La svolta di Confindustria

di Pasquale Cicalese per Marx21.it

fabbrica emissioniNei “Diari intimi” Baudelaire scriveva, a proposito della Comune di Parigi, che “tutto è comune, persino Dio”. Celebrava quegli eventi e la città parigina, prima che questa venisse sventrata dalla hausmanizzazione imperialista di Napoleone III. Tracce della capitale francese all’epoca del sommo poeta francese si trovano nel capolavoro benjaminiano “Parigi capitale del XIX° secolo” in cui si analizza la dicotomia merce-lotta di classe di quei lavoratori che Marx giudicò l’avanguardia del proletariato mondiale.

A suo modo arrivò alle conclusioni di Baudelaire lo stesso Schumpeter: analizzando lo schema marxiano della trasformazione dei valori in prezzi ne subì, quasi inorridito, il fascino, per poi ritirarsi nella metafisica. Ebbe modo però di scrivere che il socialismo era superiore al modo di produzione capitalistico e che avrebbe avuto il sopravvento. Concetto poco chiaro ai breszeviani, che condannarono la gloriosa Unione Sovietica alla stagnazione: le proletarie russe volevano, giustamente, mangiare e vestirsi bene, il socialismo è anche questo, raffinatezza dei gusti, concetto precluso ai crucchi, che mangiano da schifo, e si vede.

Le proletarie meridionali, tra loro, parlano di tre cose: figli, cibo e moda. Da anni stanno rinunciando alle ultime due, tra poco anche al primo, e sono incazzate nere. Sembrano le russe degli anni ottanta, così come le descriveva il padre di Sami, un turco che era comandante di flotte mercantili in rotta verso Leningrado e il Mar Nero. Ora è in Calabria, due anni fa ti diceva che ormai la situazione era insostenibile e parlava del boom economico del suo paese di questi anni. O Patrizio M.,collega della Provincia, che ti parla invece della Russia di oggi: la mattina commenta i programmi di news del giorno prima con fulminanti battute in crotonese. L’ultima: “’ntu ’45 l’hannu rasi al suolo, mò ci cavanu l’occhi” (nel ’45 li bombardarono, ora gli toglieranno gli occhi). A chi? Ai crucchi, naturalmente, per i fatti di Cipro.. Guai a toccare ai crotonesi i greci, ti sbranano. A Crotone non hai scampo: o sei ‘ndranghetista o sei rivoluzionario, con in testa Pitagora e Rino Gaetano, tertium non datur. Patrizio viene dai fuochi bolognesi del ’77, quando era studente al Dams. Si occupa di spettacoli, tutti i rivoluzionari italiani del mondo dell’arte li ha fatti venire negli anni novanta, un po’ per celebrare le barricate delle fabbriche crotonesi, ora dismesse: Bruxelles decise nel ’92 che lo zinco lo doveva produrre solo la Francia, l’ Italia doveva solo importarlo, migliaia di operai campano da allora con la mobilità e i tirocini formativi.

Il Galilei di Brecht interpretato dal grande Rigilio l’ho visto grazie a lui.

Per sette anni ti occupi di programmazione economica territoriale, poi nel 2009 ti spostano a gestire mostre d’artigianato perché non c’è più una lira, lì capisci che la bufera era appena iniziata. Parli con gli artigiani e ti spiegano che non hanno più possibilità di liquidare i contributi dovuti all’Inps.

Tutto ridiventa comune, persino la rabbia, nella città dei fuochi del ’93. La cassa in deroga non è finanziata, migliaia di persone non pagano più il mutuo, in attesa che l’ufficiale giudiziario li sfratti; hanno 5 anni di tempo, per il momento respirano, poi si vede. Crotone è stato un laboratorio nazionale di tutte le minchiate che la “classe dirigente” ha combinato negli ultimi vent’anni. Grillo qui ha preso il 31%, non vogliono sentir parlare di comunisti, si ricordano di Prodi. Eppure qui Rivoluzione Civile ha avuto il 4%.

