, o forza collante della sinistra, aprendosi ai nuovi soggetti che stanno nascendo tra i movimenti e i partiti di sinistra, come il progetto politico di Ingroia-De Magisris-PDCI-IDV presentato ieri a Roma.
Monti (per ora) chiude qui. La finanza internazionale è pronta a riportare i tutti i modi il suo servitore al governo per continuare e chiudere la lotta intrapresa. È ora di fermarli, di parlare al paese reale, di ricostruire partendo da una reale alternativa: più stato sociale, più controllo pubblico, maggiori garanzie per i lavoratori, una giusta tassazione verso i soggetti forti che dalla crisi hanno guadagnato, come le banche e i gruppi finanziari. È ora di rispondere alla lotta di classe voluta dall’alto con una lotta di classe, unita, dal basso.