Il proletariato ha sconfitto tutti

pubblichiamo come contributo al dibattito questo interessante intervento di analisi sulle recenti elezioni

di Norberto Natali

Questa tornata elettorale è la prima dell’era Draghi e serve a legittimare (non da sola) l’autofinanziamento truffaldino dei monopoli finanziari europei, i quali fingono di “regalarci” centinaia di miliardi che in realtà andranno a sovvenzionare i loro profitti e speculazioni, mentre manterranno invariato (anzi, qualcosa peggiorerà) il regime di pensioni e salari bassi, di larga diffusione della disoccupazione e della precarietà, dei crescenti “elementi di fascismo” nei luoghi di lavoro che sono la reale causa (altro che formazione e sicurezza) della mattanza incessante di lavoratrici e lavoratori.

Anche per questo si è registrato un ulteriore degrado del costume e della moralità politica nazionale, con la stessa formazione delle liste dei vari partiti, l’indecente nomadismo dei candidati, il sempre più sfacciato affarismo e manifesto impegno elettorale e politico come espediente per tornaconti personali e di gruppo.

Bisognerebbe rileggere un memorabile comizio del compagno Pietro Secchia a Foggia nel 1953, il cui tema era “i nostri candidati e i loro”. Invece questo aspetto -malgrado la solita messa in scena di tensioni e conflitti tra vera destra e finta sinistra- è rimasto in ombra e così continuerà ad essere finché non riavremo un PCI forte e coerente.

Senza di ciò, del resto, non avremo probabilmente neanche una sinistra unita e credibile, visto l’irresponsabilità di varie organizzazioni e forze della sinistra alternativa, ovvero non asservita al PD, le quali si sono presentate in molte consultazioni elettorali con tante diverse candidature separate e dunque contrapposte.

Il degrado si manifesta anche in un’oltraggiosa proliferazione di liste inutili e che sono il riflesso di quanto già scritto. Spesso, a chi sostiene di non voler votare, si risponde che ciò è una mancanza di rispetto verso i Partigiani a cui dobbiamo il libero voto. È giusto: proprio per questo presentare (come nel caso di Roma) 22 candidature a sindaco e 40/50 liste concorrenti è un’offesa al significato delle conquiste democratiche della Resistenza. Tant’è che alcuni di questi presunti aspiranti sindaco si presentano come “Nerone” o “dottor seduzione”.

Per fortuna larga parte del proletariato pare abbia capito tutto ciò, anche se solo un velleitario spontaneista potrebbe illudersi che ne consegua automaticamente una soluzione. La grande maggioranza dei proletari, in primo luogo, dimostra di aver capito la reale natura del regime bipolare, dimostra di non credere nella fasulla alternanza tra cosiddetti centrodestra e centrosinistra, anche quando qualche volta li vota.

Perché passa tranquillamente dall’uno all’altro, sulla base di motivazioni del tutto contingenti e superficiali, smentendo così ogni pretesa di irriducibile alterità tra i due gruppi di politicanti. Soprattutto si rifiuta crescentemente di dare il proprio appoggio a questi “poli” ma anche a chi -per esempio la sinistra alternativa- dimostra di non credere in se stessa e di non fornire proposte convincenti, capaci di ottenere risultati e crescere.

Il disinteresse, il disgusto e sempre più spesso il cosciente rifiuto di votare a favore di questo sistema politico ha fatto un salto in questa tornata elettorale. Fino a pochissimi anni fa le elezioni comunali e circoscrizionali erano tra le più partecipate (pur sempre in un quadro di crescente astensionismo) sia per l’immediatezza dei motivi di voto, sia per la grande densità di candidati (con seguito di amici e familiari) impegnati nella campagna elettorale.

Stavolta una larga maggioranza assoluta ha scelto l’astensionismo ma -in questo quadro- esso non si riduce a chi non va al seggio. Bisogna aggiungere schede bianche e voti nulli (quasi tutti sono intenzionali, non errori) e io aggiungerei anche chi da un voto a liste o candidati chiaramente goliardici, assurdi: è un modo per dire ai grandi partiti di sistema che -per l’elettore- essi sono meno credibili di quei candidati stessi.

Politicamente, i veri voti validi sono quelli dati ai grandi partiti parlamentari o ai piccoli partiti comunisti e ad altre formazioni minori ma di carattere storico e con un’identità definita: i radicali, i verdi, i partiti delle minoranze linguistiche. La percentuale di questi ultimi tipi di voti è scesa costantemente e progressivamente negli ultimi decenni e ormai si tratta di una minoranza abbastanza contenuta, soprattutto nel proletariato.

