Miserie passate, presenti e future del paese Italia

di Pasquale Cicalese per Marx21.it
 

monti marchionne italiaIl 22 marzo scorso Il Foglio di Giuliano Ferrara si caratterizzava per il giubileo del “comunista” Giorgio Napolitano, un “riformista” che appoggia in pieno la riforma dell’art. 18, una lode confermata dalla presa di posizione di Alfano a difesa del Capo dello Stato contro le polemiche della Cgil e della “sinistra radicale”.

Lo stesso giorno, l’Istat pubblicava i dati di febbraio del commercio extra-Ue. Cosa ne usciva fuori?

Intanto vi è un boom di esportazioni verso la Svizzera costituito prevalentemente da metalli, un eufemismo per non dire che da parecchi mesi a questa parte i possidenti italiani mandano tonnellate di oro in quel paese a difesa dei loro patrimoni e il tutto in un quadro di legittimità, essendo liberalizzata l’esportazione di capitali e valori. Oltre ai possidenti, un’altra categoria manda oro in quel paese e sono le banche, il che rivela lo stato di salute dell’apparato finanziario italiano, a cui è ormai precluso il mercato interbancario internazionale.

Ma è un altro il dato da tenere in considerazione. Due settimane prima, le Dogane cinesi comunicavano al mondo che, a livello tendenziale (vale a dire anno su anno), le importazioni in quel paese a febbraio erano aumentate del 39,6%, un dato parzialmente falsificato dal fatto che lo scorso anno il capodanno cinese cadeva proprio a febbraio e, dunque, poteva essere interpretato alla luce di quell’evento. In ogni caso tra gennaio e febbraio del 2012 le importazioni cinesi sono aumentate del 20,2%, confermando il trend dell’anno passato.

Sta di fatto che, anche considerando tale peculiarità del mese di febbraio, l’export italiano in Cina, nello stesso mese, calava del 4,6% annuale, confermando oltretutto il calo di gennaio. Tradotto, ciò significa che l’Italia sta perdendo sempre più quote di mercato in quel paese, a conferma di un trend che si osserva da un po’ di anni e che non sembra preoccupare la “dirigenza italiana”, troppo indaffarata ad affamare il proletariato e a dar chiari consigli ai giovani, e non, di emigrare all’estero.

Se consideriamo il fatto che già ora la Cina è il secondo importare a livello mondiale e che tra non molto scavalcherà gli USA, intenzionata com’ è a divenire un polo di attrazione mondiale tale da legittimare il ruolo internazionale di riserva della sua moneta, ci si può rendere conto dell’abissale distanza “intellettuale” della dirigenza italiana dai mutamenti del mercato mondiale, ben rappresentato da una altro dato: l’interscambio Cina-Italia è pari ad ¼ rispetto alla Francia e ad 1/5 rispetto alla Germania.

Se allarghiamo lo sguardo ai paesi Bric, che detengono, in dollari e non a parità di potere d’acquisto (per cui il dato sarebbe molto più alto..), il 20% del pil mondiale, lo scenario è ancora più sorprendente: appena il 6,8% dell’export italiano si indirizza verso questi Paesi, mentre aggiungendo il totale asiatico si arriva a non più del 9%, quando l’Asia conta per il 50% della produzione industriale mondiale…

L’idiozia della dirigenza italiana è ben rappresentata da quel campione di accaparramento di incentivi pubblici in giro per il mondo che risponde al nome di Marchionne. Questi, pochi giorni prima, a Bruxelles, pontificava in merito alla riduzione del 20% della capacità automobilistica europea. Peccato che in quei giorni uscivano i dati dei produttori tedeschi: boom di utili e fatturato, mega piani di investimenti, Germania compresa, e corollario di comunicazione al mercato di assunzioni di decine di migliaia di addetti. In Germania, non in Serbia….

Sono matti i padroni tedeschi? Nient’affatto, non riescono da un po’ di anni a soddisfare la domanda dei Bric e, dunque, utilizzano al massimo gli stessi impianti tedeschi.

