Il finanziamento pubblico ai partiti, l’informazione e la crisi

di Lorenzo Battisti, Pdci Bologna

soldi euro moneteLa cosa più paradossale di questa crisi capitalistica è che si parla di tutto tranne che della crisi stessa. Mentre milioni di italiani restano disoccupati o sotto occupati in lavori precari, al centro della pubblica opinione ci sono temi che nulla hanno a che fare con la loro vita. Gli effetti di questa crisi non possono però essere nascosti alle vittime stesse, per cui vengono costruite soluzioni politiche capaci di sviare la rabbia verso obiettivi che non siano pericolosi per il capitalismo italiano.

Beppe Grillo ha fatto la sua fortuna grazie all’abilità di indirizzare la rabbia popolare verso i partiti e verso i politici invece che contro la finanza e il capitalismo. In particolare ha insistito sul tema del finanziamento pubblico ai partiti e sui privilegi della cosiddetta casta (un termine, ricordiamocelo, lanciato dai giornalisti del Corriere Rizzo e Stella nel 2006, prima cioè del V-day da cui Grillo è partito). Penso che sia bene allora chiarire questi temi e inquadrarli all’interno della reazione alla crisi del capitale italiano.


I Comunisti e il finanziamento pubblico

Il Partito Comunista Italiano è stato a lungo contrario al finanziamento pubblico ai partiti, perché era visto come una via verso la statizzazione dei partiti e vi si temevano le intromissioni e i controlli polizieschi sulla vita interna dei partiti.

Quando, nel 1974, in seguito allo scandalo del finanziamento dei petrolieri ai partiti di governo, viene regolamentato per la prima volta il finanziamento (pubblico e privato) ai partiti il Pci evidenzia il ruolo svolto dai questi nella democraziai e quanto questa non possa esistere senza la loro presenza. Rigettava quindi l’attacco ai partiti (e alla forma partito in séii), culturalmente di origine qualunquista, che veniva portata avanti dai liberali e dai fascistiiiiiv. Il Pci aveva ben chiaro come ogni partito sia espressione di interessi economici e sociali, e trovava normale che questi finanziassero i partiti stessiv. Un finanziamento pubblico ai partiti doveva servire a liberare i partiti dai condizionamenti dei grandi potentati economicivi e doveva quindi permettere ai partiti di fare autonomamente le proprie sceltevii.

Il finanziamento pubblico doveva però essere aggiuntivo e non sostitutivo rispetto all’autofinanziamento dei partiti e doveva essere secondo il Pci un contributo indiretto: non quindi una somma di denaro, bensì facilitazioni ai partiti nello svolgere il ruolo democratico che gli viene attribuito dalla Costituzione. In sostanza il Pci chiedeva che in ogni comune fosse messa a disposizione una sala per le riunioni dei partiti, che questi fossero esentati dal costo delle affissioni, che fossero agevolati nelle spese postali e nell’acquisto di servizi telefonici, elettrici etc. In ogni caso, la fonte principale del partito sarebbe rimasta l’autofinanziamento da parte degli iscritti e dei simpatizzantiviiiix. Come scriveva Cossutta

Dei partiti politici si può dire tutto il male del mondo, ma una cosa vorrei non si dicesse: che sono tutti uguali. Ognuno di essi – nessuno escluso – soffre dei suoi propri mali, ma dovrebbe essere chiaro per tutti che i partiti e i loro dirigenti o militanti non rappresentano affatto una realtà indistinta o, addirittura, una “classe politica”, essendo, in realtà, ciascuno caratterizzato dai legami effettivi che ha con gli interessi delle classi e dei ceti diversi che rappresenta e orienta, dai suoi diversi modi di comprensione e di progettazione della realtà, da un diverso costume, che è frutto di determinati ideali e di una particolare concezione del mondo e della vita.[…] Al di fuori di questo sistema [dei partiti], nelle concrete condizioni in cui si svolge la nostra vita politica, non vedo che possa esserci democrazia in Italia, ma soltanto la fine di tutte le libertà. […] Il fatto che alcuni di essi – e non di peso minore nella vita politica italiana – vivano ufficialmente non si sa di cosa, concorre non poco a snaturarne la funzione e a deteriorarne, con la qualità e il costume, anche l’immagine pubblica.”x

