da https://www.ottobre
Esattamente un anno fa, nel marzo/aprile 2020, l’Italia si ritrovava in pieno lockdown, costretta, prima tra i paesi occidentali, a far fronte alla pandemia di Covid-19 esplosa a partire dalla sua regione più popolosa, la Lombardia. Lockdown imposto da circostanze più che eccezionali che si protraeva fino a fine maggio, benché osteggiato in ogni modo dagli ambienti economici e industriali e sopportato con insofferenza dal ceto politico. Col diminuire dei casi vi fu quindi la riapertura, scomposta e affrettata, cui si aggiungeva l’incapacità ad effettuare un’efficace opera di tracciamento e isolamento; di conseguenza, i contagi hanno iniziato logicamente a risalire dopo l’estate.
A partire da quel momento, è stato tutto un susseguirsi di mezze misure, mezze chiusure, intervallate da penose polemiche e resistenze di ogni tipo. Ma a quale costo, umano e materiale? Con quali risultati sulla dinamica della pandemia? Il risultato è stato che l’epidemia si è intensificata nel corso del novembre 2020 e inevitabilmente, in queste condizioni, si è giunti poi a una terza ondata, in cui siamo immersi oggi (insieme al resto dell’Europa e dell’Occidente). Nulla sembra cambiato da allora, e tutto ciò sta già portando al sacrificio di centinaia di vite ogni giorno, mentre l’Italia piange già più di 100.000 morti e soprattutto nessuna prospettiva di fine della crisi si intravede all’orizzonte.
Un bilancio così tragico non può che avere ragioni sistemiche. Analizzando quanto la pandemia aveva rivelato del nostro sistema capitalistico all’inizio dello scorso anno, avevamo identificato nei poderosi tagli alla sanità pubblica il vero e proprio detonatore del collasso del sistema sanitario nazionale in corso:
Il sistema sanitario nazionale negli ultimi 10 anni ha subito un taglio degli investimenti per circa 37 miliardi di euro, il ché si è tradotto in una perdita di oltre 70mila posti letto, 359 reparti chiusi insieme ad intere strutture di piccoli e meno piccoli ospedali che sono stati riconvertiti o abbandonati. Questo è un dato di fatto già di per sé sufficiente a spiegarne la crisi ed è inutile dare credito alle capriole statistiche che dicono che, in fondo, in termini assoluti la spesa sanitaria è aumentata, quando l’incremento è stato del solo 10% contro una media OCSE del 37%. C’è di più: questi mancati investimenti non si sono tradotti soltanto nei tagli alle strutture, ma perfino al personale sanitario. Fra il 2009 e il 2017 la sanità pubblica ha perso ben 46.500 addetti fra medici e infermieri, costringendo i rimanenti a turni massacranti, come ad esempio accade oggi nelle aree più critiche colpite dove si sconta la penuria di personale. [1]
Mancati investimenti e tagli al personale nel corso di dieci anni di folle austerità, e il parallelo drenaggio di risorse dal pubblico al privato, ci avevano condotto nell’abisso della crisi sanitaria generalizzata. Ora che la pandemia continua a presentare un conto tanto salato, c’è stata l’auspicabile inversione di tendenza rispetto alla sciagurata politica di tagli e privatizzazioni?
Certo si è cercato nell’urgenza di correre ai ripari:
Anche le misure di potenziamento, volte ad incrementare le risorse finanziarie, professionali e strumentali per far fronte all’emergenza sanitaria, sono state introdotte da tutti i principali Stati dell’UE senza sostanziali differenze. Tra queste le più significative includono l’approvvigionamento di dispositivi (ad es. procedure di acquisto in urgenza, avvio di produzioni locali, semplificazione della regolamentazione per uso e immissione in commercio, etc.), l’ottimizzazione dei posti letto (incremento posti letto di terapia intensiva, riconversione posti letto di altre specialità e rinvio degli interventi non urgenti, realizzazione di ospedali-Covid, etc. negli ultimi nove mesi è stata aumentata la disponibilità dei posti letto) e la mobilitazione degli operatori sanitari (abilitazione di studenti di medicina/infermieristica, richiamo di professionisti in pensione, utilizzo di personale militare e volontari, etc.). Tutti i principali Paesi hanno inoltre introdotto fondi aggiuntivi per la sanità. L’Italia ha incrementato la spesa sanitaria in misura analoga agli altri Paesi di fatto raddoppiando il tasso di crescita dal 1,8% del 2019 a poco meno del 4% di quest’anno [2]
Potenziamento, ottimizzazione e infine fondi aggiuntivi. Dalle statistiche risulta quindi che gli stanziamenti ordinari previsti siano raddoppiati in seguito al conclamarsi della crisi. Raddoppiati, tuttavia, rispetto alla miseria che era stata precedentemente programmata dalle finanziarie pre Covid, che rispondevano a una logica di disinvestimento. Concretamente, in termini assoluti prima della crisi:
Il nuovo livello del fabbisogno sanitario nazionale è stato fissato per il triennio 2019-2021 […] in 114.439 milioni di euro nel 2019 […] con successivi incrementi programmati pari a 2.000 milioni per il 2020 (quindi 116.439 milioni) e di ulteriori 1.500 milioni per il 2021 (117.939 milioni).
