di Domenico Moro, responsabile Progetto per la formazione di Marx XXI
Prima parte. La Fiscalità
Contrariamente a quanto era stato propagandato dalla maggior parte dei mass media, il governo Monti ha operato sulla fiscalità in modo iniquo. Le imposte, infatti, sono state aumentate ai lavoratori salariati e diminuite alle imprese. Qui di seguito procediamo ad una analisi molto sintetica delle modifiche apportate da Monti alla fiscalità italiana.
L’Irpef, o imposta sulle persone fisiche, è la principale imposta italiana ed è diretta, applicandosi al reddito. Si tratta di una imposta progressiva. Ciò vuol dire che quanto più sei ricco tanto più paghi. In realtà, l’Irpef ha perso, nel corso degli anni, molto del suo carattere progressivo, passando da ben 32 scaglioni e da una aliquota massima del 72% (1974), a soli 5 scaglioni con scaglione massimo di 75mila euro e una aliquota massima del 43% (2007). Pensiamo che invece nel liberista Regno Unito l’aliquota massima è del 50%, che neanche il governo conservatore vuole ridurre.
L’Iva e le accise, al contrario, sono imposte indirette, applicandosi ai consumi. Le imposte indirette sono imposte regressive, perché applicandosi a tutti con una medesima percentuale, gravano maggiormente sul reddito più basso che sul reddito più alto. Si tratta, quindi, di imposte inique. Infatti, la Costituzione raccomanda che le tasse debbano essere progressive.
Ebbene, cosa ha fatto Monti? Monti, malgrado le promesse, ha lasciato intatta l’aliquota più alta dell’Irpef, cioè le imposte sui più ricchi, ed ha aumentato le imposte sui consumi, quelle che gravano principalmente sui redditi più bassi. L’Iva era già stata aumentata da Berlusconi di un punto, dal 20% al 21%. Ora, l’Iva (le aliquote del 10% e del 21%) verrà aumentata, nella seconda metà del 2012, di due punti percentuali e, nel 2014, di un ulteriore 0,5%.
Inoltre, sono state aumentate le accise sui carburanti, quella della benzina a 704,20 euro per mille litri, quella del gasolio a 593,20 euro. Tali aumenti hanno provocato un aumento dei costi del trasporto e, a cascata, di molte merci. Possiamo immaginare quanto saranno pesanti gli effetti sull’inflazione, quando gli aumenti dell’Iva si sommeranno a quelli delle accise.
Non è del tutto corretto dire che Monti non ha toccato l’Irpef. Ha toccato l’Irpef regionale (addizionale Irpef). Però, nell’Irpef regionale Monti ha aumentato l’aliquota di base, che grava sui più poveri. Questa è stata ritoccata dello 0,33%, portandola dallo 0,9% all’1,23%. Dal momento, però, che molte regioni avevano già introdotto delle maggiorazioni alla vecchia aliquota base, gli aumenti effettivi sono maggiori. Nel Lazio si passa dall’1,40% all’1,73%, lo stesso in Piemonte, Sicilia e Lombardia. In Campania e Calabria si raggiunge il record con il 2,03%. Inoltre, l’addizionale regionale è progressiva solo in cinque regioni. Da notare, che il provvedimento di aumento dell’Irpef è retroattivo, cioè riguarda il 2011.
Viceversa, le imposte sono state diminuite alle imprese di capitale. L’Ires è l’imposta pagata sul reddito delle società (imprese di capitale, enti pubblici e privati, trust), che fu ridotta dal governo Prodi dal 33% al 27,5% nel 2007. Monti ha introdotto una nuova deduzione dall’Ires. Le imprese potranno dedurre dall’Ires l’imposta sulle attività produttive pagata sul costo del lavoro (Irap). Una impresa con 200 dipendenti risparmierà fino a 75.171 euro su una Irap totale di 237.900 euro.
