di Daniele Cardetta, coordinatore regionale FGCI Piemonte
In pieno 2011 sono ancora in tanti a definirsi anticapitalisti e comunisti. Tuttavia molti parlano di anticapitalismo e di politica ignorando alcuni degli scritti più acuti di uno che dovrebbe rappresentare il riferimento obbligato di qualsiasi rivoluzionario: “L’Estremismo, malattia infantile del comunismo” di Lenin. Come mai proprio questo testo, e come mai proprio ora?
Alla luce dei fatti della manifestazione degli “indignati” di Roma del 15 ottobre 2011, e alla luce degli effetti che ha provocato l’esplodere della violenza di alcune delle frange più radicali ed estremiste che hanno aderito al movimento, ritengo che possa essere di qualche utilità prendere in mano lo scritto di Lenin succitato. Prima una veloce contestualizzazione: gli indignati protestavano contro una violenta crisi economica abbattutasi contro l’Occidente capitalista con rara violenza, colpendo come al solito le classi popolari. Gli indignati erano in piazza per protestare contro quelli che sono stati individuati come i veri responsabili della crisi: banche, multinazionali, classe politica, grandi capitali. Gruppi minoritari di estremisti hanno distrutto negozi, macchine e altri simboli, alienandosi in parte il consenso del movimento stesso, e soprattutto provocando la reazione del governo di destra, il quale ovviamente invoca restrizioni ai cortei e la forca contro le agitazioni di qualsiasi tipo. A questi fatti ha fatto seguito una polemica tra una presunta “sinistra” del movimento, e una presunta “destra”, con la prima propugnatrice di atti violenti e che rivendica i fatti di Roma, e la seconda che al contrario ne prende le distanze per diversi motivi. Con le dovute proporzioni credo che Lenin abbia affrontato alcune di tali questioni nel suo scritto “L’Estremismo, malattia infantile del comunismo”. Andiamo nel dettaglio:
“La polemica contro i riformisti e i centristi aveva inoltre aperto la strada a una serie di concezioni estremistiche che rifiutavano l’intervento nei sindacati, la lotta sul terreno parlamentare, la lotta per la conquista della maggioranza nel movimento operaio.”
Qua Lenin parla del “rifiuto della lotta sul terreno parlamentare”, un rifiuto condiviso dagli estremisti di Roma.
È per combattere queste concezioni che Lenin scrive l’Estremismo, aprendo un dibattito che proseguirà poi nel III e IV Congresso (1921 e 1922) dell’Internazionale comunista.
Lenin polemizza frontalmente con le concezioni dei “comunisti di sinistra” che teorizzano l’uscita in massa dai sindacati riformisti, il rifiuto di “qualsiasi compromesso” e l’astensionismo parlamentare. Bersaglio principale della polemica è la sinistra tedesca e il suo principale teorico, l’olandese Hermann Gorter.”
Nel caso di Roma ovviamente non si parla di comunisti di sinistra, ma la sostanza del messaggio di Lenin resta lo stesso. Anzi Lenin si spingeva anche oltre, spiegando letteralmente quale dovrebbe essere il compito dei comunisti nell’organizzazione delle lotte
La posizione sui sindacati è estremamente chiara: i comunisti devono usare ogni mezzo per penetrare i sindacati, non solo quelli riformisti, ma anche quelli reazionari, rifiutare in ogni modo di essere separati dalla massa dei lavoratori non comunisti che sono organizzati nei sindacati. Questa posizione verrà poi ufficialmente ribadita in numerose risoluzioni votate nei congressi dell’Internazionale comunista.
“(…) Ogni diserzione volontaria del movimento professionale (cioè sindacale – NdR) ogni tentativo di scissione artificiale di sindacati (…) rappresenta un enorme danno per il movimento comunista. Essa separa gli operai più avanzati e coscienti dalle masse e le spinge verso i capi opportunisti che lavorano negli interessi della borghesia.”
