di Norberto Natali
Le recenti elezioni in tre regioni confermano il processo storico, in corso da molti anni, sul piano politico-elettorale.
In poche parole, il sistema di potere persegue una “espulsione” costante e progressiva della maggioranza dell’elettorato, in particolare del proletariato e di altri strati sociali impoveriti o trascurati in questi decenni. Un solo esempio: nelle regionali del 1985, in Emilia Romagna, si recò alle urne quasi il 95% degli aventi diritto, quest’anno sono stati poco più del 45%: praticamente, il 50% dell’intero elettorato in meno. Trentanove anni fa (in Emilia Romagna) non andarono a votare 173.000 persone; la scorsa settimana, invece, sono state 1.916.000 (oltre 11 volte in più). Perciò per governare lo stato o gli enti locali, sono sufficienti percentuali di aventi diritto al voto sempre più basse, presto saranno irrisorie.
Per esempio, sul piano nazionale, l’Ulivo vinse le elezioni del 2006 con il 40,4% dei voti sul totale degli aventi diritto; due anni fa l’attuale maggioranza di governo ha raccolto appena il 26,7% rispetto allo stesso totale. Più recentemente, la destra ha “vinto” nel Lazio e in Liguria rispettivamente con il 19,5% e il 21,7% degli aventi diritto, mentre l’altra destra (pardon, il centrosinistra) ha raccolto in Emilia Romagna appena il 25,7% degli iscritti negli elenchi elettorali.
Per questo, per valutare i risultati come parametro dei reali orientamenti della popolazione, è necessario introdurre la categoria di percentuale REALE dei voti (cioè di quelli ottenuti da una lista o un candidato sul totale degli aventi diritto) perché -a questo scopo- non è più adatta la percentuale ufficiale: per esempio il centrosinistra emiliano-romagnolo avrebbe aumentato quest’ultima (rispetto le precedenti) giungendo addirittura al 56,8%.
La differenza tra le due categorie di percentuali è così vasta e mutevole che quella “ufficiale” non serve -anzi, è ingannevole- per un’analisi politica del voto: serve solo a capire chi si aggiudicherà gli assessorati o i ministeri o altri ruoli di sottopotere.
Infatti, coloro che “vincono” le elezioni, non aumentano affatto i propri voti ma si scavalcano all’indietro alternativamente e dunque sono quelli che -di volta in volta- perdono meno voti, benché queste perdite siano sempre maggiori.
Questo processo favorisce l’aumento della corruzione e del clientelismo nonché la possibilità (per gruppi di potere di stampo massonico-mafioso) di decidere a chi assegnare “vittorie” del tipo appena descritto anche influenzando appena un centesimo (o poco più) degli aventi diritto al voto in determinati collegi o circoscrizioni. Ciò grazie anche a misure combinate di riduzione dei parlamentari o consiglieri di vario tipo e leggi maggioritarie sempre più complicate e diversificate che confondono gli elettori.
Questi ultimi fenomeni, a loro volta, alimentano la spinta al non voto (che significa anche annullare la scheda o votare per liste grottesche o di disturbo).
Quando si cerca di studiare la riduzione dei voti validi in modo analitico, per esempio dividendo certi campioni in zone abitate prevalentemente o esclusivamente da proletari e quelle da borghesi o molto ricchi, si nota facilmente che la velocità di incremento del non voto tra i lavoratori e nelle periferie è più che doppia rispetto a quella dei ricchi.
In definitiva, questo “sistema” libera gli eletti, i governanti o gli aspiranti candidati dal timore che gli sfruttati si “vendichino” -con il voto- delle politiche che questi conducono a favore degli sfruttatori, dei guerrafondai e contro la Costituzione e la sovranità nazionale.
Si è già ricordato che la destra in Liguria ha “vinto” con 291.000 voti (su oltre 1.340.000 elettori) a fronte dei 383.000 ottenuti quattro anni prima. Siccome “l’altra destra” fa della “vittoria” in Emilia Romagna una specie di bandiera -la Schlein ha perfino spiegato i “motivi” di questo successo 🙂 – vediamo pochi numeri concreti riguardanti i risultati del sedicente centrosinistra in questa regione, sia quando si presenta tutto unito che separatamente.
– Nel 1985, il solo P.C.I. aveva preso circa 1.383.000 voti. A questi vanno aggiunti oltre 1.000.000 di voti presi all’epoca da DC, socialisti e altre forze poi parzialmente confluite nel PD o comunque nel centrosinistra.
– Nelle regionali 2020 gli aventi diritto erano oltre 3.500.000, di essi andò a votare il 67,6% e il centrosinistra prese 1.276.000 voti.
– Nelle politiche del 2022 scese leggermente a 1.255.000 voti.
– Sempre il centrosinistra, la scorsa settimana, ha perso ben 354.000 voti (rispetto alle precedenti regionali) raccogliendone 922.000, perdendo circa l’11% della percentuale reale, ossia 1 avente diritto al voto su 9 non li ha più votati. La percentuale di quanti si sono recati ai seggi è crollata al 46,4%.
In conclusione, per la nomina di governo e amministratori locali, contano sempre meno gli “elettori” (idealmente intesi) in quanto tali e sempre più la componente ricca, borghese della società (che continua a votare in misura sempre maggiore rispetto al resto), gruppi di potere massonico-mafioso nonché corruzione e clientelismo.
Dunque appare veramente difficile definire questo sistema politico-elettorale, imperniato sul teatrino della fasulla rivalità tra centrodestra e centrosinistra, come democratico, almeno sotto il profilo letterale dato che la democrazia sarebbe il “governo del popolo”.
Anzi, tra questo sistema e la democrazia -e aggiungerei anche lo spirito e la lettera della Costituzione- si manifesta una vera e propria contraddizione. Lo dice anche il vocabolario.
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