Sotto casa c’è un tabacchi affollato tutti i giorni da proletari che si danno al gioco per racimolare qualcosa, perdendone il triplo. A fianco c’è un bar, cassaintegrati e artigiani prendono il caffè la mattina. Gli artigiani spiegano che il crollo è iniziato negli anni novanta e ti dicono: “non hai idea del giro d’affari che avevo negli anni settanta”. Gli “anni bui”, secondo i giornalisti italiani, che si meriterebbero di essere presi a calci nel sedere.

Il centro per l’impiego della Provincia ha un software per l’offerta di lavoro in Europa, in 6 mesi ha concluso una cinquantina di contratti, soprattutto Svizzera e Germania. I paesi sono spopolati, ritornano nei luoghi di una volta dove ci sono le comunità dei calabresi, soprattutto Germania, i voli dalla Calabria per questo paese sono sempre pieni da tre anni. I giovani vanno in Brasile e Australia, ma se gli Usa si riprendessero a migliaia andrebbero a Boston e New York.

Se non ci fossero tutte le case popolari costruite nei decenni passati, vedresti migliaia di senzatetto. Confindustria, nell’ultimo Bollettino di marzo, definisce tutto ciò “la più grave crisi economica della storia d’Italia” in un contesto europeo di “mala gestione dei risanamenti”.

Dal 2007 la spesa per carburanti è calata del 17,1%, quella per le auto del 50%, il reddito disponibile è calato del 10%. Manco negli anni trenta c’erano questi numeri. Confindustria comunica poi un fatto gravissimo: se nel periodo 2010-2012 bene o male l’occupazione aveva tenuto, negli ultimi 4 mesi l’occupazione è calata di 230 mila unità; la cassa integrazione diminuisce solo perché a centinaia di migliaia non viene più rinnovata. Uno studio del Censis rivela che il 75% delle imprese localizzate nei distretti industriali ha ormai poco o nulla spazio per sopravvivere. Unico respiro sono le esportazioni extra-europee, ma tali mercati coinvolgono al massimo una rete di 80 mila aziende. Sul fronte interno in 3 anni sono scomparsi circa 47 miliardi di valore aggiunto industriale, per un totale complessivo di 250 miliardi di giro d’affari: mai accaduto nell’Italia contemporanea. Per Confindustria tutto diventa comune, la crisi diventa comune, anche se non arrivano al socialismo. Ma anch’essa si rende conto che la situazione è insostenibile, chiede a gran voce investimenti pubblici e misure shock per far girare liquidità. Ad esempio chiede, ed ottiene, l’abolizione del Patto di Stabilità Interno voluto nel lontano 1998 da Prodi in accordo al Trattato di Amsterdam, seguito del Trattato di Maastricht. Una sola cosa si può dire: il patronato italiano chiede la sospensione dei trattati europei, non era mai successo. Segni di tale svolta si ebbero a partire da giugno del 2012 ma nessuno a sinistra capì l’importanza strategica di questo cambio di direzione con la presidenza Squinzi. Un La Malfa, rappresentante dell’aristocrazia finanziaria italiana, che si scaglia ripetutamente sul giornale confindustriale contro l’Europa e Monti e vuole politiche della domanda è un qualcosa che non riesci a spiegarti se non in un contesto di drammatica crisi.

Inoltre, nel suddetto Bollettino Confindustria mette in guardia contro qualsiasi ulteriore manovra correttiva, anzi sollecita una politica di deficit spending keynesiana: i monetaristi non abitano più a Viale dell’Astronomia, sono rimasti presso la direzione nazionale del PD…L’austromonetarismo gli è servito per stroncare il proletariato italiano, ora si rendono conto che sta stroncando anche loro e cambiano passo. Certo, vogliono gli Stati Uniti d’Europa ma con una banca centrale decisamente diversa. I loro fari sono Masciandaro, Paolo Savona e altri eccellenti studiosi italiani della moneta memori degli anni della ricostruzione. Si indignano per la Grecia o per Cipro e Schauble proprio non gli va giù. Non ritengono democratico che la CSU, che costituisce appena lo 0,3% dell’elettorato europeo, decida unilateralmente per 450 milioni di persone. Ma negli anni novanta Confindustria si era dimenticata chi fosse Franz Joseph Strauss, di cui Schauble è il delfino.