Questa deduzione beneficerà soprattutto le grandi imprese, che hanno più dipendenti. Inoltre, va precisato che l’Irap non è una vera e propria imposta, perché al suo interno è compresa una parte del salario, quella indiretta, che va a pagare le spese sanitarie dei lavoratori. In questo modo si va a diminuire il salario due volte. Si riduce la parte indiretta, e, per compensarla, si aumentano le tasse sui consumi che gravano proporzionalmente di più sui lavoratori. In questo modo Monti ha recepito il programma della Confindustria, che da molto tempo si era impuntata sull’abolizione/riduzione dell’Irap, e sulla sua compensazione con lo spostamento della pressione fiscale verso i consumi.
Il governo Monti ha, infine, ha inserito anche una imposta patrimoniale, reintroducendo l’imposta comunale sulla prima casa, ora denominata Imu, prevista dal decreto sul federalismo fiscale. Peccato che, contrariamente a quanto si richiedeva da parte di molti a sinistra, tale tassa ha colpito tutti, compresi i piccoli patrimoni. Infatti, in Italia molti lavoratori salariati sono proprietari della casa dove vivono. Anche l’Imu è una tassa non progressiva ma proporzionale, perché si applica la stessa aliquota a patrimoni di diverso valore.
Si vede chiaramente che, in contrasto con quanto stabilisce la Costituzione, si ha uno spostamento della pressione fiscale dalle imposte dirette (progressive) a quelle indirette (regressive) e da quelle pagate dalle imprese a quelle pagate dai lavoratori. Tale tendenza era presente anche nei governi precedenti, ma è con Monti che raggiunge il suo picco. Inoltre, una parte di questo aumento iniquo avviene sul piano locale, favorito proprio dal federalismo fiscale, che nella propaganda delle Lega, e con l’assenso di molti altri partiti, avrebbe dovuto portare ad una diminuzione della pressione fiscale. Ciò non è avvenuto neanche nella regioni del Nord. Sarebbe importante far notare questo aspetto agli elettori della Lega (e non solo a quelli della Lega), che pure oggi si dissocia dall’operato del governo Monti.
In sintesi, appare evidente che si è aumentata la pressione fiscale sui più poveri, cioè sulla stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti e sui lavoratori autonomi più poveri, mentre si è diminuita quelle sulle imprese e sui più ricchi. Anche sul piano della fiscalità il Governo Monti si rivela essere il governo della Confindustria.
Che fare?
La questione del debito è complessa e riguarda non solo le entrate dello Stato, ma anche il tipo di uscite, la capacità di una società di produrre, crescere ed esportare, il modo in cui è stato realizzato l’euro, le operazioni finanziarie e speculative, ecc.
Rimanendo, però, ora alla sola questione delle entrare, il primo principio da tenere presente è che la crisi del debito non può essere fatta pagare a chi ha sempre pagato e perde capacità d’acquisto da vent’anni. Essa va fatta pagare a chi si è arricchito da sempre, e in modo maggiore negli ultimi anni di forte crescita dei profitti, che per le banche e non poche grandi imprese industriali non si è ridotta neanche dopo lo scoppio della crisi dei mutui.
Il secondo punto di una proposta di nuova ed equa fiscalità è che va ristabilita la progressività dell’imposizione fiscale e la centralità delle imposte dirette su quelle indirette.
Quindi, da una parte:
a) vanno ridotte le aliquote delle accise e dell’Iva;
b) va abbassata la aliquota di base dell’Irpef regionale;
c) vanno esentate dal pagamento dell’Imu le prime case, fino ad un valore che escluda le abitazioni non di lusso.
Dall’altra parte, vanno:
a) aggiunti almeno altri due/tre scaglioni di reddito all’Irpef, che portino l’aliquota massima almeno al 50%, come nel Regno Unito;
b) va innalzata l’aliquota dell’Ires sulle società di capitali e ritirata la deduzione Irap;
c) vanno aumentate le imposte sulle case di lusso e sui veri grandi patrimoni immobiliari.