pubblichiamo come contributo al dibattito
di Roberto Gabriele
Tra le città che vanno al voto in ottobre c’è anche Roma, ma la capitale non può essere considerata allo stesso modo di altre città che pure sembrano presentare situazioni analoghe, tranne forse Torino, dove il PD ha scatenato uno scontro frontale suicida contro l’amministrazione pentastellata della sindaca Appendino favorendo la possibile ascesa di un candidato di destra, Damilano. E’ a Roma infatti che l’operazione PD è diventata più insistente a pesante con la scelta come candidato sindaco di un pezzo da novanta della nomenclatura dem, l’ex ministro del tesoro Gualtieri,
E’ qui che il partito democratico cerca la vittoria che gli consentirebbe di prendere due piccioni con una fava: riprendere in mano il governo della capitale e modificare i rapporti di forza all’interno di una coalizione futura con i 5stelle di Conte. Se per Torino si può dire che il PD si è rifiutato di sostenere la sindaca uscente avendo alle spalle personaggi come Fassino e C., per Roma la scelta di Gualtieri in contrapposizione alla sindaca uscente Raggi assume il carattere non solo di una provocazione politica, ma anche di un tentativo di riportare in Campidoglio il peggio del partito democratico, un’esperienza che si è conclusa con le dimissioni forzate di Marino e con mafia capitale.
Chiudere con l’esperienza Raggi è stata sin dall’inizio la volontà di tutte le forze lobbyste che a Roma hanno fatto i loro affari, spesso illeciti, sia con la destra che con la sinistra che ha governato il comune, da Rutelli in poi. In questo senso agiscono oggi in parallelo tre schieramenti, quello della destra unita con Michetti, la destra di Calenda e i liberalmoderati che stanno attorno a Gualtieri e che aspettano la rivincita per riportare al governo della città le consorterie di sempre. La ricandidatura e la eventuale vittoria della Raggi rappresenterebbe, così come è avvenuto con la sua prima elezione, la rottura di un circuito perverso che si va ricostituendo. Possiamo dire, a chi non lo ha capito o fa finta di non capire, che questa è la vera posta in gioco e su questo voteranno i romani.
Due cose vanno chiarite però. Una riguarda il giudizio sulla sindaca Raggi, su come ha governato, e l’altra se esiste una alternativa allo stato di cose presente che possa avere un peso sul governo della città.
Ha governato bene la Raggi? Su questo il giudizio non può che essere relativo. Non si può pretendere che Virginia Raggi sia una sorta di giacobina che governa la città come un comitato di salute pubblica. Virginia Raggi non è Marat, ma semplicemente l’espressione di un voto di protesta che ha il volto dei Cinque Stelle. Punto. Dobbiamo quindi dire se il risultato è stato dignitoso e se ha cambiato il volto corrotto dell’amministrazione cittadina. Noi pensiamo di sì e distruggere questa esperienza significherebbe ritornare indietro e di molto.
I numerosi gruppuscoli romani, promotori di liste che sicuramente non si discosteranno dai risultati di altre prove dello stesso tipo, invece di porsi la questione politica che sta sul tappeto hanno scelto ancora una volta la strada della miopia e della inconsistenza politica. Il danno che costoro possono provocare non è enorme, tutt’altro. Però continuare a lavorare per l’avversario, cioè per il fronte liberista Michetti-Calenda-Gualtieri, non è certo un modo per far avanzare prospettive migliori. Ragioniamoci sopra.