Col sopraggiungere dell’emergenza epidemiologica:
[…] il Governo ha adottato misure che, per il 2020, incrementano il fabbisogno sanitario standard a 119.556 milioni nel 2020. […] Il livello per il 2021 […] è ulteriormente cresciuto a seguito delle misure approvate con la legge di bilancio 2021 (L. n. 178/2020) a 121.370,1 milioni di euro. Per l’anno 2022, l’incremento del livello di finanziamento è programmato in 822,870 milioni di euro e, successivamente, per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025, di un ammontare pari a 527,070 milioni. A decorrere dal 2026, l’incremento sarà di 417,870 milioni di euro annui, anche tenendo conto della razionalizzazione della spesa prevista a decorrere dall’anno 2023.[3]
Decisamente, questa crisi non ha insegnato nulla. Sulla base di tali numeri, appena 9 miliardi in più per i prossimi 5 anni, non sembra infatti che si sia deciso di invertire strutturalmente la rotta e potenziare gli investimenti nella sanità pubblica e universale per recuperare i danni di un decennio, che ammontano a 37 miliardi in meno per la sanità. Torna invece persino il mantra del “razionalizzare la spesa”: la vecchia logica dei tagli e del sottofinanziamento che riemerge già a partire addirittura dal 2022, cioè domani, nonostante una crisi che per molteplici fattori non accenna a finire.
Si è deciso di mettere una piccola pezza per due anni sotto la pressione delle circostanze e sperando che “passi la nottata” per poi ritornare al sottofinanziamento cronico tanto caro ai capitalisti quando si tratta di mantenere i servizi pubblici e collettivi sotto ricatto. E questo nonostante il fatto che a causa dei temporeggiamenti nell’imporre nuove restrizioni per limitare la diffusione dei virus – temporeggiamenti ricordiamo sempre dovuti ai diktat padronali per tenere fabbriche e uffici aperti – gli ospedali sono di nuovo pieni e le terapie intensive di nuovo sotto pressione, con gli stessi numeri di un anno fa[4].
Con la differenza però di non poterci più giustificare dicendo di essere stati colti di sorpresa; non potevamo dirlo a rigor di logica neanche l’anno scorso, ma non volevamo dare credito agli allarmi che venivano dalla Cina, anzi. I “paladini” dell’opinione pubblica, così come le autorità, se da un lato sottovalutavano le notizie provenienti dalla Cina e non predisponevano nessuna allerta (al contrario con una certa aria di superiorità “democratica” criticavano le misure di contenimento cinesi), dall’altro lato, una volta scoppiato il bubbone in Italia e in Europa, si sono per la gran parte accodati alla campagna sinofobica de “i cinesi hanno nascosto”. Il sempiterno mix di superficialità e vittimismo che già si profilava dalle primissime battute di questo dramma.
Ad ogni modo, quantomeno da giugno 2020, avremmo dovuto essere pronti e aver messo in campo tutte le misure necessarie per salvare vite umane[5]. Invece non solo non lo siamo tutt’ora, ma sulla base di questi dati il quadro è fosco anche per il futuro, e il governo, senza pressione popolare e sociale, da un lato cerca di blandire l’opinione pubblica con i bei discorsi, dall’altro molto chiaramente si prepara ad infliggere nuove e più pesanti sofferenze alla popolazione.
L’Europa e l’Italia sono al collasso, l’Occidente intero ha fallito nella missione, semmai se la fosse posta, di salvaguardare la salute pubblica. Al contrario, salvaguardare gli interessi e i profitti dei capitalisti pur di mantenere a galla il grande business as usual, è stato invece giudicato più importante.
E i lavoratori?
