Bipolarismo: una vittoria di Salvini e Zingaretti (Renzi)

conte salvini crisidi Ugo Boghetta

M5S DAI DUE FORNI AI DUE FORNAI

Avvertenza: Questo articolo, condivisibile o meno, non è pensato come commento alla crisi e a come si risolve il puzzle di ferragosto, ma come impostazione di ragionamenti per perseguire obiettivi politici e costruire un soggetto politico nuovo.

Il governo del cambiamento sembra caduto come un qualsiasi esecutivo in tempi di vacanze. Le diatribe che ne seguono sono inevitabilmente parossistiche. Le opzioni in campo sono tante a dimostrazione della frammentazione politica. Comunque vada sarà un pasticcio.

È un vero peccato perchè il 4 marzo aveva rappresentato la prima vittoria di quegli strati sociali che per anni hanno subito liberismo, europeismo e globalizzazione e che volevano e vogliono un cambiamento. Un aggregato sociale certamente variopinto, purtroppo rappresentato da due partiti che più diversi non si può. Due partiti che invece di impostare un progetto hanno inseguito i sondaggi, i risultati a breve. Le cose, anche buone, che sono state fatte erano spots non elementi di una strategia.

Da una parte c’è il nuovo leghismo di Salvini che ha cercato di rielaborare i vecchi concetti bossiani su di un terreno nazionale. Roma Ladrona, sostituita da Bruxelles, è stata introiettata per inseguire i ceti rampanti e le varie bande dei buchi. La Devolution, tema non propriamente nazionale, è stata nascosta nel federalismo/regionalismo confidando nell’ignavia delle classi dirigenti del sud. Al contrario, ha mantenuto, sviluppato e rafforzato il tema immigrati/sicurezza non disdegnando di fare l’occhiolino a richiami fascisti e reazionari. La questione sicurezza, declinata come ordine pubblico, è stato il punto unificante che ha fatto decollare il consenso leghista in ogni dove. Ciò premesso, non voglio inoltrarmi nell’esegesi dei motivi per cui la Lega ha staccato la spina. Salvini deve aver “nasato” che il polo opposto si stava riorganizzando, il profilo adunco di Draghi si avvicinava e che, ormai, per motivi interni ed internazionali non c’erano più i margini, a partire dalla prossima Finanziaria, per portare a casa altri risultati. Meglio passare all’incasso. I tempi di questa operazione paiono tuttavia discutibili: tutti possono fare errori.

Sull’altro versante, invece, abbiamo avuto un M5S che più confuso, eclettico, estemporaneo non si può. La sommatoria dei temi che li ha portati al 33% è ora il veleno che li sta uccidendo. Non a caso Salvini li ha inchiodati sulla Tav che, volenti e nolenti, è l’ultimo pensiero degli italiani. Sull’Unione il M5S ha balbettato miseramente fino a votare la Von der Leyen. E non sono stati in grado di avere un’alternativa su sicurezza/immigrati avvicinandosi pericolosamente alle posizioni del variegato sinistrismo. Anche su altri temi sono stati di basso profilo. Il decreto dignità è poca cosa. Il RdC è confuso e non abolisce certo la povertà. Tuttavia, come per la ripublicizzazione di autostrade, il salvataggio Alitalia, i riders, ed ora sul salario minimo, sono stati gli unici, dopo anni, a tentare di invertire la rotta sui diritti del lavoro e dell’intervento pubblico. Su questi temi, al contrario, Salvini è sempre stato dalla parte del padronato. Conte, che negli ultimi tempi ha guidato i 5S, è stato rassicurante e non è sembrato molto diverso dai Presidenti del consiglio del centrosinistra. Mattarella ringrazia.

Una coalizione degli opposti, dunque, che non poteva durare ma che è servita a Salvini per cuocere i pentastellati poco a poco.

E, così, per i 5S, sono venuti rapidamente al pettine i nodi: cultura politica, modello organizzativo del movimento, e del suo vertice politico rappresentato dall’ineffabile Di Maio e dalla Casaleggio Associati. Potevano aprire loro la crisi, ormai inevitabile, sul regionalismo differenziato; cosa che avrebbe permesso loro un’offensiva al sud come al nord sui servizi fondamentali e sul senso e l’unità del paese, ma sono morti di tattica e di paura.

Salvini, il mattatore di questa fase, è stato anche aiutato dalle posizioni sempre più impresentabili a livello di massa delle variegate sinistre. E appaiono davvero singolari i richiami alla santa alleanza per fermarlo quando è proprio il sinistrismo l’incubatrice dell’apparente irresistibile ascesa del lombardo. E anche fare ora una Finanziaria: “per mettere in sicurezza i conti”, da parte di una coalizione antiSalvini sarebbe suicida. Vogliono farlo proprio stravincere! Ed in questo sarebbe ancor più aiutato se proprio i 5S insistono per votare l’ultimo atto del taglio dei parlamentari. Una cosa da deficienti che rischierebbe di dare alla Lega la maggioranza assoluta. Si parla anche di una nuova legge elettorale. Ma nel quadro che si sta delineando, la nuova legge elettorale sarebbe vieppiù maggioritaria e tendenzialmente bipolare.

Ma, ancora peggio, si sta delineando un qualche accordo con il PD nel più perfetto stile gattopardesco. Del resto la cultura politica pentastellata è così indifferenziata che possono guardare a destra e a manca. Ma tale cultura debole, fatta di piccoli e singoli spots, non produce egemonia. Così ora rischiano di essere cotti anche dal fornaio piddino.

