“Su Mps lo Stato doveva entrare nel pacchetto di controllo”. Intervista a Vladimiro Giacché

da www.controlacrisi.org

giacche rivoluzionecivileLa vicenda del Montepaschi forse non è così diversa da quella di tanti altri istituti di credito, ma in questo caso il legame con la politica è decisamente più forte.

La vicenda Montepaschi può esser letta sotto varie profili. E’ chiaro che i derivati servivano a coprire i buchi di bilancio. E’ abbastanza un classico nelle vicende delle aziende figuriamoci nelle banche. La gran parte dei casi di crack finanziari sono nati da un tentativo di coprire dei buchi facendone altri. Poi, certo, l’altro aspetto da mettere in rilievo è che nell’ambito delle banche più o meno politicizzate viene fuori una politica subordinata al potere finanziario. Un pezzo della politica ha scelto di difendere determinati principi e valori legandosi al potere finanziario. Poi piano piano vengono a galla le contraddizioni. C’è una banca che è in difficoltà che ha ricevuto dallo Stato dei prestiti significativi. Questo non può essere considerato come un contratto qualsiasi, perché una parte è pubblica. Credo che le modalità di intervento dello Stato nelle crisi bancarie debba essere un interveno direttamente nel capitale.


Tanto più se parliamo di una banca che impiega le sue risorse in modo spericolato e le ripercussioni del suo agire hanno una valenza sull’economia nazionale…

Questo ‘atto mancato’ è proprio ciò che ha impedito a questo paese di ragionare sul controllo delle banche e sulla loro funzione come public utilities. Interventi di questo tipo devono avere un profilo nettamente diverso, ci devono essere dei chiari elementi di controllo.

Questa vicenda non può essere letta come uno scontro interno al mondo bancario?

Le nostre banche sono molto colpite dalla crisi economica. Nel mondo normale non può esistere una banca sana in una economia che è malata. In una prima fase della crisi le nostre banche erano messe meglio di quelle tedesche e anglosassoni adesso la situazione sta cambiando perché i crediti inesigibili stanno diventando sempre più cospicui. Questo è sicuramente uno degli effetti della crisi. Certo, la concorrenza non è un pranzo di gala, ma più che una lotta interna c’è sicuramente un confronto che vedo molto forte tra i sistemi bancari dei vari paesi. Alcuni paesi sono avvantaggiati dalla crisi. Il costo della raccolta bancaria è in Italia superiore di tre punti percentuali rispetto al costo che si ha in Germania. Questo per il motivo molto semplice che i tassi sono legati ai titoli di Stato. In un momento in cui la Germania fa raccolta a tassi negativi le banche tedesche sono oggettivamente favorite. Questo è un problema in prospettiva molto serio perché gli istituti tedeschi stanno cercando di mettere a posto i loro bilanci sia per i titoli tossici che per le politiche industriali messe in atto. Va ricordato che nel 2007 all’inizio dello tsunami finanziario è qui che sono fallite le prime banche. Quando si è discusso della cosiddetta unione bancaria la Germania ha imposto che solo le grandissime banche avessero come supervisore la banca europea e non quelle locali. Una parte delle casse di risparmio tedesche hanno connessione con il mondo politico tedesco. Hanno risolto il problema dilazionando l’avvio del controllo da parte della Bce. La verità è che la Germania è in una situazione favorevole che le consente di comprare tempo. Intanto, però, sta arrivando la recessione anche da loro.

Bankitalia nel suo bollettino pochi giorni fa diceva che i margini di profitto delle imprese stanno nuovamente salendo.

C’è un recupero dei profitti, è chiaro; profitti però che non vanno ai salari e nemmeno agli investimenti.

Come candidato di Rivoluzione civile alle prossime elezioni come vedi in prospettiva la funzione politico di questo soggetto politico?

Oggi questa è l’unico raggruppamento che dice delle cose sensate agli italiani. Dice che va rinegoziato il fiscal compact, che nessuno ha il coraggio di dire, per esempio. Anche quelli che strillano contro l’Europa sono quelli che non hanno messo il veto sul fiscal compact nel momento in cui stava passando. La seconda è che non può esserci crescita senza equità sociale. I problemi complessivi di questo paese risalgono proprio al fatto che si è pensato di risolvere il nodo della produttività colpendo esclusivamente il lavoro.

Tra società civile e politica finalmente qualcosa si sblocca. Sarà in grado Rc di interpretare al meglio questo ruolo?

Bisognerebbe avere la capacità di mettere in comune le esperienze e le diverse posizioni, mettere in pratica un confronto che è già stato attuato nelle linee di programma, ma soprattutto bisogna cercare di essere quanto più possibile compatti e dare vita, considerando tutte le differenze, a una realtà nuova in grado di cambiare davvero la politica in questo paese.