L’esito del ricorso per condotta antisindacale ha scatenato un fiume di commenti, analisi, opinioni. Come se parlare di più e più forte della sentenza sull’articolo 28 potesse oscurare la manifestazione di sabato 18 settembre e esorcizzare l’imbarazzo per il nulla prodotto dal Governo.
Il più esplicito è un opinionista del Sole 24 Ore, su Focus Economia, Radio 24 che afferma: la sentenza è “un bicchiere mezzo pieno perché in qualche modo riporta tranquillità nelle strade di Firenze. Nell’ultimo week end ci sono state scene che non si vedevano dal ‘69”.
A noi le strade di Firenze sabato ispiravano grande tranquillità. Prendiamo atto comunque che loro sanno cosa sta accadendo o cosa potrebbe accadere. Non sappiamo se lo stesso grado di consapevolezza ci sia nelle organizzazioni sindacali e politiche del paese.
Chi contrappone il ricorso per articolo 28 alla mobilitazione però ignora i fatti, e quindi è un ignorante, o è in malafede. In ogni caso è destinato a rimanere deluso.
Questo vale anche per il Ministro Giorgetti il quale ha affermato “la sentenza dimostra che in Italia le regole ci sono, questo non è il far west e tutti devono rispettarle”. Giorgetti capovolge il mondo: una sentenza che apre la possibilità di intervenire rapidamente sulla normativa in atto, diventa una scusa per dire che le regole già ci sono.
La sentenza che oggi annulla la procedura di licenziamento si basa su tre elementi: la possibilità di ricorso per articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori, il Contratto Nazionale dei Metalmeccanici e l’accordistica interna in Gkn. Lo Statuto dei Lavoratori, una legge strappata proprio dal movimento del 1969, il Contratto Nazionale, da riconquistare ogni volta con gli scioperi, la nostra accordistica interna, conquistata con gli scioperi.
E aggiungiamo che la sentenza sarebbe servita a ben poco se nel frattempo l’assemblea permanente e il presidio non avessero impedito lo svuotamento della fabbrica e la delocalizzazione dei macchinari.
Lotte passate, presenti, future: non c’è nient’altro a tenere viva Gkn oggi. Non c’è Draghi, non c’è Governo, non c’è Giorgetti. E forse non ci saranno. Perché ogni giorno di più il dibattito su una misura per impedire le delocalizzazioni evapora e diventa farsa. L’affidamento della discussione al consigliere di Draghi Giavazzi la dice lunga.
L’intero dibattito politico assume la terminologia di Confindustria: non si può fare una legge “punitiva” verso le aziende, ci dicono. Esprimono un fastidio verso un meccanismo basilare: se esiste una legge, esiste una sanzione per chi la viola. Niente di “punitivo”. Forse semmai la fine dell’impunità.
Viene invocata la libertà d’impresa. E nel caso specifico la si fa coincidere con la libertà di distruggere una impresa. Se si tiene tanto alla libertà dell’impresa di scappare, scappino pure. E lontano anche. Ma non si leda la nostra libertà di impresa. La libertà della comunità di proteggere un patrimonio collettivo, di salvaguardare lo stabilimento produttivo, dello Stato di dichiarare inefficaci dei licenziamenti, di proteggere la nostra libertà di produrre valore aggiunto lavorando.
Ci dicono che una norma antidelocalizzazioni allontanerebbe gli investimenti. Anche qua il mondo viene capovolto. Semmai terrebbe lontano chi viene a investire per distruggere, per spremere e scappare. Melrose non sarebbe mai arrivata. E’ vero. Ed è esattamente il nostro obiettivo. Per il bene di tutti.
Così una legge che protegge il tessuto produttivo, spaventa chi si fregia di rappresentare il tessuto produttivo. E forse la dice lunga sul reale stato della classe dirigente politica ed economica del paese. Perché sia chiaro: in questa vicenda l’economia, la produzione, l’efficienza, il dinamismo siamo noi. Che cosa difendiate voi, esattamente non è dato saperlo.
Ci avete visto festeggiare per l’articolo 28. E’ quindi una vittoria? Noi non ragioniamo in termini di sconfitta o vittoria. Ma solo di serenità e determinazione nel compiere il nostro dovere. Abbiamo festeggiato ogni giorno da quel 9 luglio, ogni giorno passato con dignità.
Ciò che abbiamo festeggiato lunedì è l’ufficialità che la nostra vertenza attraverserà questo autunno, con tutti voi. E abbiamo festeggiato il fatto che il Governo ne esce ancora più sotto i riflettori, con ancora meno alibi. Non abbiamo festeggiato “la nostra salvezza”, perchè non siamo salvi. Ma di avere più tempo da passare con tutti voi, per salvarci. Tutti. Insieme.
Spesso ci domandate: che cosa chiedete al Governo? Noi non chiediamo, non supplichiamo, non ci aspettiamo nulla. Noi rivendichiamo. E’ diverso. E la rivendicazione senza mobilitazione è solo una frase vuota. Fosse stato per il Governo, le lettere di licenziamento sarebbero arrivate e 500 posti di lavoro sarebbero stati distrutti.
E annunciamo che la legge sulle delocalizzazioni arriverà in Parlamento. A togliere ogni scusa, ad azzerare ogni chiacchiera.
E nel frattempo la mobilitazione non cessa. Continua e, se possibile, si intensifica. La prossima tappa non può che essere lo sciopero generale.
Spesso ci chiedete anche “che cos’era la manifestazione di sabato”? Un corteo politico, sindacale, sociale, studentesco? Cos’era? Era un fatto storico che si sta sviluppando di fronte ai vostri occhi. C’è chi non lo vuole vedere, come quel cardinale che non voleva guardare dentro il cannocchiale di Galileo per paura di vedere qualcosa che stravolgeva i suoi dogmi.
Ora abbiamo preso del tempo. Ma dobbiamo stare attenti che il tempo non prenda noi. Il nostro “insorgiamo” è un meccanismo responsabilizzante, di fiducia, di verifica di ciò che siamo, di ciò che possiamo essere, di ciò che vogliamo essere.
Siamo tutti chiamati ad insorgere, con i propri problemi, le proprie istanze, le proprie rivendicazioni. Come, quando e quanto dipenderà da chiunque vorrà inserirsi nel pertugio aperto dalla vertenza Gkn. Non vi abbiamo chiesto di insorgere per i nostri problemi, ma con i vostri problemi. Portate le vostre paure e le debolezze. E saremo invincibili.