Due questioni dirimenti per aprire una nuova fase politica in Italia

pubblichiamo come contributo alla discussione

di Aginform

Pur essendo immersi nel buio meloniano, che induce al pessimismo, bisogna essere capaci in un momento come questo di capire da che parte dirigere gli sforzi per uscire dal tunnel. Il rischio infatti è quello di inseguire le cronache politiche frammentando la visione d’insieme e aumentando l’angoscia di chi si vede stretto tra guerra, crisi economica e forze di destra e liberiste che dominano la scena.

Rimane centrale ovviamente la questione della guerra. Siamo arrivati ormai al nodo della questione. E’ chiaro che la Russia è decisa ad affrontare la partita con tutti gli strumenti militari che la situazione richiede e sta solo nella mente degli strateghi occidentali pensare che un Zelensky qualsiasi possa impedire che ciò avvenga.

Forse qualcuno si illudeva che le forniture militari e i sistemi di controllo sofisticati della NATO potessero superare una realtà geopolitica come quella rappresentata da un paese nucleare come la Russia che finora ha declassato il suo intervento militare a ‘operazione speciale’ dandogli il carattere di un’operazione di polizia e non di guerra vera e propria. Ma quando il gioco si fa duro entrano in gioco altri fattori.

La Russia avanza con prudenza, ma è preparata ad ogni evenienza e di questo bisogna che ci si renda conto per tempo. Finora sembra che solo il papa abbia dimostrato di capire come stanno andando effettivamente le cose. Per il resto c’è solo una propaganda occidentale miope e servile che accompagna l’evolversi della guerra.

La vittoria elettorale della Meloni, annunciata e ben preparata, ha peggiorato di molto la situazione in Italia perchè si accompagna alla sostanziale unità politica dei partiti draghiani, o neodraghiani come FdI, nel sostenere la guerra. Destra e ‘sinistra’ dunque uniti nella guerra. E allora la domanda è: come si rompe questo circuito infernale?

Per rispondere dobbiamo tenere in considerazione le due questioni che nella fase attuale hanno valore dirimente: l’evoluzione a sinistra e il carattere delle lotte.

Non vi è dubbio, per cominciare, che la situazione verrà condizionata dalla evoluzione a sinistra dopo il risultato elettorale. La salutare – e speriamo definitiva – sconfitta del PD e la tenuta dei 5 Stelle, come avevamo auspicato alla vigilia del voto, ha rimesso in moto la situazione. Il partito di Conte può diventare infatti il perno del cambiamento dell’architettura che ha caratterizzato i rapporti tra i partiti in Italia. Riuscirà a mantenere la barra in questa nuova situazione? Nessuno può garantircelo, ma quel che importa è capire che Conte è solo il punto di partenza: uno sforzo di analisi che già dal 2018 abbiamo sollecitato a una sinistra impegnata a guardarsi l’ombelico. Soprattutto dobbiamo riflettere sul fatto che quello che è successo – crisi del PD e tenuta dei 5 Stelle – non è solo il prodotto di equilibri elettorali, ma dietro esiste una situazione oggettiva che preme per una diversa rappresentatività del popolo di sinistra.

Purtroppo i soliti cattivi maestri hanno provato, anche stavolta, a strumentalizzare la situazione improvvisando listarelle acchiappavoti ma, come al solito, hanno interpretato male la situazione e si sono dovuti accontentare dell’1 virgola. E’ vero che nelle competizioni spesso l’importante è partecipare, ma il risultato testimonia unicamente l’accanimento terapeutico dei protagonisti.

Bisogna quindi tener conto della situazione e ripartire da Conte, il che in concreto significa proporci di dare una prospettiva nuova che sappia sfidare il governo della destra partendo da una situazione reale.

Nella fase post-elettorale sembra che qualcosa si stia muovendo in questa direzione, anche se porta spesso il segno di vecchi retaggi. C’è una sinistra, che definiremo democratica, che pensa di ricomporre una unità senza attraversare una fase dialettica e di impegno effettivo, come se l’operazione da fare fosse quella di un assemblaggio, mentre altri, venendo meno la sponda del PD, pensano soprattutto al loro futuro personale e a forme di riciclaggio politico.

