di Aginform
Le ultime scelte della CGIL ci consegnano un sindacato che sta operando una nuova svolta nel suo modo di essere. Eravamo abituati al consociativismo, quello del salario come variabile dipendente, ora assistiamo a una nuova mutazione genetica che porta la Cgil a essere un elemento del gioco politico attorno al governo, o per meglio dire ai governi. I due passaggi che hanno messo in evidenza questa nuova realtà sono stati la tavola rotonda con l’opposizione, da Calenda a Conte, e l’invito al congresso di Rimini della Meloni. In luogo di svolgere il suo ruolo istituzionale di difesa degli interessi dei lavoratori e di presentare piattaforme rivendicative e obiettivi di lotta, la scelta è stata quella di aprire un dialogo a tutto campo sulle questioni di indirizzo economico del governo, senza nessun ancoraggio programmatico vero e con l’evocazione come ricorso estremo e remoto allo sciopero nel caso che le trattative politiche non vadano in porto. Grottescamente, Landini non si è accorto che mentre gestiva il teatrino politico a Rimini e minacciava perfino di ricorrere al solito ‘sciopero generale’, Parigi era in fiamme e in molti altri paesi europei, dalla Grecia, alla Gran Bretagna, al Portogallo si è aperta la stagione delle lotte.
Dove sta dunque lo scandalo e quali sono le novità di questa svolta landiniana?
Lo scandalo sta nel fatto che a fronte di una inflazione galoppante e di un programma di governo classista (alla rovescia) nessuna risposta è stata messa in campo finora da parte dei confederali. Si è lasciato alla Schlein il ruolo di fare propaganda al nuovo PD con la proposta, scippata al movimento 5stelle, sul salario minimo senza che i confederali prendessero posizione nè su questo nè sul reddito di cittadinanza. C’è un abbandono completo dunque di una linea sindacale che parta dalla difesa degli interessi materiali dei lavoratori e c’è l’intenzione di fare del sindacato confederale una pedina del gioco delle alleanze di governo che fa perno sul PD. Non è un caso che il discorso sulla riforma fiscale sia andato in parallelo tra Landini e la Schlein. E tutto il resto, l’adeguamento salariale, la lotta alla precarietà, l’adeguamento delle pensioni dove è andato a finire?
In realtà il landinismo sta portando la Cgil verso lidi che ne cambiano completamente le caratteristiche genetiche e la riducono a un gruppo di pressione interno al gioco politico. Questo spiega l’invito alla Meloni al congresso di Rimini e questo spiega anche la scelta di discutere con Calenda e la Schlein in tavole rotonde di facciata senza una piattaforma di proposte concrete.
In questo quadro rientra anche lo strano silenzio che circonda il rapporto tra la Cgil, la Confindustria e le altre organizzazioni padronali. Eppure sul salario, la precarietà, i rinnovi contrattuali, il confronto dovrebbe avvenire proprio con loro. Evitarlo non significa solo moderatismo, ma sottintende qualcosa di diverso che può spiegare la svolta politichese della Cgil. Non chiamare in causa Confindustria e soci vuol dire concordare con essi che gli oneri vanno spostati sui provvedimenti di politica economica del governo in materia di fisco e di cuneo fiscale deviando dall’obiettivo principale di confrontarsi e scontrarsi col padronato sulla precarietà e sui livelli salariali.
La mutazione genetica della Cgil è apparsa dunque evidente dall’andamento del congresso di Rimini dove l’attenzione si è accentrata sull’invito alla Meloni invece che su una dura battaglia contro Landini e le scelte dei dirigenti sindacali che guidano la confederazione e ci si è limitati al gesto di una minoranza con il canto di Bella ciao, il solito antifascismo formale, senza un vero scontro con il capo del governo venuta a sfidare i lavoratori ribadendo la posizione negativa sul reddito di cittadinanza e il no al salario minimo e a confermare il precariato semplificandone le procedure, introducendo anche i voucher.
Come si esce da questo tunnel? Il punto di partenza sono sempre i lavoratori, la loro reazione allo stato di cose presente, e quindi bisogna lavorare in primo luogo per suscitare una dura reazione verso le confederazioni sindacali che bloccano le possibilità di lotta. Questo obiettivo non lo si raggiunge però con scioperi virtuali, ma con la capacità di mettere in crisi il ruolo di conservazione sociale che i confederali svolgono. Parallelamente però bisogna far progredire l’idea che il sindacato delle tessere, che alimenta solo una burocrazia parassitaria e spesso corrotta (si veda l’ultimo scandalo della Uil Funzione Pubblica commissariata per corruzione), deve essere sostituito da un sistema democratico, unitario e diretto di rappresentanza. Protagonismo dei lavoratori e strumenti unitari sono il passaggio necessario per mettere in crisi l’attuale sistema del monopolio confederale della contrattazione e riaprire una nuova stagione di lotte e di conquiste.
Unisciti al nostro canale telegram