Quanto all’alta gamma, che Fiat non cura da decenni avendo ucciso, al contrario, le potenzialità di Alfa Romeo, l’amministratore delegato di Bmw informa che il mercato del lusso a livello mondiale, previsto in crescita nei prossimi anni…, vale quattro bruscolini: mille miliardi di euro, di cui ¼ costituito dal settore automobilistico, per cui decide di assumere 4 mila addetti in…Germania, nonostante i colossali investimenti in Cina.

Licenziare i padroni?, si chiedeva anni fa l’editorialista del Corriere della Sera Massimo Mucchetti, una domanda che dovrebbe essere allargata alla vasta platea dei rappresentanti di una borghesia stracciona incapace di “dirigere” l’Italia e tutta protesa, con la sua arrogante cecità, ad affondare un Paese che fino a pochi decenni fa gareggiava con la punta avanzata delle economie mondiali, interessata com’era a partecipare ad una divisione internazionale del lavoro che rispecchiasse il ritrovato, dopo gli eventi bellici, protagonismo sulla scena mondiale e di cui Mattei era in rappresentante più simbolico.

Oggi siamo in mano a subfornitori, cacciatori di incentivi a fondo perduto in giro per il mondo e a gente che si vanta di primeggiare in quel che l’economista Marcello De Cecco definì anni orsono “stracci eleganti”, per il quale via Condotti o via Montenapoleone sono l’altra faccia degli scantinati napoletani, pugliesi o calabresi, e a gente che vorrebbe i giovani laureati adeguarsi alla nuova era, a lavorare come apprendisti presso gli “scarpari”.

Questi ultimi due decenni, guidati con “cura” maniacale da quel “signore” di Mario Draghi, preparano lo scenario della grande depressione del 1870, caratterizzata da un dato che dovrebbe far rabbrividire: la grande emigrazione all’estero.

Gli ultimi baluardi della punta avanzata dell’industria, vale a dire i pochi oligopoli pubblici rimasti, sono prossimi allo smantellamento: il ruolo di questo Paese nella divisione internazionale del lavoro è sempre più degradante. Se pensiamo che nelle università sono iscritti circa 1,6 milioni di studenti e che la generazione 25-40 anni, istruita, è precaria o disoccupata, ci si può rendere conto dello sfacelo futuro.

Non c’è posto, tutto qui, il messaggio è evidente.

Baffi la pensava diversamente, non a caso gli appiopparono un mandato d’arresto..

I suoi successori non hanno fatto altro che prodigarsi ad essere servi di Francoforte e ad affamare il proletariato, un lavoro lungo trent’anni che adesso si compie definitivamente.

Pochi giorni fa, in un convegno del CER, Romano Prodi ha definito il federalismo una “boiata pazzesca” e l’assetto proprietario delle imprese italiane avente una “governance penosa”.

De te fabula narratur, verrebbe voglia di dirgli, ma il punto è un altro.

Con questa polverizzazione istituzionale e amministrativa, con una giustizia civile che è stata portata al collasso per la gioia degli affaristi di turno che impazzano da decenni in questo Paese, con un Mezzogiorno, e non solo.., dominato da un originale attore di centralizzazione finanziaria rappresentato dalle mafie, con una corruzione spaventosa, con un crollo trentennale di investimenti in conto capitale, privato e pubblico, bisognerebbe chiedere alla “dirigenza” con quali presupposti si presentano alle assise internazionali cercando di convincere gli “investitori esteri”.

A meno che pensano di poter importare “merda produttiva” che paesi industrializzati e paesi definiti una volta “emergenti” stanno smantellando posizionandosi nella fascia alta della divisione internazionale del lavoro, una riedizione di quanto successo negli anni settanta con il nano capitalismo.

Addio, in questo caso, all’aumento della produttività totale dei fattori produttivi e soprattutto l’invito perentorio ai giovani, e non, ad avere sempre più salari da fame.

Ma il mondo è più vasto ed interessante delle miserie italiane: la risposta, ribelle, sarà la fuga, l’emigrazione di massa.

In attesa che ci sia una risposta corale del proletariato italiano che rimarrà volto ad un uscita progressiva che abbia come primo punto la nazionalizzazione delle banche e delle imprese strategiche, e l’adozione di una pianificazione che si caratterizzi attraverso accordi monetari, commerciali ed industriali con i Bric.

Altre soluzioni non ne vedo.