Nella seconda parte parla di sindacati, ma il giudizio è tranquillamente estendibile anche al movimento degli “indignati”, sempre con le opportune precisazioni contestuali e cronologiche. Ma andiamo avanti:
“Nell’immediato futuro il compito principale di tutti i comunisti consiste in un lavoro costante, attivo e ostinato al fine di conquistare la maggioranza dei lavoratori in tutti i sindacati, nel non lasciarsi scoraggiare in alcun modo dallo spirito reazionario che regna attualmente nei sindacati (…) La forza di ogni partito comunista si misura soprattutto dalla influenza reale che esso esercita sulle masse operaie entro i sindacati”
Poi Lenin chiarisce la sua posizione riguardo alla “paura superstiziosa” del lavoro parlamentare:
“La puerilità della ‘negazione’ della partecipazione al parlamento sta appunto nel credere di ‘risolvere’ in questo modo ‘semplice, ‘facile’, pseudo rivoluzionario il difficile problema della lotta contro le influenze democratiche borghesi in seno al movimento operaio, mentre in realtà si fugge soltanto la propria ombra, si chiudono soltanto gli occhi di fronte alle difficoltà e si cerca soltanto di disfarsene con le parole”.
Lenin si scaglia anche contro la paura superstiziosa della “vita parlamentare”, allora come oggi considerata alla stregua della quintessenza di ogni male. Lenin non si lancia contro coloro che, allora come oggi, propugnano l’extraparlamentarismo come virtù perché un sincero ammiratore del sistema parlamentare, bensì per il consueto pragmatismo che lo ha da sempre contraddistinto. Vediamo cosa disse a proposito:
Il filo che unisce le diverse argomentazioni è la concezione di Lenin del ruolo dell’avanguardia, dei comunisti: “Con la sola avanguardia non si può vincere. Gettare la sola avanguardia nella battaglia decisiva, prima che tutta la classe, prima che le grandi masse abbiano preso una posizione di appoggio diretto all’avanguardia (…) non sarebbe soltanto una sciocchezza, ma anche un delitto”. E ancora: “Fin quando si trattava (e in quanto ancora si tratta) di conquistare al comunismo l’avanguardia del proletariato, il primo posto spetta alla propaganda. (…) Ma quando si tratta dell’azione pratica delle masse, quando si tratta di schierare – se così si può dire – eserciti di milioni di uomini (…) allora non si conclude un bel niente con i soli metodi propagandistici, con la semplice ripetizione delle verità del comunismo ‘puro’”.
Lenin nell’opera succitata ha delineato anche una situazione, per molti aspetti, estremamente simile a quella vissuta dalle forze comunista in Italia in questo 2011. Il leader comunista all’epoca si rivolgeva ai comunisti britannici, i quali dovevano all’epoca affrontare un avversario potente come il partito laburista, forte dell’appoggio dell’intero movimento sindacale (con molta fantasia potremmo paragonarlo al Pd). Lenin suggeriva ai compagni inglesi di trovare una via per inserirsi nelle contraddizioni tra il partito laburista, che nonostante il suo vertice fosse sia tra i più a destra fra tutti i partiti dell’Internazionale socialista, comunque organizzava milioni di operai, e i partiti borghesi, in particolare i liberali.
“Il partito comunista propone agli Snowden e Henderson (cioè ai dirigenti del partito laburista – NdR) un “compromesso”, un accordo elettorale: marciamo insieme contro il blocco di Lloyd George (il principale dirigente del partito liberale – NdR) e dei conservatori; dividiamo i seggi proporzionalmente al numero di voti dati dagli operai al Partito laburista o ai comunisti (non nelle elezioni, ma in una votazione particolare); riserviamoci la più completa libertà di agitazione, propaganda e azione politica. Senza quest’ultima condizione è chiaro che non si deve entrare nel blocco, perché sarebbe un tradimento (…).”