La crisi e la “casta”

Mentre l’austerità dell’Unione Europea sottrarrà 50 Miliardi all’anno ai bilanci pubblici per soddisfare lo spread e il pareggio di bilancio, ci troviamo i deputati grillini, che rappresentano il 25% degli italiani, che passano il loro tempo a fotografare gli scontrini del bar della Camera per mostrare che il costo del caffè è passato da 50 centesimi a un euro anche per i Deputati.

Bisogna porsi la questione di come sia possibile che un quarto degli italiani ritenga prioritaria questa azione rispetto a quella sociale e all’opposizione alle politiche europee. A mio parere la rilevanza di questi temi ha due radici.

La prima nasce da un sentimento diffuso di rassegnazione: in mancanza di risposte collettive, gli effetti della crisi e dell’austerità sembrano pioverci in testa come la grandine. Arriva da tutte le parti, non ne conosciamo una ragione precisa e non riusciamo ad evitarla. Siamo vittime in sostanza di un evento naturale inspiegabile, imprevedibile e soprattutto per noi immodificabile. Le istituzioni europee, i mercati, la troika sembrano obiettivi troppo lontani da combattere, e in ogni caso impossibili da raggiungere individualmente. E comunque non si è conoscenza di possibili alternative a questa situazione. Il meglio che si può fare quindi è cercare di fuggire, cioè una risposta individuale e difensiva.

In tutto questo va evidenziato il ruolo del sindacato, in particolare della Cgil (con l’eccezione di alcune categorie, come la Fiom). L’Italia è l’unico paese della periferia europea che non ha ancora fatto uno sciopero generale. In generale le mobilitazioni sono state scarse e sempre circoscritte alle vertenze locali. In questo modo i lavoratori non hanno potuto trovare risposte collettive a problemi generali, ma sono stati lasciati soli ad affrontare problemi che erano molto più grandi di loro. Inoltre appare in tutta evidenza oggi quanto sia stato grave l’errore fatto nel 1991. Oggi ai lavoratori manca un partito che sia in grado di guidarli e di organizzare la risposta, tanto alla crisi capitalistica quando alle politiche di classe imposte dall’Europa. La cancellazione del Partito Comunista e gli errori compiuti negli anni passati dal Prc e dal Pdci hanno privato i lavoratori dell’unica vera arma per combattere in questa crisi, hanno disarmato politicamente e culturalmente le classi popolari.

Il controllo capitalistico dei mezzi di comunicazione

A questo si è aggiunta l’offensiva contro-culturale fatta dai mezzi di comunicazione di massa italiani. Come osservava Gunnar Myrdal, un economista svedese, negli anni ‘60

[…] un ruolo di somma importanza viene esercitato dall’industria delle comunicazioni nell’influenzare gli atteggiamenti e le scelte della masse e, dato che la libertà di comunicazione è uno dei principi basilari della democrazia, non è possibile usurpare in modo molto efficace la sua attività. Ma dato che si tratta di un’industria, è possibile usufruirne i servigi solo pagandoli, ed è diretta in base all’effettiva domanda di denaro. E, poiché influenza le masse, determina non soltanto le loro preferenze nel campo dei consumi, ma può altresì determinarne le opinioni sulle questioni politiche e i voti, e ciò colpisce la democrazia proprio nelle sue fondamenta.

Come ho già accennato, sotto l’influenza della propaganda per il consumo privato d’ogni genere di beni, non accompagnata da una campagna altrettanto efficace per il ricorso ai servizi forniti dalla società organizzata, gli elettori tendono a mantenere il livello delle spese pubbliche al di sotto di quello che sarebbe razionale. Ma da un punto di vista ancora più generale, le riforme intese a realizzare le effettive inclinazioni degli elettori, per esempio per quanto riguarda la ripartizione dei gravami fiscali o il controllo sugli affari, devono ovunque superare potenti inibizioni create dai servizi dell’industria delle comunicazioni comprati da persone o gruppi che hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo.”xi

Il lavoro svolto dal sistema mediatico italiano è stato quello di promuovere intensamente i valori capitalistici, contrastando prima il lavoro delle organizzazioni del movimento operaio e poi contribuendo in maniera fondamentale al loro superamento o alla loro degenerazione.

