La crisi di governo e il nuovo scenario che si apre

di Marco Pondrelli

Come abbiamo scritto domenica scorsa la legislatura è finita. Il governo Draghi è arrivato al capolinea ed il 25 settembre si terranno le elezioni. Diciamolo, la crisi del governo non nasce nella sfera dell’autonomia della politica, questa crisi è figlia delle tensioni sociali che schiacciano il nostro Paese ma soprattutto di quello che ci attenderà in autunno.

È molto probabile che si andrà verso una chiusura delle forniture russe, l’Unione europea sembra scegliere la strada del razionamento. Questo razionamento non sarà deciso in base all’esposizione che ogni Paese ha rispetto ai flussi russi ma riguarderà tutta l’energia che viene importata, questo vuole dire che il gas che arriverà dall’Algeria (per mezzo di una società partecipata da Gazprom) sarà inserito nel computo totale e su quello l’Italia vedrà un taglio dell’energia. Non c’è che dire le sanzioni alla Russia stanno sortendo i loro effetti, purtroppo contro di noi.

L’informazione italiana si è subito schierata con Draghi, atlantista ed europeista, senza perdere tempo ad analizzare la situazione. Molti giornali hanno accusato il populismo, colpevole di avere affossato il governo. Continuamo a non capire il senso che la grande informazione da alla parola populismo, se essa è un sinonimo di demagogia possiamo affermare che l’unico populista-demagogo è Mario Draghi che si è presentato in Parlamento e, pur senza parlare di un’aula sorda e grigia da trasformare in un bivacco di manipoli, ha affermato che sono stati gli italiani a chiedere che lui facesse il Presidente del Consiglio. La democrazia rappresentativa evidentemente non rientra negli interessi dell’ex dirigente di Goldman Sachs. Di fronte ad una tale forzatura istituzionale il Partito Democratico si è trasformato nel più convinto sostenitore dell’operazione ‘salviamo il soldato Draghi’ che, come twittato dalla vice Premier ucraina, può consentire di sconfiggere Putin. Il pd si conferma il rappresentante del grande capitale finanziario internazionale sempre più distante da quel popolo che a parole dice di volere rappresentare. Sulla stessa linea si colloca la grande informazione con in prima fila il TG1 dell’embedded Maggioni (che tanti ‘compagni’ difesero quando venne defenestrata per fare posto a Marcello Foa come Presidente della RAI), ed i giornali del gruppo GEDI che piangono copiosamente la fine del governo dei Migliori.

Molti sondaggi, di cui sempre occorre diffidare, danno per scontata la vittoria del centro-destra guidato dalla Meloni. La previsione ad oggi non è semplice in virtù di una legge elettorale che potrebbe dare risultati non chiari. In ogni caso la Meloni non è l’altra faccia della medaglia rispetto al Pd, è la stessa faccia della medaglia! Lega e Forza Italia hanno governato con il Pd ed i 5 stelle e la Meloni ha interpretato intelligentemente, questo gli va riconosciuto, l’opposizione di sua maestà, incalzando, ad esempio, il Governo sul 2% per la spese militari o sul sostengno all’Ucraina.

La geografia elettorale inizia a delinearsi, se il centro-destra riproporrà la classica formula il pd probabilmente si accompagnerà al centro draghiano, formato da Renzi, Calenda, Toti ed i neo fuoriusciti di forza Italia. Il M5S vive il momento più difficile della sua esistenza, era arrivato al governo nel 2018 parlando di nazionalizzazioni, di separazione fra banche commerciali e d’investimento ad oggi possono presentarsi come i fautori del reddito di cittadinanza ma allo stesso tempo come un partito che non ha retto la sfida di governo abbandonando la grandi battaglie (molti delle quali condivisibili), che ne avevano segnato la genesi per divenire il partito delle compatibilità. Va però detto che se questo governo è entrato in crisi lo si deve alla scelta del M5S, il quale adesso è di fronte ad una scelta: essere la parte critica del centro sinistra (magari rinato con un accordo parlamentare post-voto) o costruire una prospettiva alternativa a quella attuale.

In tutto questo le forze di sinistra e comuniste sono marginali e divise. Arrivati a questo punto la nostra richiesta di fronte ampio diventa un obbligo non più eludibile. L’obiettivo non è governare il Paese ma costruire l’opposizione, conquistare casematte in grado di consentirci di costruire una opposizione che un domani possa cambiare lo stato di cose esistenti. In un futuro Parlamento questo schieramento potrebbe trovare punti di convergenza anche con le parti più avanzate del Movimento 5 Stelle. Per costruire un’opposizione convincente due sono i punti irrinunciabili, il primo è la critica all’Unione europea che si sta rivelando una gabbia che condanna il nostro Paese alla povertà; il secondo è l’uscita dell’Italia dalla Nato e su questo non c’è spazio per le ambiguità o per l’equidistanza: il pericolo per la pace oggi viene dagli Stati Uniti e non dalla Russia.

Ci sono molte forze politiche che condividono queste posizioni, oggi occorre andare oltre la difesa del proprio giardino per guardare alla battaglia complessiva. La sensazione è che non avremo un’altra opportunità. Dobbiamo unirci su queste due semplici posizioni che si traducono con le parole pace e lavoro, la storia non ci giudicherà su qualche militante strappato al partito ‘nemico’ o su qualche voto in più preso, saremo giudicati da come riusciremo a modificare lo stato di cose presente. Lo diciamo da tempo e lo gridiamo ora con ancora più forza: il momento è ora.

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