A lezione di spread

di Giorgio Del Re | da “Pubblico”, 11 dicembre

Forex Spreads-SharesQuello che è successo ieri sui mercati finanziari era largamente prevedibile, ma è comunque molto istruttivo. I mercati hanno reagito in maniera violenta al profilarsi della fine anticipata del governo Monti. Il rendimento dei titoli di Stato decennali è cresciuto di 29 punti base, portando a 4,81% il loro rendimento assoluto e a 351 punti base lo spread rispetto ai titoli di Stato tedeschi di pari durata. La borsa italiana ha perso il 2,2% (ma per buona parte della seduta è stata sotto del 3% ed oltre), con i principali titoli bancari in negativo di oltre il 5 per cento (Montepaschi -5,85%, Banco Popolare -5,69%, Intesa e Unicredito -5,15%). Non sono mancati anche momenti di comicità: come quando il ministro dell’economia spagnolo ha dichiarato di “temere il contagio” dell’Italia (ma per completezza è bene ricordare che mesi fa affermazioni simili le aveva fatte Monti nei confronti della Spagna).

Tutto questo era prevedibile. Ha pesato la prospettiva di un periodo di incertezza politica, per quanto di breve durata (all’atto pratico l’unica conseguenza di rilievo delle dimissioni sarà quella di anticipare le elezioni di un mese rispetto alla scadenza già prevista), e soprattutto la possibilità di un ritorno sulla scena politica di Berlusconi, magari ottenuto cavalcando il risentimento nei confronti dell’Europa e delle politiche di austerity (dopo averle decise e votate per tutta la legislatura). 

Ma ieri non è successo solo questo. Sono stati pubblicati anche i dati relativi alla produzione industriale. Che si possono ben definire drammatici: -1,1% in un mese e -6,2% su base annua. Se si considera che già un anno fa la nostra produzione industriale era tornata grosso modo ai livelli del 1988, è facile trarre le conclusioni. Neppure il confronto con altri paesi europei gioca a nostro favore: la perdita è circa doppia di quella realizzata in Francia e Spagna nell’ultimo anno. 

Se la notizia che ieri ha fatto salire lo spread sono state le dimissioni di Monti, la notizia che lo farà salire nei prossimi mesi è quella che riguarda la produzione industriale. 

Capire questo è molto importante. Perché ci indica precisamente quello che è mancato in questi anni, e che deve al più presto essere tornare al centro della politica italiana: una seria politica industriale. Questo significa non soltanto giocare meglio in difesa, ossia un intervento attivo del governo nelle crisi industriali (del tutto assente negli ultimi anni: Alcoa docet). Ma anche saper giocare in attacco: individuare i settori chiave su cui puntare, ripensare alla radice gli incentivi alle imprese (che devono essere più selettivi e accompagnarsi a disincentivi alla delocalizzazione e deindustrializzazione), e soprattutto rilanciare gli investimenti in formazione e nella ricerca, di base e applicata. Nulla di tutto questo è stato fatto dagli ultimi governi (spesso, come nel caso della formazione, è stato fatto il contrario).

Tutto questo non si fa in un giorno, e – soprattutto – non si può fare se l’unica stessa polare dell’azione governativa è rappresentata dall’assillo dei movimenti giornalieri dello spread. Per questo serve un governo autorevole, dotato di un’ampia legittimazione popolare. In grado di pensare e attuare strategie di uscita dalla crisi, e non solo di galleggiamento. 

Ma per questo è necessario che prima questi temi siano posti al centro della campagna elettorale. Che dovrà essere imperniata sui problemi veri di questo paese e non sul ricatto giornaliero dei mercati finanziari. 

Senza avere paura delle probabili turbolenze di mercato delle prossime settimane. Senza avere paura di dire che la politica industriale non può essere sostituita da interventi a senso unico sul costo del lavoro, come quelli promossi dal governo Monti. Senza avere paura di dire che l’ingiustizia sociale e l’iniquità fiscale sono tra i maggiori ostacoli allo sviluppo di questo Paese. 

Solo in questo caso potremo, poi, avere un governo in grado di andare in Europa senza il cappello in mano. Ma soprattutto capace di chiedere che si ponga fine alle politiche socialmente ingiuste ed economicamente depressive che stanno devastando l’Europa. Cominciando con l’invertire la rotta a casa propria.