La formazione del blocco politico atlantista in Italia e l’organizzazione del fronte contro la guerra

di Roberto Gabriele

La sfida l’ha lanciata Draghi quando, su richiesta di Conte, si è rifiutato di presentarsi in parlamento a riferire sulla natura della collaborazione militare con Zelensky. Conte dovrebbe ora spiegare come, vantandosi di essere il rappresentante del primo partito in parlamento, possa accettare un trattamento così umiliante. Questo fa capire comunque che aria tira in Italia negli ambienti definiti ‘istituzionali’ e che cosa si sta preparando.

Il fatto che Draghi vada da Biden è il segno di una tendenza che sta consolidandosi in Italia rispetto alla partecipazione del nostro paese alla guerra in Ucraina. Il capo del governo certamente non porterà a Washington i dati dei sondaggi che esprimono la contrarietà degli italiani all’invio di armi, ma andrà a ricevere le disposizioni americane su come questa guerra si debba ‘vincere’.

Questa scelta di campo, che fa piazza pulita di alcune esitazioni sul corso che gli avvenimenti stanno prendendo, comporta anche un allineamento di posizioni nel campo politico e governativo e cioè la riorganizzazione del fronte interno. A questo mirano infatti coloro che col PD e con la sua triangolazione con Draghi e Mattarella, stanno lavorando per riorganizzare il fronte politico atlantista a servizio degli americani. Le incertezze di Conte e il “pacifismo” di Salvini non garantiscono gli atlantisti ed espongono il governo Draghi a una possibilità di crisi della linea che punta alla vittoria militare in Ucraina. A una politica di guerra deve corrispondere una gestione del potere interno che la sostenga.

Si è visto subito come questo esercizio del controllo stia avvenendo nel settore dell’informazione e dei media. All’ordine del giorno c’è da tempo l’epurazione delle voci di opposizione alla vulgata della ‘difesa della democrazia’. Si va dalla vicenda del senatore Petrocelli, revocato d’ufficio da presidente della commissione esteri del senato, fino agli epigoni PD dell’amministrazione comunale di Zagarolo che hanno impedito la celebrazione del 9 maggio nella piazza del paese e, soprattutto, ci sono le liste di proscrizione di quelli che denunciano la guerra come volontà americana di regolare i conti con la Russia. Sullo sfondo c’è l’operazione Copasir, che viene coinvolto nel controllo del dissenso per stanare i ‘filoputinani’ e dare l’avvio, prevedendo tempi peggiori, alla campagna “attenti il nemico vi ascolta”.

Ma queste non sono che le avvisaglie di un’operazione più grande che punta alla riorganizzazione atlantista delle forze politiche di governo (e dietro il governo) che manovrano la situazione con la collaborazione dell’intelligence americana che traspare anche dalla sua presenza nelle trasmissioni televisive.

In che cosa consiste la riorganizzazione atlantica delle forze politiche in Italia? E’ evidente che nonostante il colpo di stato Mattarella-Draghi per far fuori Conte, la maggioranza che sostiene il governo è confusa e debilitata per i troppi compromessi e non può reggere a fronte di un inasprimento della guerra, che è l’ipotesi più probabile. C’è bisogno dunque che le forze atlantiste possano contare su un governo che abbia solide certezze sulla guerra e sulla politica americana, il che comporta realizzare uno schieramento che corrisponda a questa necessità.

Il PD da tempo lavora in questa direzione e non è un caso che il suo ministro della guerra Guerini sia un uomo di punta della politica militare americana. Ma il PD da solo non è in grado di realizzare l’obiettivo degli atlantisti. C’è bisogno di un sommovimento del quadro politico, ed è quello che si prevede in vista delle prossime elezioni politiche. E’ da lì che potrebbe nascere il nuovo schieramento a guida americana. Su questo Draghi è andato a prendere ordini negli Stati Uniti.

I giochi però non sono ancora fatti e non bisogna credere che le cose vadano necessariamente nel senso voluto dai filoamericani senza se e senza ma.

Per cominciare c’è il dato dei sondaggi, di cui tanto si parla e che non possono essere smentiti, che danno una maggioranza di italiani contrari all’invio delle armi in Ucraina e quindi, presumibilmente, contrari al coinvolgimento dell’Italia nella guerra. Parliamo di una percentuale superiore al 40%. Chi rappresenta questi italiani se i voti in parlamento per l’invio di armi sono stati plebiscitari, da Conte a Salvini passando per il PD, FdI e Forza Italia? E allora, come utilizzare questa forza e farla esprimere in una sorta di partito della pace che, al di fuori di gruppi e gruppetti che si agitano per rosicchiare qualche voto, tenti di dare una risposta forte a chi ci ha trascinato in guerra e nella crisi economica?

Questo è l’interrogativo che bisogna porsi in parallelo alla crescita del movimento contro la guerra.

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