Se oggi i lavoratori si sentono soli di fronte alla crisi è perché il sistema informativo sotto controllo capitalistico si guarda bene dal diffondere idee contrarie ai propri interessi di classe. Al contrario diffonde l’idea che l’attuale situazione non presenti alternative alle politiche di massacro sociale che vengono imposte dai governi. E per indirizzare la rabbia di molti lavoratori, suggerisce la causa nei costi della casta e promuove e sostiene la nascita di un movimento, quello di Grillo, che organizza politicamente queste persone. Non si può infatti non vedere che quando Grillo era fastidioso per gli attuali assetti italiani (o perché attaccava il Caf o perché promuoveva un ritorno a asseti precapitalistici distruggendo i computer) è stato allontanato da qualsiasi mezzo di comunicazione di massa, mentre ora che è utile viene promosso e gli viene concesso ampio spazio.

Questo rivela il problema del controllo capitalistico dell’informazione, che in Italia è stato a lungo nascosto dall’ossessione, specie della piccola borghesia, per il “conflitto di interessi” di Berlusconi. Anche se si ipotizzasse un azionariato popolare per i mezzi di informazione, resta il potere della pubblicità, che rappresenta la stragrande maggioranza delle entrate dei mezzi di comunicazione e che decide quindi della vita e della morte degli stessi, potendo quindi lasciar vivere quelli che piacciono e lasciando morire quelli che seguono linee editoriali considerate pericolose. Mentre molti ignorano questo potere, i capitalisti ne sono ben coscienti, infatti investono in pubblicità 20 Miliardi di Euro all’anno (dati Agcom per il 2011), una cifra tutt’altro che insignificante e che mostra l’importanza della pubblicità nell’orientare i comportamenti di consumo, ma anche nella promozione di valori e interessi capitalistici.

Conclusioni

Ora è evidente il perché ci si concentra sul costo della “casta” mentre pubblicamente nessuno parla più delle cause economiche di questa crisi. Tutti siamo concentrati sui costi del ristorante del Senato e sullo stipendio dei parlamentari, dimenticando che 10’000 euro al mese è quello che guadagna un dirigente medio-basso di un’impresa. Al contempo nessuno ci racconta degli stipendi stratosferici dei manager e degli apparati aziendali: come marxisti sappiamo che la sola fonte di valore è il lavoro e ci domandiamo quante giornate di lavoro ognuno deve fare per pagare gli stipendi di tutta la piramide aziendalexii!

In sostanza mentre si osserva ossessivamente il finanziamento pubblico ai partiti (che rappresenta una quota inferiore all’1% del bilancio pubblico), non si guarda al controllo privato sul sistema comunicativo. Mentre ci si concentra sui privilegi della casta, nessuno ci racconta quanto lavoro deve essere fatto per sostenere i manager aziendali e i loro benefit. E soprattutto non viene raccontato che questa crisi economica è causata dalle contraddizioni capitalistiche, ma ci viene fatto credere che il problema siano i politici e la casta, e che l’unica soluzione per i lavoratori è quella di rinunciare ai propri “privilegi” (la scuola, la sanità, l’articolo 18) per fare uscire il paese dalla crisi.

