I flussi elettorali e l’interpretazione del voto

pubblichiamo come contributo al dibattito

di Francesco Galofaro – Università di Torino

Intervengo nel dibattito che si è aperto su Marx21 in seguito alle elezioni perché, negli ultimi giorni, sono circolati diversi studi sui flussi elettorali e sulla composizione del voto (Istituto Cattaneo; SWG; Cluster17). Mi sembra importante fondare la discussione su questi dati, sia perché ne emerge una geografia politica del Paese molto cambiata, sia per formulare qualche ipotesi sui possibili scenari. Stando agli studi:

  • FdI è il primo o il secondo partito in quasi tutte le fasce di reddito: un risultato normale per il partito vincente. FdI non va confuso, da un punto di vista geografico, con la vecchia AN: il suo radicamento storico è in Lazio, ma ha visto una grande avanzata nel nord, rubando voti alla Lega.
  • Salvini è il vero sconfitto delle elezioni. La formula della Lega nazionale è tramontata definitivamente. Il suo elettorato è andato a FdI e, per quasi un terzo, all’astensione. La Lega paga la partecipazione al governo, che ha conferito scarsa credibilità ai toni “di lotta” del suo portavoce.
  • Il PD è il partito dei ricchi. È la prima forza politica tra le classi agiate e il numero dei suoi voti è direttamente proporzionale alla fascia di reddito. Ha tenuto nelle roccaforti rosse, ma la sua linea di condotta elettorale, che mirava a fagocitare una parte del voto 5s arginando al contempo la concorrenza centrista, è fallita.
  • Il M5S è senz’altro il partito del sud, dove è arrivato primo davanti a FdI. La composizione del suo elettorato presenta aspetti di classe: primo tra i disoccupati, tra i lavoratori è dato come terzo partito dietro FdI e Lega.
  • Altre formazioni, come Unione popolare, Italia sovrana e popolare o Italexit non sono state percepite come credibili dall’elettorato.

Alcune valutazioni – la maggioranza ottenuta da FdI è costituita da voti in prestito. Con buona pace di Enrico Letta, non si tratta dei voti di chi ha lavato la camicia nera con l’omino bianco, né del risultato del radicamento locale ottenuto con un lavoro politico duraturo e costante, ma di un risultato in gran parte personale di Giorgia Meloni: un’apertura di credito attesa, dato il contesto politico in cui FdI era, sulla carta, l’unica forza d’opposizione al “draghismo” e un sistema mediatico che ormai da anni privilegia l’immagine dei leader. Se vuole conservare i propri voti e radicarsi, FdI dovrà strutturarsi e dotarsi di una classe dirigente all’altezza del governo. Dunque, il suo volto è destinato a mutare nei prossimi mesi.

In un Paese sempre più pervaso da tensioni sociali, il PD è identificato con la forza politica che più di ogni altra ha appoggiato un liberalismo dogmatico, un appoggio incondizionato alla UE, e una adesione ideologica al modello della globalizzazione, che ha privilegiato lo sviluppo delle grandi città sulle periferie e sulle campagne. Un indizio è dato dall’astensione: nelle città sopra i 300.000 abitanti la partecipazione al voto scende in misura leggermente minore che altrove.Mi sembra importante segnalare che l’astensionismo non è mai una posizione politica coerente ed omogenea: l’astensione è sempre un saldo (alcuni elettori che si sono astenuti in passato tornano a votare e viceversa); alle scorse elezioni si è inoltre manifestata un’astensione di destra, che colpisce principalmente la Lega, ed una di sinistra, che riguarda soprattutto gli elettori pentastellati.

Per quanto riguarda questi ultimi, mi sembra esagerato parlare di una vittoria. Direi piuttosto che questa forza politica ha tenuto, grazie anche al saldo tra astenuti e voti recuperati. Il risultato, dati i terremoti che hanno sconvolto questa formazione da quando è andata al governo, può dirsi dignitoso. Questa considerazione non è un endorsment: chi scrive è consapevole che M5S ha sostenuto tutte le politiche del governo Draghi incluso l’invio di armi in Ucraina. Tuttavia, il recupero del Movimento è contestuale alla presa di distanza dall’agenda Draghi, e occorre prestare molta attenzione e interpretare i motivi per cui il messaggio di questa forza politica, al contrario di altre, circola nella classe lavoratrice e insidia l’egemonia culturale delle destre.

Infatti, stando a uno studio Cluster17 pubblicato dal Fatto quotidiano, anche Unione popolare prende la maggior parte dei voti da una fascia di reddito agiata, che guadagna tra i due e i tremila euro mensili, ed è ben lontana dal minare la presa della destra sulla classe lavoratrice: il messaggio di Potere al popolo circola evidentemente in una rete chiusa, una sorta di aristocrazia formata da intellettuali e intelligentsia, e non risulta credibile al di fuori.

