Non lotta ma guerra di classe in Italia. E la principale vittima è il salario

da https://www.lantidiplomatico.it

Quando uscì 50 anni di guerra al salario decisi di pubblicare le recensioni che arrivavano. Una di esse era particolarmente negativa, definendomi un “Fantozzi”. Decisi di pubblicarla lo stesso, mi sembrava giusto. Due settimane fa un manager italiano che sta in Asia mi ha mandato la sua recensione sincera, esaltando la mia coerenza e definendomi “pittore della lotta di classe”,ma contestando i punti critici delle tesi del libro.

Non solo decisi di pubblicarla su fb e telegram, ma la pubblicai anche su l’AntiDiplomatico. A questa recensione è arrivata la risposta di Franco Ferlini, mio amico dal 1992, 82 anni, leader di Potere Operaio negli anni sessanta, leader del ’77 bolognese. Ecco la recensione di Ferlini che ringrazio: 

“SC manager in Asia il capitalismo dice non può tornare indietro, immerso nello straordinario sviluppo del capitalismo in Asia, fatica a concepire il fatto che in Europa e in particolare in Italia c’è stato uno spostamento del reddito e della ricchezza a favore del 1% della popolazione e un abbassamento delle condizioni di vita della restante della popolazione, in particolare dei lavoratori salariati e della massa crescente  che non trova o ha perso  o non è in grado di lavorare per età invalidità o carichi familiari. Picketty rileva che la distribuzione della ricchezza e dei patrimoni è ritornata alla situazione esistente nel diciannovesimo secolo al tempo di Proust.

Dicendo che il capitalismo non può tornare indietro compie una generalizzazione indebita perché sebbene il capitalismo sia un sistema globale, e come dice Marx la verità è nel tutto, ha uno sviluppo diseguale e zone anche molto avanzate convivono con zone di grande arretratezza, zone in crescita con altre declinanti.

Guardando dai punti alti di sviluppo si può anche ritenere che il capitalismo non può che progredire. Ma questo non è vero per tutti. E’ vero per una parte del tutto, sta di fatto che l’arretramento economico dell’Europa e in parte degli Stati Uniti è di tutta evidenza e in particolare la condizione dei lavoratori non solo con riferimento ai salari che sono rimasti indietro nei confronti dei profitti, ma anche e soprattutto per tutti quei rapporti di lavoro che sono fioriti degli ultimi 30 anni e che sono segnati dalla precarietà, dall’incertezza del domani e dalla miseria salariale che ha prodotto una nuova categoria di poveri, i lavoratori poveri e warking poors e forme di sottomissione schiavistica o quasi.

Tutto questo non è certo progresso, se non per una minoranza, ed è aggravato da tutti i tagli della spesa pubblica per la sanità, l’istruzione, l’abitazione e quant’altro si richiede in una società sviluppata, tagli con lo scopo di rendere il salario nudo. privo della quota dei servizi pubblici che costituiscono il salario sociale, cosi erodendo il grado di autonomia dei salariati nei confronti della borghesia.  Una guerra al salario sociale.

S.C. dice anche che non può esserci alcun ritorno al Plusvalore assoluto e ancora una volta generalizza il proprio punto di vista, dal momento che la produzione capitalistica può funzionare per quanto riguarda il plusvalore anche attraverso la riduzione dei salari, l’allungamento della giornata lavorativa, l’aumento della velocità delle macchine produttive, l’out sourcing ecc. appunto il plusvalore assoluto. Un discorso a parte meriterebbe il plusvalore relativo, che ha senso in un libero regime di concorrenza e parità di condizioni, altrimenti si potrebbe parlare di rendita di posizione, di brevettazione, di legislazione di cartellizzazione. Conviene ricordare che il Plusvalore relativo non è intrinseco al modo di produzione ma è risultato nello scarto tra il saggio generale settoriale di Plusvalore e di conseguenza di profitto e la quota addizionale di profitto che i singoli capitalisti riescono a procurarsi nelle imprese i cui  costi di produzione siano inferiori al costo medio di produzione del loro settore di riferimento. 

Rimane che Sergio Calzolari non tenga presente la condizione che si sta verificando ad esempio nel nostro paese ma più in generale con la sostituzione delle macchine intelligenti al lavoro umano, sostituzione che fino ad oggi non cresce a causa dei bassi salari, costa di meno un salariato part time precario immigrato che un robot. Oggi siamo come di fronte a una corsa all’oro e sembra che non ci sia rimasto dietro nulla ma abbagliato dalle magnifiche sorti e progressive del capitalismo asiatico il nostro si dimentica che lo sviluppo della Cina nasce dagli accordi di Nixon e Kissinger con cui venne spostata produzione manifatturiera dagli Stati Uniti dove le lotte salariali avevano intaccato e minacciato il saggio di profitto e l’accumulazione.

Nel 1982 a Pechino la popolazione cucinava con la carbonella per strada, la massa di capitali e di know how produttivo portati dalle multinazionali per costituire joint ventures con partecipazione cinese innescarono lo sviluppo che fino allora era stato arrestato dalla insufficiente accumulazione di capitali a cui Mao tentò di ovviare con scarso successo. Tutto questo è il risultato delle lotte degli operai americani e più in generale, visto che poi il processo di trasferimento delle manifatture si è esteso e approfondito, degli operai europei ed italiani; in particolare non bisogna Infatti dimenticare che l’Italia fu uno degli epicentri del grande movimento di lotta salariale.

A partire dal 1973, con il promemoria Mellon, con la costituzione della Trilateral Commission, con la minaccia dei colpi di Stato alla cilena, (memorabile l’affermazione Berlinguer “non si governa col 51%) venne avviata la guerra al salario i cui effetti sono sotto i nostri occhi. Ma per S.C. “Si è dato scontro sociale in Italia, ma mai  guerra di classe”. Come vogliamo chiamare la distruzione dell’industria pubblica, la devastazione servizio sanitario nazionale e della istruzione pubblica, a favore deli interessi privati e della privatizzazione sconsiderata e generale degli assetti sociali? Come del resto, con profonda analogia, è avvenuto in Francia, S.U. UK ecc.

La vittima di questa guerra, vinta secondo il plurimiliardario Buffett dal capitale, è il salario, in alcune situazioni ridotto al limite di una semi schiavitù, peggio del medioevo economico in cui nessuno lavorava quanto oggi, quanto occorre non per vivere , ma per sopravvivere.

Oggi ci troviamo in una situazione in qualche modo anomala perché i saggi di profitto in alcuni settori sono altissimi e in altri settori sono assolutamente insufficienti e si richiede l’intervento di una moneta fittizia fornita dalle banche centrali europee e americane per impedire un default devastante.

Il sg. S.C. non condivide l’impianto operaista di fondo nella analisi dello sviluppo storico sociale, ritiene che l’innovazione del e nel processo di produzione ha spinto la frazione dominante del capitale, e che le lotte siano una causale secondaria, tutto questo non per negare l’importanza dell’innovazione ma per richiamare le cause fondamentali dell’Innovazione, a cui purtroppo dobbiamo aggiungere la forza e la violenza impiegate nella reazione capitalistica per una società in cui masse sempre più grandi non trovano lavoro o se lo trovano è prevalentemente precario e servile. 

La posizione di Sergio Calzolari infine mi suona un po’ farisaica, esalta l’autore del libro, Pasquale Cicalese, come se fosse un artista al quale si concedono molte licenze anche in economia, ma “ Nel libro vi sono molti limiti teorici”.”

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