di Marco Pondrelli
Dopo le recenti elezioni regionali abbiamo ospitato due interventi, Chinappi e Natali, che si sono concentrati sul crescente astensionismo elettorale. Lo abbiamo fatto non solo perché entrambi gli interventi erano di indubbio valore ma anche perché il tema trattato è rilevante nei Paesi a capitalismo avanzato.
Volendo rintracciare le cause di questo rifiuto popolare del voto occorre concentrarsi su due questioni fra loro correlate.
La prima è l’inconsistenza della politica che non ha più il potere di decidere, a suo tempo Draghi parlò di ‘pilota automatico’ per chiarire come il voto democratico non potesse modificare la scelte strategiche di carattere economico e militare, è il mercato che governa i Paesi non la politica. Gli esempi si sprecano: i 5 stelle, la Lega di Salvini e la stessa Meloni si permettevano attacchi alla Nato e alla Ue quando erano all’opposizione che già prima di arrivare al governo erano scomparsi dalla loro agenda. Il popolo non ama essere preso in giro, è inutile votare chi all’opposizione dice una cosa e al governo ne fa un’altra, tanto vale stare a casa. Chi non soffre di questa contraddizione è il Partito democratico guerrafondaio tanto all’opposizione quanto al governo.
Il secondo motivo strettamente connesso al primo riguarda i rapporti di classe. Il modello statunitense, che tanto piace ai nostri politici, è quello che ha plasmato il nostro sistema politico. Forse non tutti sanno che agli inizi del Novecento la partecipazione elettorale negli Stati Uniti era molto alta, i partiti erano più simili ai partiti di massa che sarebbe sorti in Europa di lì a poco che non a comitati elettorali. Il Partito socialista continuava a crescere sulle ali delle grandi lotte sociali e di classe che si combattevano negli Stati Uniti. Cosa ha invertito questa tendenza? Da una parte una spietata repressione che ha fatto migliaia di morti (lo ricordino quelli che sostengono che negli USA non c’è mai stata lotta di classe), dall’altra una serie di riforme istituzionali che hanno rafforzato l’esecutivo e anche l’istituto delle primarie. Queste riforme hanno trasformato la politica in uno strumento in mano ai ricchi, escludendo non la ‘gente’ in senso generico ma le classi lavoratrici dalla vita politica.
Una passaggio simile si è prodotto in Italia. Gli anni ‘92-‘93 non furono solo gli anni degli accordi di luglio che abolirono la scala mobile ma anche gli anni del referendum Segni-Occhetto-Confindustria che introdusse il sistema maggioritario. Se da una parte si colpivano i lavoratori e le lavoratrici sui salari (che da allora non hanno fatto altro che calare), dall’altra si colpiva la rappresentanza democratica consegnando la politica alla finanza. Un esempio vale più di mille parole, nella scorsa legislatura su 630 deputati vi era un solo operaio, in quella attuale su 400 deputati gli operai sono zero!
Quello che è stato fatto è introdurre un sistema neocensuale in cui si è tornati ad una politica fatta dai ricchi per i ricchi. In quest’ottica non ci si può limitare a qualche frase di circostanza per commentare il crescente astensionismo e poi gioire per la propria vittoria, il problema che ha di fronte l’Italia è un problema democratico. Mentre giriamo il mondo per spiegare, con le bombe, che il nostro sistema è il migliore dovremmo fare i conti che i limiti delle nostre istituzioni e dovremmo capire che la questione democratica si lega a quella sociale. Nel Regno d’Italia, subito dopo la sua nascita, votava il 2% degli uomini, il restante 98% e le donne non erano ritenuti e ritenute capaci di esprimere un giudizio sulla cosa pubblica. Le grandi battaglie di fine Ottocento represse nel sangue dagli sgherri della monarchia chiedevano non solo migliori condizioni di lavoro ma anche democrazia, quella democrazia conquistata grazie alla Resistenza e che ora, giorno dopo giorno, viene limitata. Le battaglie che vengono portate avanti, non ultimo lo sciopero di venerdì su cui torneremo, devono avere un obiettivo ambizioso. Non si tratta più di limitare i danni ma di andare all’attacco, costruire un grande movimento che rimetta al centro della lotta non una fumosa e non meglio precisata classe media ma il mondo del lavoro dipendente.
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