Cosa ci aspetta ora – Nell’immediato futuro, mi aspetto un effetto delle elezioni di midterm sulla politica europea e italiana. Attualmente, il presidente Biden mostra una insolita disponibilità al dialogo con Mosca, nonostante la Russia accusi il colpo della controffensiva e del terrorismo ucraini. Biden smorza i toni sulla possibile escalation nucleare e prende le distanze dalle operazioni dei servizi segreti ucraini, come quella che ha portato all’assassinio della figlia del filosofo Aleksandr Dugin. Le ragioni di Biden sono dovute alla tornata elettorale: attualmente, i Repubblicani sono i favoriti al Senato e – nel complicato sistema elettorale USA – vincono nel 77% degli scenari. Gli elettori della destra USA non sentono la guerra ucraina come propria. Vivono come un esproprio il fatto di dover pagare con le proprie tasse finanziamenti che finiscono nelle tasche degli oligarchi ucraini. Vedono la Russia e perfino la Cina come paesi molto vicini a una sensibilità conservatrice e non comprendono le ragioni del conflitto. Non penso che un Biden azzoppato al Senato porrà fine alla guerra; tuttavia, un ruolo meno attivo degli USA potrebbe avere due effetti: da un lato, frenare l’escalation; dall’altro, cronicizzare il conflitto secondo un altalenare di offensive e controffensive che può ricordare la dinamica del fronte orientale durante la Prima guerra mondiale. In Europa, una ripresa dei repubblicani negli USA potrebbe riavvicinare i conservatori europei alternativi al blocco liberale. Prima del conflitto, queste forze avevano un progetto alternativo di Unione europea, e sono attualmente spaccate: pensiamo, per intenderci, al premier polacco Duda e all’ungherese Orban e all’ignominioso silenzio calato sul gruppo di Visegrád. In Italia, anche Fratelli d’Italia, pur mantenendo l’attuale collocazione ultra atlantista, potrebbe assumere toni meno belluini.

Questioni aperte – Quali sono i motivi della perdurante egemonia culturale delle destre radicali tra la classe lavoratrice? Per quale ragione le persone dal reddito basso non credono più nella socialdemocrazia? Non credo si tratti solo della paura dell’immigrato che porta via il lavoro o – per essere più precisi – che mantiene basso il salario (va detto però che la questione è reale); il problema non è neanche il tradimento del PD, che è ormai da decenni un partito liberale dal lento, inesorabile declino. Come ho scritto sopra, vi è stato nell’ultimo quarto di secolo un impoverimento progressivo della popolazione innescato da un modello di sviluppo che premia le grandi città, i cui cittadini vivono i vantaggi della globalizzazione e accusano meno gli effetti negativi della sua crisi, al contrario di ciò che avviene nelle periferie e nelle campagne. Lo stesso modello premia lo sviluppo del terziario e la produzione di servizi rispetto alla produzione di beni, colpendo piccole imprese, artigiani e lavoratori di questi settori. Da un punto di vista fiscale, lo stato sociale (scuola e sanità) è finanziato prevalentemente da questa fascia della popolazione ma è da essa avvertito come “non più fruibile”. Ovvero: pago i servizi attraverso il fisco ma, nel momento in cui la mia famiglia ha bisogno di cure, scopro di dover attendere mesi, addirittura un anno, o di dovermi rivolgere al privato – sempre che me lo possa permettere. Il fatto di doversi sacrificare per pagare servizi inefficienti è vissuto dai più come una presa in giro. Inoltre: aperta da Renzi e proseguita dai governi seguenti, la politica dei “bonus”, piccole somme elargite dal sovrano di volta in volta al ceto medio impoverito, ai disoccupati, alle famiglie con figli, una tantum a settori selezionati del mondo del lavoro in difficoltà, crea un sistema di faglie tra le fasce più svantaggiate della popolazione (perché a lui sì e a me no?) e non fornisce risposte sistemiche in grado di mutare una volta per tutte la condizione di chi riceve gli aiuti. L’esasperazione, creata negli anni da governi di centrosinistra e governi tecnici, alimenta così la domanda di cambiamento radicale intercettata da forze che, di volta in volta, riescono a costruire un’immagine di sé non del tutto compromissoria o compromessa: nel 2016, è stato il turno di Lega e 5Stelle; nel 2022, Fratelli d’Italia.

Penso sia difficile, a breve termine, una ripresa di credibilità della sinistra, perché non sembra in grado di farsi garante degli interessi materiali dei lavoratori che vorrebbe rappresentare. Imbastisce un discorso intessuto di grandi idealità, difesa di diritti, tradizione, retorica, ma non riesce a parlare al portafoglio. E questo è assai grave: secondo l’ISTAT, 12 milioni di persone, il 20% della popolazione italiana, è a rischio di povertà, in linea con il 2021 e il 2020. Ciò dimostra che il governo Draghi e le forze politiche che lo hanno sostenuto non hanno risolto nemmeno uno dei problemi che assillano quotidianamente gli italiani, ammesso che ci abbiano provato.

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