Se gli Snowden e gli Henderson accetteranno il blocco a queste condizioni, avremo ottenuto un vantaggio, perché non è affatto importante per noi il numero dei seggi in parlamento, perché noi non diamo la caccia ai seggi e su questo punto saremo arrendevoli (mentre i Henderson e soprattutto i loro nuovi amici, o i loro nuovi padroni, i liberali passati al Partito laburista indipendente, danno la caccia ai seggi). avremo ottenuto un vantaggio perché porteremo la nostra agitazione tra le masse nel momento in cui lo stesso Lloyd George le ha “eccitate”, e non soltanto aiuteremo il Partito laburista a costruire al più presto il proprio governo, ma aiuteremo anche le masse a comprendere più rapidamente la nostra propaganda comunista, che condurremo contro Henderson senza restrizioni e senza reticenze. Se gli Snowden e Henderson respingeranno il blocco con noi a queste condizioni, avremo ottenuto un vantaggio anche maggiore perché avremmo mostrato di colpo alle masse (…) che gli Henderson preferiscono i propri buoni rapporti con i capitalisti all’unità di tutti gli operai”
Ovviamente queste riflessioni di Lenin sono valide per un determinato contesto, e un determinato periodo. Tuttavia sembra quasi impossibile non ravvisare alcune somiglianze tra la situazione da lui qui delineata, e quella attraversata dai comunisti italiani nel XXI secolo. Qualcuno, giustamente, sosterrà che con il crollo del muro le cose sono leggermente cambiate, però mi sembra valido contraddire costoro ricordando la validità che assume la tattica politica in sé propugnata da Lenin, un vero professionista della politica per concretezza e flessibilità.
“(…) Se gli Henderson e gli Snowden rifiutassero il blocco con i comunisti, questi ultimi si avvantaggerebbero senz’altro, conquistando la simpatia delle masse e screditando gli Henderson e gli Snowden. Se poi, per effetto di questo rifiuto, perdessimo qualche seggio in parlamento, la cosa per noi non avrebbe alcuna importanza. Ci limiteremmo a proporre i nostri candidati in un numero ristretto di collegi assolutamente sicuri, nei quali cioè la presentazione delle nostre candidature non potrebbe portare alla vittoria del candidato liberale su quello laburista. Condurremmo la propaganda elettorale, diffonderemmo manifestini in favore del comunismo e, in tutti i collegi dove non avessimo candidati nostri, inviteremmo a votare per il laburista contro il borghese. (…)”
Notare che in quest’ultimo passaggio Lenin ha toccato uno snodo fondamentale, uno snodo utile da sviscerare per trarre indicazioni anche per la situazione italiana odierna. Lenin non chiede ai comunisti inglesi di arroccarsi su posizioni autoreferenziali, invitando i cittadini a votare per loro “contro” i socialdemocratici; al contrario suggerisce ai comunisti di tentare in ogni modo convergenze con questi ultimi, e comunque di invitare i compagni e i cittadini a votare sempre e comunque contro la destra. Una lezione quest’ultima, per i duri e puri che si definiscono “comunisti”, senza nemmeno aver letto Lenin.
“Per i comunisti inglesi è oggi molto spesso difficile anche solo accostare le masse, anche solo indurre le masse ad ascoltarli. Se mi presento come comunista, e dichiaro che invito a votare per Henderson contro Lloyd George, sarò senza dubbio ascoltato.”
Al di là delle differenze di contesto e periodo, queste indicazioni vanno studiate a fondo. Lenin, a differenza di quanto una lettura superficiale potrebbe indurre a pensare non era un dogmatico, bensì applicava alla realtà gli schemi ritenuti i migliori per poter realizzare le proprie idee. Auspicava la lotta parlamentare perché era utile al conseguimento di alcuni obiettivi, non perché era un pacifista-non violento. Per lo stesso motivo rigettava ogni avventurismo, destinato a disperdere energie rivoluzionarie che avrebbero potuto essere meglio incanalate per ottenere risultati più efficaci e duraturi.