di Aginform
Non è ancora detto che il pericolo maggiore che abbiamo corso, rappresentato da una eventuale elezione di Draghi a presidente della Repubblica, abbia scongiurato una rapida svolta presidenzialista delle istituzioni previste dalla Costituzione. La Meloni e Renzi sono stati espliciti in questo senso e fanno da mosche cocchiere a un processo sotterraneo più vasto che lavora nella stessa direzione.
Stavolta però il colpo non è riuscito e i pifferi di montagna sono usciti suonati da una competizione che ne ha evidenziato la pochezza politica e l’improvvisazione. Il che non li rende meno pericolosi, ma momentaneamente, e c’è da sottolineare solo momentaneamente, consentono di dire che l’offensiva liberal-presidenzialista è bloccata. Salvo a riprendere appena le condizioni lo consentiranno.
Che cosa è successo in realtà rispetto all’ipotesi Draghi al Quirinale e alla realizzazione di un regime semipresidenziale che ruotasse attorno a lui ?
In sostanza si può dire che i protagonisti della partita non erano compatti su Draghi e, nonostante le quinte colonne nelle rispettive coalizioni remassero per lui, alcuni settori del parlamento non erano affatto disposti a farsi sottomettere e liquidare in tempi brevi. Alcune sono state resistenze politiche, come quelle di Conte e per certi versi anche di Berlusconi, che rischiava di uscire di scena definitivamente, altre erano legate alle ambizioni del blocco di destra che sperava di imporre un suo candidato alla presidenza della Repubblica. Sicchè alla fine si sono incartati e sono stati costretti ad andare in processione da Mattarella per scongiurarlo di restare.
In questo contesto si sono riconfermati i ruoli di Matteo Renzi e del PD, inaspettatamente riavvicinatisi. Il primo nel suo ruolo abituale di provocazione e l’altro come un partito che rimane sempre una garanzia per il sistema euro-atlantico. Mentre Giuseppe Conte, minacciato da vicino dal suo compagno di partito Di Maio, ha perso la bussola ed è andato a sbattere.
Quello che interessa noi però non è tanto la cronaca degli avvenimenti, che sono con evidenza davanti a tutti, quanto il fatto che la congiuntura politica ci dà indicazioni su come muoverci in attesa che le lacerazioni si ricompongano e i nostri avversari riprendano a marciare spediti nel loro progetto di una Repubblica fondata sul liberismo e sul presidenzialismo.
Il centro della questione che abbiamo di fronte dunque è capire che la direzione di marcia è quella e quindi impegnarsi a tutto campo, sfruttando una congiuntura favorevole come quella che si è determinata con la rielezione di Mattarella, per organizzare un fronte costituzionale che si opponga ai nuovi stravolgimenti che sono in preparazione e che diventerebbero la pietra tombale della Costituzione del 1948.
Con Renzi, che voleva liquidare il Senato per anticipare di fatto la repubblica presidenziale e decisionale, l’operazione a suo tempo è fallita. Ora bisogna riorganizzare un fronte costituzionale che abbia la stessa capacità. Questo risultato si otterrà non con l’improvvisazione di qualche No-Draghi day bensì con una lavoro in profondità che sia in grado di coinvolgere quel tessuto democratico e progressista che spesso riemerge dalla palude e ci fa sperare che qualcosa cambi.
Pensiamoci per tempo prima che il cane bastonato esca dall’acqua e ricominci a mordere.