Tutto questo però non porterebbe a nulla di nuovo. Per avanzare bisogna essere credibili e portare avanti istanze e programmi seri, che non possono essere un elenco della spesa o il libro dei sogni, ma devono riportare le questioni sul tappeto a una concretezza che potremmo definire storica. E le questioni dirimenti oggi sono quelle della guerra, della lotta al liberismo, di una società che riconosca pienamente i diritti costituzionali dei cittadini e dei lavoratori. In questo senso auspichiamo che, sulla base delle spinte più autentiche che si stanno esprimendo, si riesca a formare un fronte politico costituzionale, seppure articolato, che sia la base dell’unità e della lotta da intraprendere contro il governo Meloni. Un compito difficile questo da realizzare perchè aldilà delle dichiarazioni manca la maturazione di un pensiero politico che dia un fondamento solido a un progetto che segua lo sviluppo delle contraddizioni ma ne sia anche punto di orientamento.

Finora abbiamo parlato però solo della prima delle due questioni che consideriamo dirimenti. La seconda riguarda le lotte, il carattere di queste lotte e il loro rapporto con la prospettiva politica.

Su questo siamo in forte ritardo, a partire dalla lotta contro la guerra. Il ritardo è dovuto soprattutto alla incapacità di una certa sinistra di capire la congiuntura storica che si è andata determinando in Ucraina per cui lo schema che si è imposto è stato quello della coppia aggressore-aggredito che finora ha neutralizzato le potenzialità di lotta contro le guerre imperialiste. Questo non ha impedito però che una serie di strutture informative che fanno opinione a sinistra (come L’Antidiplomatico, Marx 21, il Centro di Enrico Vigna, il Saker e tante altre che sarebbe troppo lungo elencare) svolgessero un ruolo positivo di contro-informazione e questo ha costretto gli imperialisti di sinistra a mettersi sulla difensiva. Peraltro a scendere in piazza per i ‘diritti umani’ e contro la Russia ci ha pensato direttamente il PD che, incurante del ridicolo di cui si è ricoperto con i sit in davanti alle ambasciate di Russia ed Iran, cerca di distinguersi, oltre che come il partito europeista per eccellenza, anche come il partito americano in Italia, sperando che questo arresti la sua crisi.

Quando si tratta di lotte, non è però solo la guerra a entrare in ballo, ma anche tutti i problemi economici e sociali connessi. Anche su questo terreno le risposte di lotta sono ancora poche e perlopiù promosse da chi le gestisce in modo solo dimostrativo. Non intendiamo dare lezioni sulle lotte, ma comprendere il senso e il livello di un’azione di massa necessari in questo momento per incidere profondamente nella situazione.

Le difficoltà di procedere sono evidenti dal momento che le due questioni collegate alla guerra, caro bollette e inflazione, non hanno ancora portato i settori investiti dalla crisi a reagire in maniera adeguata. Niente scioperi per l’adeguamento di pensioni e salari, niente rifiuto diffuso di pagare le bollette gonfiate dalla bolla energetica e possiamo aggiungere neppure una risposta significativa di categorie come commercianti, ristoratori, piccole imprese, che pure in altri periodi meno drammatici si erano manifestate.

La Meloni riuscirà a normalizzare ancor più la situazione? Per ora riflettiamo su come muoverci quando il vento ricomincerà fischiare e ricordiamo che per molto meno (l’appoggio del MSI al governo Tambroni) c’è stato il luglio ’60. Anche stavolta tutto dipenderà dal livello e dalla compattezza delle lotte e dall’immagine che esse saranno in grado di trasmettere a milioni di italiani sulla concretezza delle prospettive: uscire dalla guerra, modificare le condizioni di lavoratori e pensionati, bloccare il degrado economico del paese.

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