Vendere oggi sarebbe svendere

di Vladimiro Giacché | da Pubblico del 20 settembre 2012

svendesi italiaNegli ultimi mesi, il tema delle privatizzazioni è riemerso con crescente insistenza.  Nella sua intervista di investitura a Repubblica del 12 agosto, il neoministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha parlato esplicitamente di “un percorso di rientro dell’1% del pil all’anno, realistico e percorribile, che ruota intorno a un programma pluriennale di dismissioni pubbliche, soprattutto sul fronte immobiliare”.

A dire il vero, per quanto riguarda gli immobili pubblici la percorribilità, e soprattutto la convenienza, sono tutte da dimostrare. Lo stesso direttore dell’Agenzia del Demanio, Stefano Scalera, nella sua audizione alla Commissione Finanze della Camera il 5 settembre, ha infatti constatato che “i prezzi delle compravendite sono scesi lo scorso anno e continuano a scendere”, e che questo “non porta a valorizzare gli immobili sul mercato”.

A questo vanno aggiunte due ulteriori considerazioni. Se i beni alienati sono immobili strumentali, costringere enti e ministeri ad andare in affitto non è affatto conveniente nel medio-lungo periodo. Quanto alla dismissione di beni demaniali, essa è addirittura incostituzionale: infatti, come ha osservato Salvatore Settis in un recente intervento, “la proprietà pubblica è attributo necessario della sovranità, che spetta al popolo” in base all’Art. 1 della Costituzione.  

Sulla vendita di SnamReteGas, Terna e Fintecna, il ministro è stato più prudente, manifestando anzi l’intenzione di costruire “un polo delle Grandi Reti” ben distinto dagli operatori privati di servizi. Anche su Eni, Enel e Finmeccanica, è sembrato chiudere la porta all’ipotesi che lo Stato scenda sotto il 30% del capitale, invocando addirittura la “difesa dell’italianità” nei settori strategici. Nessuna parola però su Ansaldo Energia e Ansaldo Sts, per le quali dovrebbe valere lo stesso discorso.

Il grande tema che resta sullo sfondo è però quello della privatizzazione dei servizi pubblici locali, ossia delle società municipalizzate. Anche se un tentativo di aggirare i risultati del referendum sull’acqua, posto in essere attraverso l’art. 4 della Finanziaria-bis 2011, è stato sventato dalla Corte Costituzionale, che ne ha dichiarato l’illegittimità ai sensi dell’art. 75 della Costituzione. A questo riguardo c’è un solo modo per non tradire la volontà popolare, garantendo al tempo stesso l’economicità della gestione: promuovere un processo di integrazione tra le municipalizzate, in modo da formare imprese pubbliche dotate di adeguate economie di scala.

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