di Pietro Bevilacqua | da il Manifesto
Deriva autoritaria. Riforma elettorale con la proposta di rafforzamento della figura del premier e abolizione del Senato, ma anche il Jobs act, il decisionismo di Renzi
Che il nostro paese sia messo su una china autoritaria lo prova non solo il contenuto delle riforme istituzionali proposte dal governo Renzi e approvate in Consiglio dei ministri. Su queste valga non solo l’appello lanciato da Zagrebelsky e Rodotà, ma anche le osservazioni e le riserve di tanti commentatori, perfino di esponenti e settori moderati della vita politica italiana. Quel che indica il senso di marcia, la direzione dei venti dominanti è il favore popolare di cui gode al momento l’iniziativa del governo, il consenso aperto della grande stampa, come Repubblica (ad eccezione del suo fondatore), l’ibrido e politicamente indistinto coro di approvazione che sale dai vari angoli del paese. E, segno dei tempi non poco significativo, è il concerto di voci ostili, la condanna corriva, il linguaggio scadente fino a essere scurrile contro i critici del progetto di riforme. Costoro vengono bollati come parrucconi, definiti — con una semantica della derisione che capovolge il significato delle parole — «soliti intellettuali», quasi fossero la banda de I soliti ignoti del film di Monicelli. È già accaduto che in momenti tristi e difficili della vita nazionale l’intelligenza sia stata derisa.