Crimini contro l’umanità

di Giorgio Cremaschi | da Liberazione

 

barletta crolloCinque operaie assassinate a Barletta. Come alla ThyssenKrupp, una strage sul lavoro che nasce da una lunga catena di violazione delle leggi, dei diritti, dei contratti, delle norme di sicurezza ambientali e per le persone e, soprattutto, dalla ricerca del profitto a tutti i costi.

A differenza che alla ThyssenKrupp, però, questa strage non è stata al centro del confronto mediatico. Anzi, dopo che si è appreso che il crollo della palazzina diventava una strage di operaie il fatto è stato quasi derubricato. Che dire, infatti, di operaie che in Italia prendono 3,95 euro all’ora per 12 ore di lavoro al giorno medie? Il che dà diritto a quei 500/600 euro mensili che per una famiglia del Mezzogiorno in crisi possono voler dire la sopravvivenza.
Sentiremo le solite litanie sulla lotta al lavoro nero e sul rispetto delle leggi. Ma la realtà è che a pochi anni dalla strage della ThyssenKrupp dobbiamo solo dire che quella che doveva essere un’estrema deformazione del sistema è diventata il sistema. Un sistema fondato sul supersfruttamento del lavoro fino alle condizioni di paesi lontani, quelli di cui si parlava qualche anno fa come ultimi siti della delocalizzazione e della globalizzazione. Ora la globalizzazione l’abbiamo in casa e il supersfruttamento del lavoro dilaga aggredendo come un cancro prima di tutto e in modo devastante i soggetti e le aree più deboli. Le donne, l’intero Mezzogiorno, i migranti.
Quelle operaie lavoravano in nero sicuramente come ultimo anello di una catena che arriva all’emersione, alle firme, alla legalità. Così come la mafia ricicla i suoi soldi sporchi nelle banche di Milano, così il sistema della produzione ufficiale ricicla il supersfruttamento di Barletta.
In questi trent’anni periodicamente si sono ridimensionati i diritti del lavoro contrattualizzato. Si è spiegato che lo si faceva anche per ragioni di eguaglianza, per ridurre il privilegio dei lavoratori garantiti, in modo da distribuire più equamente i diritti tra tutti. Si sono fatti accordi per far “emergere” il lavoro nero, garantendo agli emersi un sottosalario strutturale e legale. Infine, il 28 giugno si è sottoscritta un’intesa che garantisce alle imprese il diritto di derogare al contratto nazionale. Il governo, non contento di questo e per rispondere alle richieste di Marchionne, Draghi e Trichet, ha varato l’articolo 8 della manovra. Un articolo che estende il diritto alla deroga dai contratti alle leggi, anche a quelle che tutelano contro il licenziamento.
Ebbene tutto questo percorso non ha ridotto di un solo millimetro la dimensione del lavoro nero. Anzi, man mano che il lavoro contrattualizzato sprofondava nel supersfruttamento, il lavoro nero cadeva ancora più in basso e si estendeva.
Quanto avvenuto a Barletta dimostra la vacuità delle tesi dei vari Ichino. Il mondo del lavoro è come un convoglio, se si fa arretrare la testa, quella che ha più potere e diritti, arretra anche la coda, quella che non è in grado di tutelarsi.
E così siamo arrivati alla fine. Quei salari cinesi che erano auspicati da tanti economisti come condizione per la competitività, sono arrivati nel Mezzogiorno. Certo oggi sono illegali, ma grazie all’articolo 8 tra breve potranno essere resi perfettamente coerenti con competitività e produttività. Del resto, che cosa ha detto il sindaco di Barletta, di centrosinistra, di fronte a questa tragedia? Non criminalizziamo, bisogna pur lavorare.
Ecco, nel degrado morale delle parole di questo sindaco c’è la crisi della democrazia italiana. C’è un paese che sprofonda nell’ingiustizia, perde la sua democrazia e le sue libertà, mentre le sue classi dirigenti litigano solo su chi è più bravo a rassicurare i mercati.
La borghesia italiana oggi è profondamente divisa, soprattutto su una questione. Su se e come mandare via Berlusconi. Ma non è divisa sulle scelte di fondo, cioè sul perseguire una via alla competizione fondata sul dilagare del supersfruttamento del lavoro. Su questo sono tutti d’accordo: litigano sui mezzi, non sul fine. Litigano se sia più giusto, come dice Marcegaglia, coinvolgere la Cgil e magari aspettare un po’, oppure – come pretende Marchionne – tagliare subito il nodo dei diritti perché una multinazionale americana in perdita non aspetta. Litigano se sia più giusto dare lo sfratto immediato a Berlusconi e insediare un governo tecnico del grande capitale, oppure se non convenga più democristianamente aspettare che le cose vadano a posto da sole.
Su tutto questo aleggia la crisi internazionale e la sua gestione da parte della finanza internazionale. Pochi giorni fa la Troika che governa la Grecia – Fondo monetario internazionale, Bce, Commissione europea – ha chiesto al governo di quel paese di abbassare i salari minimi per legge. Pare che il primo ministro greco abbia risposto che il suo paese non può diventare come l’India. Ma questo è proprio l’obiettivo del potere finanziario che ci comanda. Questo è il contenuto reale della lettera della Bce al governo italiano.
Ci auguriamo che ci sia un processo per i responsabili immediati delle morti di Barletta. Ma quelli indiretti li conosciamo già: sono i programmi di aggiustamento strutturale, le “riforme” chieste e predicate dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca Europea, dal capitalismo finanziario. Da quelle politiche imposte in giro per il mondo sono venute tragedie umane e sociali terribili. Io penso che prima o poi i titolari dell’economia mondiale di questi ultimi venti anni dovranno essere processati per crimini contro l’umanità.
Cerchiamo di dare un senso a queste terribili morti, proviamo a trasformare il nostro dolore in rabbia.
Per impedire che si muoia di lavoro per pochi euro di salario bisogna prima di tutto dire no a Marchionne, Draghi e Trichet. Bisogna fermare la distruzione dei diritti sociali e il supersfruttamento del lavoro, bisogna rovesciare la filosofia e i poteri della globalizzazione. Solo così si potranno costruire un’altra economia e una società giusta dove non si muoia come a Barletta.

(Liberazione del 6 ottobre 2011)