Ciò dipende in primo luogo da una volontà politica, da un sistema politico elettorale, scelto da un parlamento dichiarato incostituzionale dall’apposita Corte, in virtù del quale ogni elezione è sempre diversa e si spegne ogni identità: non solo si vota con sistemi elettorali diversi ma i candidati e i nomi delle liste e la composizione delle coalizioni sono sempre variabili e molti si trovano alternativamente su fronti opposti. Non a caso abbiamo un parlamento e molte altre assemblee elettive nelle quali migliaia di eletti cambiano partito e collocazione, anche più volte nello stesso mandato.

Sembra perfino superfluo aggiungere che il numero di operaie e operai (o di loro familiari) candidati è prossima allo zero, che essi politicamente e culturalmente contano ancor meno e comunque nessuno di loro viene mai eletto.

I SUCCESSONI.

In questo quadro di confusione e degenerazione, il vero significato dei risultati elettorali viene mistificato o nascosto. Sentiamo solo singole percentuali fini a se stesse e notizie su chi ha vinto o perso, senza alcun dato né spiegazione.

Ciò può andar bene per chi si interessa dei risultati elettorali solo per le posizioni di sottopotere e i seggi che si lucrano. Per noi, invece, quello che più conta nell’analisi del voto è capire l’orientamento delle grandi masse popolari, le sue modificazioni, e misurare così anche il riscontro dell’impegno e della lotta di un partito.

Per questo, data la grande mobilità del voto e la costante riduzione dei voti politicamente validi, è decisivo considerare un parametro inusuale, cioè la percentuale di un risultato anche rispetto al totale degli aventi diritto al voto (e non solo quella in rapporto ai voti validi). Basterà adottare anche questo parametro per comprendere come anche certi “successoni” non sono poi tali.

Per esempio il sindaco di Bologna è stato eletto con ben 1.500 voti in meno di quanti ne raccolse il suo predecessore (al ballottaggio) per conquistare la stessa carica. In ogni caso, il primo cittadino bolognese è stato eletto con il voto del 30,8% degli aventi diritto; quello di Milano con il 26,9% e quello di Napoli con il 28%. Quest’ultimo, peraltro, ha vinto anche grazie a circa 20.000 voti “persi” dalla destra in suo favore.

Nessuno dice -inoltre- che rispetto alla precedente elezione, i voti validi sono stati 22.000 in meno a Bologna e ben 57.000 in meno sia a Milano che a Napoli.

Sia a Roma che a Milano e Torino -sorprendente coincidenza- ben il 54% dell’elettorato non ha voluto dare un voto (politicamente) valido: questi ultimi, in tutte e tre le città, sono stati appena il 46, qualcosa %.

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In questo quadro, i due romani che andranno al ballottaggio, sommando i loro voti, rappresentano poco più di un quarto dell’intero corpo elettorale della capitale.

Quando importanti posizioni di potere, possono essere conquistare e tenute con pacchetti di voti molto ridotti -come si è appena visto sopra- il nostro sistema elettorale è tale che diventano decisive piccole minoranze di voti controllate da potentati economico-finanziari, dai loro media, e anche dalla mafia e altri apparati criminali e corruttivi.

Questa è al democraticità dello sgangherato sistema liberale per il quale diamo lezioni (e spesso facciamo guerre) a tutto il mondo di democrazia, trasparenza, legalità.

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Trilussa ci ricorderebbe che quel 54% di (variamente) astenuti è solo una media. In realtà, nelle zone proletarie (ex rosse) è molto più alta e in quelle borghesi corrispondentemente più bassa.

A Roma, per esempio, stimerei che nelle prime è almeno del 10-15% più alta della media. Il record di affluenza al voto è stato nel municipio dei Parioli (56,5%), quello opposto si è verificato nel municipio periferico che comprende le “famigerate” Torre Maura e Tor Bella Monaca (42,8%). In quest’ultimo caso, poi, si devono considerare anche schede bianche e nulle nonché i voti volutamente dispersi per liste assurde: così, per esempio, il “vero” risultato della zona di Tor Bella Monaca è che si sono realmente espressi appena il 37-38% degli elettori.

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Ritornando agli sbandierati successoni di questa tornata amministrativa, si prenda in considerazione il voto reale (cioè le persone in carne ed ossa) della capitale, riguardo i candidati sindaci del PD.

Ignazio Marino, nel 2013, prese 512.000 voti, Giachetti nel 2016 ne ebbe 325.000 (a cui andrebbe aggiunta una parte dei 58.000 che allora andarono al candidato indipendente Fassina), Gualtieri oggi ne prende 298.000 (tutti i dati, anche quelli seguenti, si riferiscono al primo turno).

