Meraviglia tecnica, tre milioni a spasso

di Domenico Moro | da Pubblico

recessione italiaLe misure contenute nella Legge di stabilità, inserite in un contesto di peggioramento del commercio e dell’economia mondiale, stanno determinando la peggiore recessione degli ultimi venti anni. Lo testimonia l’Istat, che prevede una flessione del Pil del -2,3% nel 2012 e del -0,5% nel 2013, con una revisione al ribasso delle precedenti previsioni rispettivamente di 0,8 punti e di un punto percentuale. I trimestri di recessione saranno otto, a fronte dei cinque della recessione 2008-2009 e dei sei del 1992-1993. La disoccupazione peggiorerà ancora, passando dal 10,6% all’11,4%, sia per il contrarsi dell’occupazione che per l’aumento dell’incidenza della disoccupazione di lunga durata. L’Istat non fornisce il dato assoluto dei disoccupati, che però potrebbero aggirarsi tra i 200mila e i 300mila in più nel 2013, arrivando forse a sfiorare i 3milioni di unità. I risultati dell’economia italiana si mantengono peggiori rispetto al resto dell’area euro, sebbene anche questi siano pessimi, e a quelli di Usa e Giappone, dove si registra una flessione.

Nell’area euro il Pil calerà del -0,5% nel 2012 e sarà stagnante con un +0,1% nel 2013, negli Usa scenderà dal +2,3% al +2,1% e in Giappone dal 2% all’1,2%. Quali sono le ragioni delle pessime previsioni su Pil e disoccupazione italiane? In primo luogo, va detto che la flessione del Pil dipende in gran parte dall’indebolimento della domanda interna, sul cui andamento pesano non solo la riduzione della spesa delle famiglie ma anche la contrazione degli investimenti delle imprese. L’aumento della disoccupazione e la ridottissima crescita delle retribuzioni, inferiore all’inflazione, confermano il calo di risparmio e spesa per i consumi delle famiglie, che nel 2012 sarà del -3,2% e nel 2013 del -0,7%. Alla ridotta spesa delle famiglie si aggiunge la caduta degli investimenti fissi delle imprese, -7,2% nel 2012 e -0,9% nel 2013. Un risultato, secondo l’Istat, non solo della caduta della domanda, ma anche del calo dei profitti, che scoraggia gli investimenti, specie nella manifattura. La cosa è preoccupante perché il rallentamento dell’accumulazione di capitale determina un restringimento della base produttiva domestica, minando le basi dell’occupazione e provocando l’ulteriore calo della domanda interna. In aggiunta, il calo degli investimenti determina una più rapida obsolescenza dell’apparato produttivo e dell’offerta di prodotto, con effetti negativi sulla competitività e sulla produttività, che infatti l’Istat prevede in calo. Malgrado ciò, l’unico contributo positivo al Pil è rappresentato dalla domanda estera che è prevista in crescita, del +2,8% nel 2012 e del +0,5% nel 2013, senza però essere in grado di compensare il crollo di quella interna. L’Istat prevede un miglioramento della bilancia commerciale italiana dall’1% del 2012 sul Pil all’1,5% del 2013, che dipende più dal calo delle importazioni che dalle performance delle esportazioni. Tutte le misure adottate dal governo, e ancor di più le recenti modifiche in ambito parlamentare, tendono a privilegiare la domanda estera a scapito della domanda interna, favorendo le grandi imprese esportatrici e danneggiando, oltre ai salariati, anche le piccole imprese e gli artigiani che servono prevalentemente il mercato interno. Infatti, l’aumento dell’Iva massima, che incide solo sulle importazioni ma non sulle esportazioni, l’eliminazione della riduzione dell’Irpef per i bassi redditi in cambio del taglio dell’Irap alle imprese, e la detassazione dei contratti di produttività favoriscono l’export e indeboliscono l’import. Basarsi unicamente sull’export, per di più mediante la riduzione dei salari, è però un errore, perché l’Istat prevede una ulteriore contrazione della quota mondiale dell’export italiano, anche a causa delle difficoltà dei nostri mercati di sbocco tradizionali. Del resto, l’Istat mette in guardia su alcune incertezze che potrebbero peggiorare le previsioni: la possibile fine delle politiche espansive negli Usa, dopo le elezioni, il rallentamento delle economie emergenti dal 6,2% del 2011 al 4,7% del 2013, e il ripresentarsi di un ampliamento dello spread. L’opera del governo si rivela fallimentare rispetto sia alla crescita sia alla riduzione del debito. I dati Istat, rivedendo in peggio il Pil 2013, correggono implicitamente anche le previsioni del governo sul debito, che sarà superiore a quanto programmato. Il debito nel secondo quadrimestre 2012, secondo quanto certificato da Eurostat, è arrivato al 126,1%, sfondando la soglia del 123% prevista dal Mef per l’anno in corso. Nel 2013, con la contrazione di Pil e della base imponibile, per via dell’aumento della disoccupazione e del calo delle retribuzioni, il debito pubblico salirà ancora.