I sondaggi e la lotta contro la guerra

di Paolo Pioppi

Pur tra le ambiguità tipiche dei sondaggi che risentono dell’indirizzo dei committenti, emerge comunque sempre in modo irrefutabile il dato significativo di una maggioranza di italiani contrari all’invio di armi all’Ucraina e ovviamente preoccupati della crisi economica. Di questo dato potremmo essere soddisfatti, ma c’è un fatto che ne indebolisce la portata e soprattutto consente ai fautori dell’intervento in Ucraina di continuare tranquillamente per la loro strada. Si tratta del contrasto, che balza agli occhi, tra la percentuale di quelli che rifiutano il coinvolgimento nella guerra e la consistenza del movimento che si oppone attivamente e che finora non è riuscito a esprimere pubblicamente la volontà di quella che, sondaggi alla mano, è senz’altro una maggioranza del popolo italiano. I motivi oggettivi per trasformare l’opinione contro la guerra in aperta protesta c’erano – e ci sono – tutti, ma per ora ci dobbiamo limitare purtroppo ai sondaggi. Certo, il loro significato non può essere minimizzato perchè dimostra che non c’è un’omologazione dell’opinione pubblica alla propaganda di guerra USA-NATO a guida PD, che pure ha assunto livelli inauditi e preoccupanti. I media con l’elmetto hanno dovuto cercare un minimo di confronto con chi ha seri dubbi sull’invio di armi “per la difesa della democrazia”.

Il fattore negativo principale rimane però la mancanza in Italia di un’opposizione politica organizzata degna di questo nome, un fatto che impedisce di raccogliere le tendenze che si vanno manifestando tra la gente e di trasformarle in vera opposizione alla guerra. E’ un problema questo che si pone spesso anche in altri ambiti, in particolare sulle questioni sociali, quando ci sarebbe bisogno di risposte forti che non riescono ad emergere e si fa strada l’assuefazione e la rassegnazione a ingoiare e subire in silenzio o con qualche inoffensivo mugugno.

Ma veramente possiamo permetterci l’assuefazione e la rassegnazione alla guerra? Per mantenere l’egemonia globale il blocco occidentale ci prospetta un avvenire di militarizzazione e di conflitto permanente. L’unico modo per evitare che questa deriva si consolidi e porti anche alla militarizzazione dell’opinione pubblica è lavorare per uscire dal tunnel. Bisogna perciò aprire una discussione su come superare l’empasse. Il primo punto, e il più importante, riguarda la struttura di lavoro di un movimento organizzato contro la guerra. Si tratta di determinare un passaggio nel modo di lavorare dei gruppi che sono attivi contro la guerra ma non riescono a legare l’impegno soggettivo con la necessità oggettiva di allargare la coscienza e la partecipazione a livello di massa.

Da questo punto di vista ci sembra rilevante la proposta del “Comitato art.11 – fuori dalla guerra – fuori dagli embarghi” costituito nei giorni scorsi a Roma, che ha lanciato lo slogan 10,100,100 comitati nei quartieri, nelle scuole, nei posti di lavoro. Questa indicazione, ove trovasse una base per svilupparsi concretamente, pone in luce una necessità essenziale che è quella di un lavoro metodico verso i settori più consapevoli della società sui rischi della guerra, che li coinvolga in un movimento permanente, unitario e organizzato. Il ”Comitato art.11” propone una impostazione che rende unitari e comprensibili gli obiettivi: il rispetto dell’art.11 della Costituzione, che rende illegittimo l’invio di armi all’Ucraina, e la fine delle sanzioni che provocano crisi economica e inflazione con ricadute sociali drammatiche. Una consapevolezza di massa su questi obiettivi unificanti potrebbe essere la base per riconnettere esiti dei sondaggi e partecipazione al movimento contro la guerra.

Il “Comitato art.11”, nella sua piattaforma, pone al movimento contro la partecipazione dell’Italia alla guerra anche un altro obiettivo che potrebbe avere un peso per tutta la vicenda. Nel suo programma il comitato si impegna infatti a svolgere un’azione diretta contro le liste elettorali dei partiti della guerra – quelli che in parlamento hanno votato per l’invio delle armi e le sanzioni – invitando gli elettori a rifiutare, fin dalle prossime amministrative di giugno, l’appoggio alle liste sostenute da questi partiti. Anche per mettere con le spalle al muro Conte e Salvini, che prima hanno tirato il sasso e ora nascondono la mano.