Questo genere di “vittorie” riguarda anche la Sinistra Italiana di Fratoianni (prima era SEL). A volte danno l’impressione di essere più di sinistra di tutti perché sarebbero “concreti”: ovvero, alleandosi sempre con il PD, ottengono più seggi per mettere in pratica “concretamente” i loro ideali di sinistra.

Questa è la loro marcia trionfale a Roma: alle comunali del 2013 presero 63.000 voti, alle europee di due anni fa ne presero 31.000 e oggi ne hanno 20.000 circa. In otto anni hanno perso più di due terzi dei loro consensi; però qualcuno continua ad assicurarsi la poltrona di consigliere comunale grazie all’asservimento al PD.

Anche a Bologna, le precedenti elezioni si presentarono al primo turno da soli, riscuotendo circa 12.000 voti, questa volta sono andati fin da subito col PD (questo non lo dice nessuno quando si vanta il “successone” bolognese) ma perdendo oltre un decimo dei voti raccolti allora: molto probabilmente, però, ora prenderanno più consiglieri di prima grazie alla scelta attuale. Non servono altri commenti, neanche sul piano della moralità politica.

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È necessario però che si conosca qualche dato, per farsi un’idea (seppure approssimativa) di come sono socialmente distribuiti questi voti.

Prendiamo in considerazione, a Roma tre municipi borghesi -il I° (centro e Vaticano), il II° (Parioli ed altri quartieri simili), il XII° (Gianicolo, Monteverde, ecc.)- e tre largamente proletari e storicamente rossi -il IV° (Tiburtina), il VI° (la Casilina periferica con Tor Bella Monaca ecc.) e il X° (Ostia e le borgate dell’entroterra come Acilia ed altre).

La media cittadina odierna della lista promossa dal partito di Fratoianni è il 2%. Nei suddetti municipi ha ottenuto i seguenti risultati: nel I° il 2,8%, nel II° il 2% e nel XII° il 2,3%; invece nel IV° ha avuto l’1,9%, nel VI° lo 0,8% (record negativo) e nel X° l’1,5%.

È anche molto significativo fare lo stesso raffronto riguardo i due aspiranti sindaci che andranno al ballottaggio.

Il PD Gualtieri ha avuto il 27% come media cittadina, nei municipi è andata così: nel I° ha preso il 32,9%, nel II° il 28,5% e nel XII° il 32,6%; nel IV° ha preso il 27,1%, nel VI° il 18,9% (record negativo e fuori dal ballottaggio municipale) e nel X° il 22,2%.

C’è da dire che nel municipio dei Parioli (il II°) c’è stato il record di suffragi per Calenda (oltre il 36%, circa il doppio della media cittadina) altrimenti il risultato di Gualtieri sarebbe stato il più alto della capitale.

Il IV° municipio, invece, vede il risultato più alto per il PD rispetto alla media delle altre periferie proletarie: curiosamente, qui si concentrava la maggior parte di inquisiti di quel partito nel noto procedimento contro la cosiddetta mafia di Buzzi e Carminati.

Continuiamo con il candidato della destra (Michetti) che ha raccolto a livello cittadino il 30,1% (praticamente lo ha votato un romano su sette). Così nei municipi: nel I° il 23,6%, nel II° il 23,7% e nel XII° il 25,6%; viceversa, nel IV° il 31%, nel VI° il 39,9% e nel X° il 34,4%.

Tutti questi confronti tra varie zone vanno valutati correttamente. Mi limito a sottolineare che le percentuali, per esempio, dei Parioli “valgono” di più di quelle della zona -poniamo- di Tor Bella Monaca. Per meglio dire, la stessa percentuale indica un’adesione più alta ai Parioli dove ha votato circa un terzo di persone in più che a Tor Bella Monaca.

Per questo, non si pensi che i proletari di quest’ultimo municipio sono di destra. Occorre considerare che qui ha votato molta gente in meno: evidentemente, si sono astenuti (in vari modi) di più proprio quelli che non vogliono votare per la destra (e sono delusi dalla Raggi e non convinti dalle altre alternative). Altresì, la peggiore borghesia ed aristocrazia romana vede nel PD (e anche in Calenda in un caso) la migliore garanzia per gli affaracci propri.

