Con l’Italicum l’Italia si trasforma in una “democratura”

grunge palazzo-della-Consultadi Francesco Maringiò,
direzione nazionale PCdI

Nel corso dell’ultimo quarto di secolo i cambiamenti intercorsi nella legge elettorale sono stati caratterizzati da un unico obiettivo: quello di compiere, sul piano istituzionale, il cambiamento di fase che era già in corso sul piano economico (con lo smantellamento del settore pubblico e la privatizzazione delle aziende di stato nei settori strategici) e su quello politico (con la distruzione del sistema dei partiti, come strumenti di organizzazione della vita pubblica e democratica di questo paese). Segnare, quindi, la vittoria del capitale (più spesso delle oligarchie) sul lavoro e sulla democrazia. La Carta Costituzionale è stata sempre di più tradita nei suoi principi fondamentali e si è sbilanciato l’equilibrio istituzionale che i padri costituenti avevano riposto nella centralità del parlamento. Non c’è da stupirsi, pertanto, che nel corso degli anni si sia fatto riferimento alla “legge truffa” del ’53 per denunciare l’anti-democraticità di quanto stesse avvenendo. Eppure la più “antidemocratica” delle leggi proposte o approvate fin ora, impallidirebbe a confronto con la riforma in discussione in queste ore nel parlamento.

Il raffronto è lampante tenendo conto di un semplice dato: la “legge truffa” garantiva una maggioranza parlamentare a chi avesse conseguito il 50,1% dei voti nelle urne, in una fase nella quale l’astensione registrata era tra le più basse d’Europa. L’Italicum, invece, garantisce la maggioranza assoluta ad una forza che al secondo turno raggiunge il 40% dei voti. Cioè, paradossalmente, un partito che al primo turno prende il 25% dei consensi (in una fase nella quale l’astensione è la più alta da quando è stato istituito il suffragio universale) può arrivare ad avere la maggioranza assoluta del parlamento. Per queste ragioni, il più ponderato dei confronti da fare è quello con la legge Acerbo del 1923, voluta da Mussolini per garantire al Pnf il controllo del Parlamento del Regno, indispensabile per avviare le “riforme politiche” che diedero vita al ventennio. In quel caso si garantivano i 2/3 degli eletti al partito che superava il 25% del quorum ed anche allora, come oggi, il governo oppose la fiducia per portare a casa il risultato, cancellando il dibattito parlamentare e zittendo le opposizioni.

Siamo consapevoli che il paragone è forte, ma a cos’altro possiamo pensare di fronte a quanto sta avvenendo in parlamento? Anche i più moderati degli opinionisti non esitano ad usare parole nette come “democratura” e “fine della democrazia parlamentare”. A ben ragione, purtroppo.

Con l’abolizione de facto del Senato e la riscrittura della legge elettorale, si sta procedendo spediti verso un sistema monocamerale, senza contrappesi né equilibri tra i poteri. Col sistema dei capilista bloccati, la Camera sarà costituita a maggioranza assoluta (oltre il 60% degli eletti) da nominati dal segretario del partito di maggioranza (che comunque rappresenta una minoranza del paese). Il Governo avrà a disposizione la Camera e non viceversa, determinando il rovesciamento perfetto del principio istituzionale della Carta del ’48. A questo si aggiunge, inoltre, la cancellazione del principio di rappresentanza. Il Governo, per mano del parlamento di nominati, sarà in grado di eleggere i nuovi membri della Corte Costituzionale (che perderebbe quindi la sua piena autonomia) ed in grado di “occupare” integralmente la Rai, nominandone l’Ad (previsto nella riforma del sistema radiotelevisivo, voluto sempre da Renzi), come fa notare da diversi mesi Eugenio Scalfari, non proprio un bolscevico. Supremazia sul parlamento, potere di nomina dei giudici della Corte, controllo del consiglio di amministrazione della Rai e, ovviamente, pesante ipoteca sul futuro Presidente della Repubblica (che verrebbe eletto da un parlamento sì fatto) sono le conseguenze dirette dell’Italicum e tratteggiano nitidamente i confini di questa democratura.

Di fronte a questo scempio è necessario lottare: qui si sta scrivendo il futuro del paese e della democrazia e, mai come ora, è necessario bloccare questa deriva dispotica a cui ci sta portando il governo a guida Pd.
Ognuno deve fare la sua parte. 
Può farla il Presidente della Repubblica, a cui ci rivolgiamo, perchè rispetti il giuramento sulla Costituzione.
Devono farla i deputati della minoranza Pd: è la loro ultima occasione per non essere sussunti dal “renzismo” e dal “partito della nazione”. E, per farlo, devono essere protagonisti di scelte coraggiose. Chi in queste ore ha annunciato di non votare la fiducia sull’Italicum deve essere conseguente ed andare fino in fondo votando contro, perché astenersi o uscire dall’aula equivarrebbe a non opporsi a questa legge, definita –non a torto- da tanti di loro, una “violenza” nei confronti del Parlamento.
Devono farlo quei corpi intermedi a cui questo governo sta conducendo uno degli attacchi più pesanti degli ultimi anni. Ci riferiamo in particolar modo ai sindacati e all’Anpi. Lo scempio dell’approvazione dell’Italicum si sta consumando proprio tra 25 Aprile e 1 Maggio e non opporsi equivarrebbe a condannarsi ad essere percepiti dai più giovani solo come preziosi custodi del passato ed organizzatori del “concertone di Piazza San Giovanni” o dei picchetti ai cippi partigiani – importantissimi momenti di ricordo e partecipazione – ma non soggetti essenziali del cambiamento ed alleati nella battaglia per la democrazia.
Deve farlo la sinistra, che su questa battaglia può trovare linfa per una nuova rinascita ed il terreno comune per l’unità, tante volte cercata in questi anni.

Ed ovviamente, anche i comunisti faranno la loro parte, fuori dal parlamento, tra la gente, per battere, assieme a tutti i sinceri democratici, questa torsione autoritaria e pericolosa. Anche per questo siamo impegnati nel processo della ricostruzione del partito comunista: per rimettere assieme i comunisti, rigenerare il partito e dare una speranza ed un avvenire diverso a questo paese.