In questo quadro mi sembra che il problema per le forze sovraniste-costituzional-socialiste sia quello di evitare il ritorno al bipolarismo e non tanto battere il solo Salvini. Il bipolarismo è la vittoria contemporanea di Salvini e Zingaretti. Questo, tuttavia, non significa sottovalutare l’aspetto reazionario che viene instillato nelle vene degli italiani dalla Lega. Aspetto che tende ad allontanare ogni elemento classista. Ma, come sopra già ricordato, non va nemmeno dimenticato che è l’anticlassimo, antilavorismo ed il noborder della cosiddetta sinistra ad aver alimentato la benzina con la quale corre il motore legaiolo. Lega e PD sono le due facce del liberismo. Il bipolarismo si costituisce come l’uno che si divide in due e non come due partiti distinti. Non si può combattere l’uno senza combattere l’altro.

L’unico che può mettere le zeppe, intralciare questo scenario, pur con errori madornali alle spalle e non meno problemi per il futuro,sono i M5S. O, meglio, è l’area che vi gravita attorno (astensione compresa) che può creare un terzo polo e lavorare per l’uscita dalla “seconda repubblica” liberista ed unionista. Proprio per questo motivo è necessario contrastare ogni avvicinamento dei 5S al PD ed affini.

Questo significa mettere nel conto una legislatura di opposizione, ricostruzione, accumulazione di forze.

Per fare ciò, tuttavia, si tratta di qualificare questo terzo polo con un nuovo profilo affrontando tutte le carenze evidenti del M5S e della sua galassia. Va precisato che non si tratta, in prima istanza, di un programma elettorale.

Ciò comporta, innanzitutto l’uscire dalle “Rete” e cominciare ad attivare le piazze. Così come è necessario ripensare anche ad una nuova e diversa riproposizione dei temi storici del movimento (e di qualsiasi cambiamento) in questo paese chiamato Italia: l’onestà, la legalità, l’efficacia della politica. Questo ultimo tema vale anche per l’interno del movimento stesso. La questione “della politica”, in particolare, andrebbe posta in modo molto diverso dai tagli dei costi. È necessario avere un’idea istituzionale che qualifichi e rilanci la democrazia: rappresentativa e popolare. In questo senso, invece di tagliare i parlamentari come se fosse una qualsiasi settore dove si applica la logica della spending review, sarebbe meglio tagliare Senato e Regioni: il primo perchè è un doppione, le seconde perchè si sono dimostrate inefficaci, sbagliate e costose. E questo, come già affermato, non per contenere la spesa ma per dare maggior efficacia democratica, ruolo e controllo popolare. Per questo fine, infatti, le istituzioni devono essere poche e con compiti chiari. Semmai andrebbero affiancate istanze popolare. Di più, è necessario avere un’idea diversa dallo smantellamento dello Stato di stampo leghista/piddino: Titolo V e autonomia differenziata. Un’idea che faccia i conti con i nodi storici del paese, interni ed internazionali, che costantemente riemergono e a cui, l’ignoranza della cosiddetta classe dirigente non presta alcuna attenzione. Anzi, è il problema.

In secondo luogo, appare necessario fondare in modo più consistente i due capisaldi, i due fondamenti di qualsiasi governo del cambiamento: la centralità dell’intervento pubblico (economico e sociale), e la questione del lavoro: occupazione, ruolo e diritti del lavoro, nuova matrice economica ed industriale. La stessa annosa questione delle tasse andrebbe impostata guardando il complesso della ricchezza. In questo quadro va riproposta ex-novo anche la questione meridionale abbandonata a cominciare dall’istituzione delle Regioni: prodromo dei variegati federalismi/regionalismi. Ed infine, è impellente impostare in modo più concreto e realistico la questione sicurezza che, in prima istanza, è questione sociale. Ciò andrebbe fatto anche con un approccio corretto e realistico alla questione dei migranti. Gli aventi diritti, i rifugiati, vanno ripartiti su base continentale denunciando cause e colpevoli: i paesi occidentali. Per gli altri deve valere la regole che in Italia si entra legalmente: regolazione dei flussi per poter integrare. Questo in un quadro di politica internazionale che contrasti il neocolonialista ed il liberismo che sono le cause delle immigrazioni e per affermare il diritto a non emigrare. Questo è l’interesse del paese Italia. Questo è l’interesse dell’Africa.

In buona sostanza, come si vede, si tratta di attuare la Carta ponendo le basi per uscire dalla seconda repubblica: un trentennio di fatto golpista. E di questa non può che far parte la questione dell’Unione Europea, l’uscita dalla quale va posta sul piano strategico e agita a livello popolare come se vi si fosse costretti. Nel contempo va delineata un’altra idea di alleanze ed unità europea: confederale o policentrica. La situazione internazionale, infatti, consente ad una media potenza come l’Italia di perseguire, con relazioni internazionali plurali, gli interessi nazionali delle proprie classi popolari e del paese. In questa prospettiva va contrastato con forza l’auto-razzismo sparso a piene mani da tutti i sinistrati per cui saremmo: “deboli”, un paese “piccolo”, il “ritorno alla liretta”. Un approccio che non corrisponde alla realtà del paese ma a quella delle sue classi dirigenti e, purtroppo a tanta parte di popolo.

Con questo, tuttavia, i sovranisti-costituzional-socialisti non debbono abbandonare l’idea di un proprio progetto e soggetto coerente, ma di cominciare a costruirlo nell’ambito sociale ed elettorale più sensibile: quello di chi ha votato M5S, lo vota ancora, si è astenuto ed è in sofferenza.