Per concludere, vale la pena ricordare che il PCI prendeva a Roma percentuali maggiori di Michetti (è arrivato a superare il 35%), raccoglieva globalmente 500-600.000 voti (anche se la popolazione era un po’ più ridotta), nelle borgate prendeva percentuali medie che erano almeno il quadruplo di quelle dei quartieri centrali e borghesi, nel IV° e VI° municipio aveva la maggioranza assoluta (e votava l’80-90% degli elettori).

SINISTRA ALTERNATIVA: CONTENTI?

Questa tornata elettorale dell’autunno 2021 si presta ad altre riflessioni, per esempio sulla destra ed ancor di più sui 5Stelle.

Tuttavia, per motivi pratici, preferisco soffermarmi ancora solo sulla sinistra alternativa, cioè quelle liste o forze politiche che non sono appendici del sistema bipolare e quindi non sono asservite al PD ma si candidano in alternativa ad esso, alla destra, alle forze di governo. Quest’ultima connotazione è qualificante visto che le poche opposizioni parlamentari (cioè quelle della Meloni o Fratoianni) sono legate a filo doppio ai partiti di governo.

È molto importante, dunque, che la sinistra alternativa possa essere credibile, sapendo conquistare un consenso crescente tra le masse popolari, per scongiurare il pericolo imminente della totale americanizzazione del nostro sistema politico, con l’emarginazione di qualsiasi reale possibilità alternativa e la sottomissione al ruolo (fasullo e controproducente, sia qui che negli USA) dei Sanders della situazione.

Non scrivo ciò per effimeri motivi elettoralistici ma tenendo presente quelli di prospettiva della classe operaia e della gioventù.

Per questo sostengo con convinzione quei compagni che hanno dichiarato “non si può continuare così”, promuovendo apposite iniziative contro la illogica e autolesionistica decisione delle suddette forze (quasi tutte si definiscono comuniste, la maggior parte ha come simbolo la falce e il martello) di presentarsi quasi ovunque separatamente, dunque contrapposte le une alle altre.

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Una mia precisa convinzione che ora non motivo, anche se alcuni riscontri di essa sono rintracciabili in questo scritto, è che la sinistra alternativa se si fosse presentata in coalizione contro gli avversari comuni -non con liste uniche, mantenendo l’autonomia di ciascuno ma senza rivalità tra loro- avrebbero riscosso molti più voti di quanti ne hanno ottenuti. Direi almeno un terzo in più e dove hanno preso percentuali più basse, forse il “guadagno” sarebbe stato ancora maggiore.

Per un certo numero di elettori sinceri, questa situazione di frantumazione, come di una sinistra alternativa che non crede in se stessa e non vuole vincere, è stata la più forte motivazione per astenersi ma anche per votare le liste apparentemente di sinistra ancelle del PD: d’altra parte quale motivazione migliore poteva esserci per farlo?

Facciamo parlare i numeri (la soglia per avere almeno un seggio nei consigli comunali è il 3% dei voti validi). A Bologna le liste della sinistra alternativa hanno preso circa il 4% dei voti e a Torino poco più del 3%: in entrambi i casi -se alleate- avrebbero ottenuto almeno un consigliere comunale. Nel capoluogo emiliano anzi ne avrebbero forse presi due, stando alla mia suddetta convinzione, perché avrebbero potuto conquistare (in coalizione) oltre il 5% dei voti, come è capitato appunto a Napoli, dove c’era solo una coalizione di sinistra che ha preso il 5,5%.

E’ facile presumere che tali eventuali seggi sarebbero stati sottratti al PD o alla sua ala sinistra. Con amara e sconsolata ironia, direi che i compagni di Bologna e Torino si sono “organizzati” per scongiurare questa eventualità: è bastato presentarsi separati!

Tuttavia i risultati della sinistra alternativa dimostrano che più è divisa e meno voti prendono tutti quanti (un esempio ne sono Roma e Milano) mentre il già citato caso di Napoli e parzialmente quello di Torino -dove alcune forze (non tutte) si sono coalizzate prendendo un incoraggiante 2,5%- dimostrano che più ci si unisce e più si prendono voti (“togliendoli” all’astensionismo o al PD e ai suoi satelliti).

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Nel giudicare i risultati della sinistra alternativa di queste elezioni, bisogna tener conto -oltre al resto- di almeno due fattori che potevano propiziare la possibilità di conquistare molti voti nuovi o in più. In primo luogo, usciamo da un periodo molto particolare nel quale sono accresciute e più evidenziate le ingiustizie sociali e la disuguaglianza mentre aumentano le potenzialità per chi propone criteri e valori nuovi, diversi, di organizzazione della vita e della società. In secondo luogo, ci sono milioni di proletari i quali, in buona fede, negli anni scorsi hanno creduto nei 5Stelle, ritenendo che questi fossero veramente contro il regime bipolare e dalla loro parte, per un cambiamento profondo ed autentico; ora non li votano e non li sostengono più.

