
di Maria Morigi (da Trieste)
l ministro degli Esteri Antonio Tajani nel corso del vertice del “Mediterraneo connesso”(10 Giugno 2025) organizzato a Nizza in concomitanza con la terza conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani ha affermato
“Il porto di Trieste sarà il nostro punto strategico di interconnessione con questa infrastruttura cruciale. Questa città ha infatti il vantaggio di collegare direttamente il Mediterraneo ai mercati dell’Europa settentrionale, centrale e dei Balcani”. Ha poi spiegato che presto a Trieste verrà organizzata “una grande conferenza nazionale su questo ambizioso progetto: un’occasione per dare insieme ai nostri partner strategici impulso e contenuto alla riflessione sulle sue potenzialità”
Bene: quel “presto” è arrivato e il 13 giugno, freschi delle notizie sulla guerra dichiarata e immediatamente perseguita da Israele contro l’Iran, un gruppo di politici ed “esperti” (cioè imprenditori locali e compagnie multinazionali) si riunisce alla Regione FVG per discettare della “Via del Cotone” che, partendo dall’India attraverso Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Giordania, Israele ed intesa ad evitare le minacce dell’Iran e della resistenza nel Mar Rosso, dovrebbe felicemente approdare al porto di Haifa risollevando le sorti atlantiche. Il Memorandum of Understanding (MoU) per la Via del Cotone venne presentato il 10 settembre 2023, durante il vertice del G20 di Nuova Delhi, dai governi di India, Stati Uniti, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Francia, Germania, Italia e Unione Europea come alternativa alla Belt and Road Initiative (BRI) cinese. Definito progetto “storico”, ha avuto il caloroso plauso della stampa filoatlantica come sfida esplicita ai progetti infrastrutturali di sviluppo proposti in tutt’altra logica da Pechino.
Nell’immaginario suscitato dalle avvincenti narrazioni della stampa locale, la Via del Cotone dopo 3000 Km attraverso i deserti arabi su ferrovie non ancora costruite – di cui neppure esiste il progetto – scavalcherà i confini di Emirati arabi, Cisgiordania, Giordania e Palestina, proprio in zone ad alto rischio dove Israele ha iniziato un nuovo Muro di contenimento, dove sono in corso operazioni belliche devastanti e dove lo spazio aereo è interdetto. Da Haifa comunque sarà tutto terreno in discesa, praticamente uno scherzo arrivare a Trieste. E, come dicono imprenditori e parlamentari regionali, sarà un bene per trasporto e fornitura di armi sotto protezione NATO. Gli “esperti” prevedono tutte le opportunità: anche che, nel percorso mediterraneo, si eviti il Pireo perché là ci sono i cinesi che è bene non coinvolgere, dopo la magra figura fatta dall’Italia tirandosi fuori dal Memorandum sulla BRI.
Dunque “un grande futuro per Trieste” come ha detto Tajani anche recentemente al Forum di Zagabria. Un progetto cui sono chiamati ad investire soggetti privati perché i soldi pubblici non li caccia nessuno, men che meno l’Arabia saudita o altri Stati del Golfo. Un progetto che certifica la solida e interessata cooperazione tra l’India di Narendra Modi e l’Israele di Netanyahu, ma che ovviamente sottovaluta il rischio che tutto il Medio Oriente sia prossimo alla deflagrazione.
Oggi alla Regione FVG va in onda una così grande manifestazione di autocompiacimento e falsificazione sul futuro di Trieste che nessuno sembra accorgersi del decollo, proprio vicino a noi, della Development Road Iraq Project, progetto infrastrutturale risalente a maggio 2023 quando Baghdad ha ospitato un vertice tra ministri dei trasporti e funzionari dell’Unione Europea, Banca Mondiale, Consiglio di cooperazione del Golfo, Iran, Turchia, Siria e Giordania per discutere l’iniziativa che, attraverso la creazione di reti ferroviarie strade e rotte marittime, collegherà porti e città tra Golfo Persico e Turchia partendo dal porto iracheno di al FAW. Soprannominato “Canale Secco”, il progetto della Development Road riduce i tempi di percorrenza tra Asia ed Europa e con la già esistente Autostrada del Mare tra Trieste e Turchia, le merci cinesi, indiane e orientali arriveranno a Trieste bypassando Suez. Nell’aprile 2024, durante una visita a Baghdad del presidente turco Erdogan, è stato firmato dai ministri dei trasporti di ciascun paese (Iraq, Turchia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti) un memorandum quadri-laterale sulla cooperazione nel progetto di sviluppo stradale e ferroviario che si prevede sarà completato entro il 2025 fino al confine turco e poi in tre fasi entro 2028, 2033 e 2050. Nel luglio 2024, il Ministero dei Trasporti iracheno ha annunciato di aver firmato un contratto con la società di consulenza Oliver Wyman per la realizzazione del modello economico per la Development Road. La società contribuirà alla commercializzazione del progetto, alla supervisione degli investimenti e alla fornitura di servizi di consulenza economica per progetti governativi strategici.
Infine voglio segnalare che progettazione e direzione dei lavori della costruzione del porto di al FAW sono affidati alla Technital il cui presidente è Zeno D’Agostino, stimato ex presidente dell’Autorità portuale di Trieste, il quale alla fine del suo mandato ha fatto senz’altro la scelta più realistica senza dover sottostare alle direttive suggerite al Governo italiano da parte dei desideri di Washington. A concorrere alla costruzione del Grand Faw Port sono grandi aziende internazionali compreso le cinesi come COSCO e China Mercants Port Group ma anche MSC e Adani e ovviamente la Cina non verrà affatto marginalizzata bensì parteciperà a pieno titolo.
In conclusione, non è la prima volta che mi occupo del Porto di Trieste e in un articolo del 4 ottobre 2023 “Corridoi economici: il cimitero dei progetti occidentali per contrastare Cina e BRI” (https://www.marx21.it/internazionale/corridoi-economici-il-cimitero-dei-progetti-occidentali-per-contrastare-cina-e-bri/) avevo già segnalato le grandi carenze e il velleitarismo del progetto IMEC. Con lo scenario odierno di riarmo ed escalation bellicista, non possiamo che essere allibiti di fronte al ripescaggio del progetto attraverso la grancassa della propaganda politica. A Trieste infatti il comune cittadino ha ben chiaro che il porto NON deve essere strumentalizzato con scuse di convenienza commerciale per operazioni militari né tantomeno diventare hub di trasferimento di armi… facendo in tal modo favori allo Stato più democratico dell’intero Medio Oriente.
E mi permetto di prevedere che, dopo le notizie dell’ultima ora dei massicci bombardamenti sul porto di Haifa, crolleranno le aspettative su questa fantasticata e auspicata Via del Cotone con terminal Haifa.
Caro Tajani, progetto cassato! (ma non sapete prevedere proprio niente, voi Ministri degli Esteri di ‘Italia!)
P.S. Sul tema c’è una ricca serie di articoli e interviste on line. Segnalo gli articoli: “Il bluff dell’IMEC e il nuovo muro israeliano: tra propaganda e militarizzazione” di Zela Aanti (https://www.kulturjam.it/in-evidenza/il-bluff-dellimec-e-il-nuovo-muro-israeliano-tra-propaganda-e-militarizzazione/); “Il Porto di Trieste si riavvicina alla Via della Seta” di Paolo Deganutti (https://pluralia.com/a/il-porto-di-trieste-si-riavvicina-alla-via-della-seta/); “Il porto di Trieste non è più franco” di Redazione CDC (https://comedonchisciotte.org/il-porto-di-trieste-non-e-piu-franco/)


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