Provate ad immedesimarvi nell’Italia prodiana del ’96, era tutt’altra musica; provate a ricordarvi gli inchini del bolognese a Kohl o a Tietmayer della Bundesbank e i loro “patti per il lavoro” con gli entusiasmi della Confindustria di Abete di quegli anni e vi renderete conto che qui siamo a tutt’altra pasta. Il primo viaggio da premier Prodi lo fece in Germania affermando che “così si fa in Germania e così si farà in Italia”. Loro ebbero Hartz IV, noi il Pacchetto Treu. Da pessimo professore universitario non ebbe mai modo di studiare la moneta, tantomeno lo statuto che la Bundesbank si diede nel 1947. Era uno specialista del “piccolo è bello”, del sanfedismo economico, insomma. Il suo corso di studio del 1993 di economia industriale era l’apologia delle privatizzazioni della Thatcher, una tarantella che ti dovevi sorbire per fare l’esame e pensavi che un giorno avresti cantato Bologna’s burning. Ora è l’Italia tutta che brucia…

Da presidente dell’Iri ha smantellato colossi industriali, da premier, su indicazione dei radicali, abolì definitivamente la Gescal, la tassa con cui si finanziavano le costruzioni delle case popolari ed in compenso inaugurò il salasso del federalismo fiscale. Non pago, abolì l’equo canone, la miseria proletaria di oggi viene da lì. Non pago ancora, privatizzò le banche pubbliche che per cinquant’anni avevano accompagnato lo sviluppo industriale del Paese, privatizzando inoltre le migliori imprese strategiche. Era il governo di centro-sinistra, Nenni si rivolterebbe nella tomba per quel che hanno combinato. Il decennio berlusconiano è stata solo una farsa, con il tragico intermezzo del raddoppio dei prezzi a seguiti della circolazione dell’euro, il colpo finale per il proletariato italiano. Ora Tremonti se la prende con le banche tedesche e francesi, non ha il senso della vergogna, come Prodi. Ne beneficiarono bottegai, immobiliaristi e altri parassiti che ora piangono, ‘tacci loro, si direbbe a Roma. Ora qualcosa, pur timidamente, si muove.

Il capo economista di Viale dell’Astronomia è passato dal monetarismo ad un mix di keynesismo e scumpeterianesimo, voglioso di detassare i redditi medio bassi e che attacca la rendita. E’ questa la vera svolta, non già Casaleggio, e con essa dovremmo averci a che fare. Sono gli esportatori che parlano, non già i parassitari cacciatori di incentivi a fondo perduto che hanno dominato negli ultimi 20 anni, assieme ai privatizzatori trasformatisi in rentier. Una parte della borghesia italiana ha capito che senza industria non c’è scampo, è lì che nei prossimi anni si faranno i profitti, le bolle azionarie e obbligazionarie hanno decimato la rendita, così come, tra poco, la bolla immobiliare. E’ Schumpeter che vince, non già Milton Freidman. Schumpeter inorridì di fronte a Marx ma gli fece tutti gli onori, molto meglio lui che Fassina o Tremonti…Il decano dell’economia italiana Marcello De Cecco ora insegna alla Luiss Guido Carli della Confindustria e assieme a Pierluigi Ciocca dà il la al nuovo pensiero confindustriale. Le barricate del pensiero economico ora sono decisamente meno grigie degli anni bui di Prodi e un Aurelio Macchioro è un’arma decisamente all’avanguardia per fronteggiare Confindustria, lui che tradusse nel 1945, primo in Italia, il Keynes della Teoria Generale e che è un geniale interprete del Moro.

La crisi di sovrapproduzione e la caduta tendenziale del saggio di profitto senz’altro esistono, così come esistono rimedi e controtendenze, ma i disastri italiani hanno tutti origini interne, è bene che si sappia.

Si respira un’altra aria in questo Paese, ora le barricate del pensiero economico hanno un senso, negli ultimi vent’anni era meglio dedicarti allo studio, o al cibo, come fanno le proletarie meridionali, che ti insegnano che tutto è comune.