A Roma, per esempio, la candidata Raggi prese -al primo turno- oltre 460.000 voti, ora ne ha presi 211.000. In altri termini, ci sono 250.000 romani (nella grande maggioranza proletari delle periferie, era lì che c’era stato il boom dei 5Stelle) che probabilmente sono contro lo stato di cose presente, vogliono un profondo cambiamento e certamente non credono più nei politicanti grillini. Sarebbe tanto strano ritenere che almeno una piccola parte di essi (magari solo 20-30.000?) avrebbero potuto orientarsi verso la sinistra alternativa?

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Torniamo ai numeri.

Alle precedenti elezioni amministrative (regionali) di tre anni fa, la candidata presidente di Potere al Popolo -la compagna Canitano- prese nella città di Roma circa 26.600 voti. Ora Potere al Popolo -stesso simbolo e stessa candidata (a sindaco, questa volta)- ne ha presi circa 6.600. All’epoca, però, di quella lista facevano parte anche il PRC e il PCI, che oggi hanno presentato proprie liste o partecipano ad altre.

Sommando i voti odierni di Potere al Popolo, del PCI e della Lista Berdini (ma quest’ultimo ed altri che hanno aderito a questa lista, tre anni fa, non sostenevano Potere al Popolo) non si arriva a 15.000 voti. Pertanto non è sbagliato dire che le forze unite allora, adesso hanno già dimezzato i propri voti.

Anche la lista del compagno Rizzo ha preso circa 3.800 voti mentre ne ebbe (nelle precedenti comunali) oltre 10.000, candidato sindaco il compagno Mustillo.

Nel 2013 una prima coalizione alternativa (candidato sindaco Medici) prese 26.800 voti (il 2,2%).

Insomma, queste liste non solo non hanno aumentato i propri voti nonostante alcuni fattori potenziali favorevoli, ma ne hanno persi molti di quanti ne avevano riscossi nel decennio precedente.

Anche perché nel 2016 al candidato indipendente Fassina prese 58.000 voti mentre oggi la lista di Fratoianni ne ha solo 20.000; Berdini e il PCI (che all’epoca erano con Fassina) ne hanno presi circa 8.000: quindi mancano all’appello circa altri 30.000 voti!

In conclusione, tutte le “nostre” liste raccolgono circa 19.000 voti mentre quella di Sinistra Italiana (alleata, anzi succube del PD) ha appena 1.000 voti in più: i “nostri” non hanno alcun seggio, quelli di Fratoianni ne avranno sicuramente uno e c’è qualche probabilità che ne prendano perfino due. Come ho già scritto, è mia convinzione che questa situazione sarebbe stata invertita, con una sinistra alternativa coalizzata: forse avrebbe preso anche il doppio dei voti.

Il dato delle percentuali non è meno impietoso.

Alle politiche di tre anni fa Potere al Popolo prese il 2% dei voti e oggi lo 0,6%. Quest’ultima lista più quella del compagno Rizzo più il PCL presero (sempre nella capitale) il 2,7% dei voti e oggi tutte le liste della sinistra alternativa hanno l’1,7%, malgrado il notevole calo di votanti.

Per continuare con le cattive notizie, vediamo il totale delle percentuali di tutta la sinistra alternativa in alcune zone rappresentative di quelle borghesi e proletarie, come già fatto in precedenza per altri:

nel I° municipio l’1,6%, nel II° l’1,4% e nel XII° l’1,9%; nel IV° il 2,1%, nel VI° e nel X° l’1,7%.

Anche la distribuzione dei voti meriterebbe delle valutazioni ma non farebbero che rafforzare il quesito con il quale si deve concludere:

SI PUO’ CONTINUARE COSI’?

E’ evidente che non serve ridursi alla ricerca di soluzioni elettorali tattiche o tecniche. La questione che affiora anche da queste poche pagine è che serve un ripensamento profondo e di lunga lena della sinistra nel suo complesso che sappia invertire l’incessante tendenza alla frantumazione, all’isolamento dalle masse, ad una certa alienazione dalla realtà (come dimostrato anche dal dato “piatto”, uniforme del risultato nei diversi municipi).

Proprio per questo, però, tale sperato rinnovamento deve sapersi misurare anche con la capacità -nelle condizioni concrete di questa fase- di condurre la lotta sul piano elettorale ed istituzionale in modo realmente diverso da quanto si sta facendo ultimamente.