Come la legge di stabilità è peggiorata ancora

di Domenico Moro | da Pubblico

agenzia entrateLe nuove norme decise dal Governo e le modifiche alla Legge di stabilità non avvantaggeranno la crescita, né il sistema delle famiglie, bensì quello delle imprese. Cominciamo dal nuovo Dlgs sui pagamenti della Pa alle imprese, che stabilisce che i pagamenti, a partire dal primo gennaio 2013, non potranno superare i 30 giorni. Si prevedono delle eccezioni solo per asl, ospedali e imprese pubbliche, fino a 60 giorni. In caso di mancato rispetto della legge verrà applicata una sanzione, con interessi di mora del 10%. Da una parte, si tratta del recepimento della direttiva europea del 16 febbraio 2011/7. Dall’altra, è l’accettazione di quanto Confindustria va chiedendo da molto tempo. Infatti, i tempi di pagamento sono cruciali per le imprese, in quanto pagamenti in tempi più rapidi permettono di avere maggiore liquidità in cassa e di ricorrere meno ai prestiti bancari. È evidente che tale problema si presenta in modo molto più grave in questo periodo, caratterizzato dal credit crunch e dall’aumento dei tassi d’interesse che per le imprese italiane, specialmente per le piccole e le medie, è ancora più gravoso.

Infatti, con l’innalzamento dei tassi d’interesse del debito pubblico sono lievitati anche quelli bancari. Il Decreto pone, però, dei problemi. Innanzi tutto, i ritardi nei pagamenti, mediamente di 180 giorni, hanno creato ad oggi 90 miliardi di debito della Pa con le imprese, sul cui saldo il governo non ha ancora detto nulla di preciso. Quindi, non si capisce come si possa riuscire a mantenere pagamenti a 30 giorni, quando, fino ad ora, si è accumulato un debito così consistente. L’obbligo a pagare a 30 giorni da parte della Pa, inserito in un contesto di obbligo di pareggio di bilancio, può essere perseguito dalle amministrazioni in due soli modi: l’aumento delle tasse e la riduzione della spesa. Il primo metodo determinerà l’incremento ulteriore delle imposte, specie locali, visto che i debitori sono spesso comuni e regioni, che, fra l’altro, scontano la riduzione dei trasferimenti statali. Il secondo implica la riduzione dei servizi, o della loro qualità. Ciò che appare strano, inoltre, è che con la nuova normativa si realizzerà un divario con quanto normalmente accade nel sistema delle imprese. Mentre per la Pa la norma saranno i 30 giorni e l’eccezione i 60 giorni, in molti settori, ad esempio quello della GDO, continueranno ad essere diffusi pagamenti a 60 o 90 giorni. Il provvedimento è certo positivo per le Pmi, che hanno maggiori difficoltà di accesso al credito rispetto alle grandi imprese, e che sono penalizzate dai ritardi nei pagamenti di queste ultime, almeno quanto lo sono da quelli dello Stato. Di fatto, però, il risultato finale di questa normativa sarà quello di premere indirettamente sul taglio della spesa pubblica. Per quanto riguarda la Legge di stabilità, le modifiche raggiunte in Parlamento sono ben lontane dall’averne migliorato l’impatto, come governo e maggioranza pretendono. I redditi più bassi ne derivano una perdita netta. Infatti, vengono eliminati i tagli di un punto percentuale ciascuno alle aliquote degli scaglioni Irpef più bassi, che erano previsti nella prima versione della legge di stabilità. Tale taglio sarebbe compensato, secondo il governo, dall’eliminazione della retroattività al 2012 della nuova franchigia e del nuovo tetto alle detrazioni e dalla rinuncia all’aumento dell’aliquota Iva media, che rimane al 10%. Verrebbe mantenuto il solo aumento dell’aliquota più alta, dal 21 al 22%. Ora, dal momento che i tagli alle aliquote Irpef più basse valevano 4,27 miliardi, e che l’aumento dell’aliquota Iva del 10% valeva 2,2 miliardi, la nuova versione della Legge di stabilità rispetto alla prima porta un saldo negativo di oltre 2 miliardi a sfavore delle famiglie, specialmente per quelle a basso reddito. A questo si aggiunge il maggiore esborso di almeno 3 miliardi per l’aumento dell’aliquota Iva maggiore. Inoltre, che sia stata abolita la retroattività delle nuove norme sulle detrazioni non significa ancora che siano state eliminate per il 2013, visto che il governo sta ancora valutando il che fare. Quanto agli effetti generali sull’economia, l’aumento dell’Iva non solo peserà maggiormente sui redditi più bassi, ma, essendo l’aliquota più alta applicata ai carburanti, avrà come risultato l’aumento del prezzo di una grande quantità di merci, a partire dai generi alimentari e di prima necessità, che pure sono sfuggiti all’aumento dell’aliquota del 10%. Senza contare che il governo ha reso permanente la maggiorazione delle accise carburanti decisa per il terremoto, né è tornato indietro sul congelamento dei contratti pubblici. Dunque, siamo ben lontani dal poter dire che siano state introdotte misure per la crescita, mentre si conferma l’erosione delle basi del mercato interno. Se le tasse per la famiglie aumentano, diminuiscono, invece, quelle per le imprese. Passa, infatti, un’altra richiesta di Confindustria: la riduzione del cuneo fiscale, verso cui si dirottano le risorse che erano destinate al taglio dell’Irpef.  Ciò si tradurrà nel taglio dell’Irap, con cui le imprese pagano parte del salario indiretto, e che rappresenta la principale fonte di finanziamento della spesa sanitaria.