RIFERIMENTI

Cossutta, Armando. “Il Finanziamento pubblico dei partiti.” Editori Riuniti, Seconda edizione, 1978
Myrdal, Gunnar. “I paesi del benessere e gli altri” Feltrinelli , 1962

NOTE

iQuali sono tali compiti [dei partiti]? In primo luogo, quello di avere un rapporto diretto e profondo con i propri iscritti, perché questi siano chiamati realmente a determinare la vita politica della loro organizzazione. In secondo luogo, quello di stabilire un rapporto costante con i propri elettori e con tutta l’opinione pubblica, affinché la condotta del partito abbia una verifica continua e non soltanto limitata al momento di espressione del voto. In terzo luogo, quello di formare quadri dirigenti a tutti i livelli sempre più preparati ad assolvere i propri compiti, sempre più legati alle esigenze e all’interesse del paese” Cossutta, p. 97

iiSi tratta di quella mentalità di tipo qualunquistico, secondo la quale i partiti politici e le loro attività sono cose da disprezzare o da tenere fuori della considerazione pubblica, come si fa per le “cose sporche”. […] su siffatta opinione arretrata […] pesano ancora i vent’anni del passato funesto regime […] e le concezioni che furono proprie in un momento particolare della situazione italiana postbellica di Guglielmo Giannini e del suo movimento appunto qualunquistico.” Cossutta, p. 19

iiiMa risanamento e rinnovamento della vita pubblica significano anche rifiuto categorico di ogni sollecitazione qualunquistica contro “la politica” e contro la cosiddetta (dai fascisti) “partitocrazia”, giacché, al di fuori del sistema dei partiti e della pluralità delle espressioni democratiche, in Italia esisterebbe solo un regime autoritario, reazionario.” Cossutta, p. 96-7

ivVa respinta con ogni forza la campagna qualunquista attraverso cui i fascisti tentano di porre sotto accusa il sistema democratico in quanto tale. I fascisti sono gli eredi del sistema più corrotto che la storia d’Italia abbia mai avuto. Sotto il fascismo fu data mano libera ai gruppi capitalistici dominanti; […] una gigantesca redistribuzione della ricchezza nazionale venne operata a favore dei gruppi economici più potenti” Cossutta, p. 183-4

v “Circa i cosiddetti finanziamenti occulti, al di là di ogni moralismo, io sono francamente dell’opinione che – in toto – essi siano ineliminabili, in quanto, secondo il mio modo di vedere, i partiti sono, in forme più o meno dirette, espressione di determinati interessi.” Cossutta, p. 35

viTale condotta ha ridato credito a quel tipo di propaganda apertamente fascista secondo la quale la politica è “una cosa sporca”. Ecco perché il finanziamento pubblico dei partiti può essere elemento importante, anche se non taumaturgico, di risanamento democratico” Cossutta, p. 98

viiMa il motivo fondamentale per cui siamo favorevoli alla legge sul finanziamento dei partiti resta un motivo di rafforzamento della democrazia. Vogliamo cioè che la dialettica democratica abbia la possibilità di liberarsi dai condizionamenti e dalle ombre che oggi gravano su di essa; che tutti i partiti possano essere più liberi di fare la loro politica, magari contro il Pci, ma la loro politica, non quella “per conto” di altri.” Cossutta, p. 100

viiiIl movimento operaio italiano, sin dalla sua formazione in movimento politicamente organizzato, e quindi da oltre un secolo, ha dovuto provvedere con le sole sue forze e con i suoi sacrifici (e quali, infiniti sacrifici) a far fronte alle sue proprie esigenze. Ha sempre fatto da sé, affrontando e superando difficoltà enormi per costruirsi nella sua autonomia una capacità di azione politica” Cossutta , p. 21

ixCiò è stato possibile perché abbiamo fatto leva su un partito che non è diviso – come altri – in correnti laceranti e che conta sull’impegno appassionato e sul lavoro volontario di centinaia di migliaia di lavoratori, su un partito che fa del rigore di vita uno dei capisaldi del suo costume politico e morale” Cossutta, p. 30

xCossutta, p. 89-90

xiMyrdal, p.111

xiiPer esempio i manager delle 34 aziende più grandi quotate nella Borsa Italiana hanno incassato nel 2012 110 Milioni di Euro. In questo dato sono compresi solo gli stipendi della persona di vertice (quindi ignorando tutto il management inferiore) e di solo 34 aziende (non prendendo in considerazione le altre imprese quotate in borsa e le tantissime grandi e medie imprese che non lo sono). La cifra che i lavoratori devono pagare in giornate di lavoro è di dimensione incomparabilmente superiore al costo di qualsiasi assemblea elettiva.