I primi a fare le spese di questa scelta politica scellerata sono stati appunto i lavoratori, e tra essi innanzitutto quelli della sanità, in prima linea. Già in generale, come avevamo visto, il settore mancava di personale, al punto che:
L’Italia impiega meno infermieri rispetto a quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale (ad eccezione della Spagna) e il loro numero è notevolmente inferiore alla media dell’UE (5,8 infermieri per 1 000 abitanti contro gli 8,5 dell’UE)[6]
Questi infermieri sono gli stessi che sono stati chiamati a una mobilitazione straordinaria, perché nulla si è fatto per sopperire alla carenza di personale. La loro quotidianità da un anno è fatta di turni massacranti, assenza di riposo, e ovviamente non solo nessun piano serio di assunzioni e miglioramento delle condizioni di lavoro è stato intrapreso, ma l’unica cosa ottenuta, oltre a risibili bonus (su salari già di per sé bassissimi) è stata la nomina ad “eroi”, “angeli” e amenità simili. Una situazione al limite, dunque, a questo sono stati portati i lavoratori della sanità. Logicamente, lavorando in queste condizioni estreme, dal Report dell’Inail aggiornato al 28 febbraio 2021 sui contagi da Covid sul lavoro emerge questa orribile realtà:
La categoria più colpita in questi mesi è stata quella dei tecnici della salute con il 39% delle denunce (in tre casi su quattro sono donne), l’82,8% delle quali relative a infermieri, seguita dagli operatori socio sanitari (il 19,3%) e dai medici (9%).
Ma non solo non è stato protetto né aiutato il personale sanitario, già in sofferenza precedentemente e abbandonato a se stesso: in generale tutti i lavoratori sono stati vigliaccamente sacrificati. In una sorta di comunanza sociale nella “sventura”, tutto il mondo del lavoro dipendente si è trovato a dover pagare duramente l’irresponsabilità dei governi e l’avidità dei capitalisti:
“La seconda ondata ha avuto sul lavoro un impatto più grande della prima […] I contagi sul lavoro da Covid […] sono il doppio di quelli denunciati nella prima (marzo maggio 2020) con 101.000 denunce a fronte di 50.610. […] Il 44,6% delle denunce arriva dal Nord Ovest con la Lombardia che da sola concentra oltre un quarto delle denunce di contagio sul lavoro (il 26,5%).[7]
Insomma, con centinaia di morti al giorno, causati da contagi prevalentemente nei posti di lavoro, l’attuale gestione si configura come una strage di massa deliberatamente consentita al fine di preservare profitti e rendite dei capitalisti. Fino a quando non si interverrà per prevenire e combattere i contagi nei contesti in cui il telelavoro è impossibile, e dotare gli operatori sanitari di tutti i mezzi necessari per fronteggiare la crisi, non saremo in grado di contenere il virus e gli ospedali, sottofinanziati, continueranno a operare in emergenza.
E mentre questi lavoratori sono sottoposti a rischi spesso socialmente inutili (dato che le fabbriche aperte per produzioni non essenziali lo sono solo per la pressione del mondo industriale) e a turni massacranti, non si è certo avuta – a compensazione di questo sforzo loro richiesto, ma di fatto impostogli – una reale presa di coscienza circa l’importanza della sanità pubblica, né tanto meno un piano all’altezza della situazione.
Tutto ciò non è un caso: solo una lotta sociale protratta e intransigente, mirante alla difesa del lavoro – rivendicando sempre migliori condizioni, specie in termini di orario, carichi e salario – e della salute collettiva, con protagonisti i lavoratori stessi coscienti della posizione in cui padronato e governi al seguito li hanno messi, può far muovere in tale direzione classi dirigenti che altrimenti continueranno a fare gli interessi costituiti del Capitale, seguendo le classiche direttive liberali di austerità, privatizzazioni e precarizzazione.
Non saranno certo i vaccini – visti i disastri di una campagna vaccinale condizionata dal ricatto geopolitico e monopolistico delle grandi aziende farmaceutiche private, in posizione di non rispettare i contratti e limitare le consegne – a costituire la “soluzione miracolosa” da attendere in passiva rassegnazione, quanto semmai la già evocata lotta, unica via per porre chi governa di fronte alla responsabilità dei suoi criminali fallimenti.
Note:
[1]https://www.ottobre.info/2020/03/14/coronavirus-e-il-capitalismo-bellezza/
[2]https://www.pwc.com/it/it/press-room/assets/docs/cs-PwC-sanit%C3%A0-covid-19.pdf
[3]https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1104197.pdf
[4]https://www.repubblica.it/cronaca/2021/03/29/news/coronavirus_in_italia_il_bollettino_di_oggi_29_marzo_-294249826/;http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4362;
[5]https://www.fanpage.it/attualita/perche-nelle-marche-le-terapie-intensive-sono-al-collasso/)
[6]https://www.pwc.com/it/it/press-room/assets/docs/cs-PwC-sanit%C3%A0-covid-19.pdf