Rivoluzionare l’economia

di Vladimiro Giacché

giaccheComprimere salari e diritti è la risposta sbagliata alla crisi. Per recuperare competitività l’Italia deve rilanciare gli investimenti in ricerca e formazione, deve fare della lotta all’economia criminale e all’illegalità economica una priorità assoluta, deve riequilibrare i rapporti tra settore pubblico e privato dell’economia restituendo allo Stato un ruolo centrale per il rilancio di una seria politica industriale. Rivoluzionare l’economia in Italia significa sostanzialmente fare tre cose.

1. Significa innanzitutto affermare il principio che non esiste alcuna opposizione tra crescita ed equità, tra modernizzazione e giustizia sociale. È vero il contrario: le strategie di recupero della competitività attuate comprimendo salari e diritti sono state fallimentari in passato e lo sono oggi. In passato non hanno incentivato le imprese a investire in ricerca e sviluppo tecnologico, e oggi comprimono i consumi in misura tale da provocare una caduta rovinosa dell’attività economica.

Tutte le statistiche internazionali evidenziano una stretta correlazione tra produttività del lavoro da un lato e gli investimenti effettuati in ricerca e nella formazione (scolastica e universitaria) dall’altro. Gli investimenti in ricerca del nostro paese sono meno della metà di quelli della Germania, poco più della metà di quelli della Francia. Gli ultimi governi hanno tagliato le spese per la scuola e per l’università in modo pesantissimo (il solo fondo di finanziamento ordinario dell’università è stato tagliato di oltre 800 milioni di euro dal 2008 al 2012). Questa è una ricetta per il declino. Bisogna invertire la rotta, rilanciando gli investimenti nella ricerca (di base e applicata) e nella formazione. Ossia nel nostro futuro.

2. Significa diffondere la consapevolezza che la lotta all’economia criminale e all’illegalità economica non costituiscono un tema di carattere giudiziario o morale, ma un problema essenziale per la crescita economica del nostro paese. Lotta alla criminalità vuol dire migliorare le condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone e al tempo stesso restituire al nostro Paese la capacità di attrarre investimenti esteri. Lotta all’economia sommersa e all’evasione fiscale vuol dire rendere sostenibile il bilancio pubblico e liberare enormi risorse per migliorare lo stato sociale e per investimenti produttivi: l’economia sommersa è infatti stimata per il 2008 dall’Istat tra i 255 e il 275 miliardi euro (ossia tra il 16,3% e il 17,5% del pil), e l’evasione sottrae ogni anno allo Stato all’incirca 120 miliardi di gettito (pari all’8% del pil). Ma vuol dire anche redistribuire il carico fiscale alleggerendone il peso per tutti coloro (lavori dipendenti, autonomi e imprese) che oggi pagano le tasse anche per chi non le paga. Infine, significa eliminare un elemento che distorce la concorrenza e premia le imprese peggiori. Nessuno degli ultimi governi ha combattuto l’evasione. Non lo ha fatto Berlusconi, che anzi l’ha incoraggiata, ma non lo ha fatto neppure Monti, che per questo è stato criticato sia dalla Commissione Europea che dalla Corte dei Conti.

3. Significa riequilibrare i rapporti tra settore pubblico e settore privato dell’economia, uscendo dall’idea che l’intervento dello Stato nell’economia debba esaurirsi – come ha fatto il governo Monti – nel prestare soldi alle banche e addirittura nel garantire le obbligazioni emesse dalle banche in caso di fallimento. Bisogna invece affrontare e risolvere le crisi industriali in atto (che i due ultimi governi hanno lasciato marcire: si pensi ai casi di Alcoa e Ilva), ove necessario anche rilevando la proprietà delle società che i privati si sono dimostrati incapaci di gestire. Inoltre, lo Stato deve fare politiche attive del lavoro, attraverso un grande piano di investimenti per la messa in sicurezza del territorio e per la tutela del nostro patrimonio culturale e ambientale. E tornare a fornire indirizzi strategici per lo sviluppo economico: ossia fare una seria politica industriale