Cancellati con un’ordinanza sette anni di processo Ilva

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di Enzo Pellegrin

Alla fine è successo ciò che si temeva. Nel peggiore degli scenari possibili.

Chi scrive ne aveva parlato ad aprile di quest’anno (1).

Venerdì 11 settembre, dopo una camera di consiglio durata solo tre ore, il Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Taranto, accogliendo un’eccezione formale (e formalistica) della difesa degli imputati, ha letto il dispositivo dell’ordinanza che ha annullato la sentenza di primo grado e l’intero processo ILVA, stabilendo che il processo doveva celebrarsi, e dovrà essere celebrato nuovamente, a Potenza, ripartendo dalla fase delle indagini prelimiari.

Oltre sette anni di processo, incidenti probatori, studi scientifici, audizioni di testimoni , periti, consulenti tecnici, parti civili, speranze e aspettative di giustizia di cittadini e lavoratori di Taranto vanno completamente in fumo.

L’eccezione formale accolta dalla Corte di Secondo Grado riguardava l’articolo 11 del nostro Codice di Procedura Penale: “I procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa danneggiata dal reato, che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge”.

Che vuol dire in termini concreti? 

La difesa degli imputati aveva sostenuto che nel processo vi siano state le Costituzioni di parte civile di due magistrati nel distretto di Taranto, costituzioni di parte civile compiute quando i magistrati non facevano più parte dell’ordine giudiziario e peraltro subito revocate e mai entrate nella contesa processuale.

Inoltre i medesimi difensori avevano sostenuto che quasi ogni magistrato del distretto tarantino residente nel capoluogo di provincia pugliese poteva considerarsi, al pari delle parti civili, una persona offesa o danneggiata da reato. 

Nonostante nessuno di questi magistrati si fosse mai ulteriormente costituito od avesse mai assunto formalmente la qualità di persona offesa, danneggiato o parte civile nel processo, per i difensori tanto bastava per attivare una norma processuale eccezionale che derogava ad un principio e diritto fondamentale sacralizzato nell’art. 25 Cost.: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.

Proprio perché norma eccezionale, e derogativa di un principio costituzionale, l’applicazione della deroga dell’art. 11 c.p.p., che comporta il trasferimento del processo ad altro giudice del Distretto di Corte d’Appello più vicino, deve essere di stretta interpretazione e non ammette interpretazioni estensive od analogiche. 

E’ seguendo questa logica che la giurisprudenza prevalente aveva riservato l’applicabilità di tale normativa solamente ai casi in cui un magistrato scenda sostanzialmente ed attivamente in campo nel processo avanzando pretese risarcitorie: costituisce, infatti, «ius receptum (n.d.r.: principio consolidato) nella giurisprudenza il principio secondo cui, per l’attribuzione ad un magistrato della qualità di danneggiato, è necessaria un’assunzione formale della qualità di persona offesa (che passa attraverso un’iniziativa volta a lamentare un danno o a chiederne il risarcimento), non essendo sufficiente la denuncia di un fatto, in quanto atto finalizzato soltanto a portare un determinato fatto a conoscenza delle autorità competenti e non ad avanzare pretese risarcitorie». (2).

Nello stesso senso avevano deciso i giudici di primo grado e respinto l’eccezione presentata. 

La Corte di Secondo Grado ha invece deciso di applicare la norma nel modo estensivamente formalistico ritenuto dalle difese, ansiose di trovare un cavillo che potesse consentire loro di difendersi dal processo, più che nel processo. 

L’imparzialità astratta del Collegio è stata ritenuta offuscata anche se nessun collega magistrato sia mai intervenuto formalmente ad assumere la qualità di parte offesa o danneggiata nel processo. La pronuncia ha effetti dirompenti proprio per i processi agli inquinatori: seguendo questa logica estremamente formalistica, gli inquinatori non potrebbero mai essere processati nei territori che inquinano. Portando la logica agli estremi, se un disastro doloso interessasse l’intero territorio nazionale (come ad esempio una fuoriuscita di radionuclidi radioattivi, come fu quella di Chernobyl, che interessò le atmosfere ed i territori di tutta Europa), non ci sarebbe Corte italiana che potesse riunirsi in giudizio contro di loro!

Quali sono le ragioni che hanno portato a consentire una simile estensione dalle estreme conseguenze? Occorrerà attendere le motivazioni che la Corte depositerà entro quindici giorni. 

Per ora rimane solo il dolore di un enorme schiaffo ai cittadini ed ai lavoratori tarantini, i quali pure dovevano aver riposto una qualche fiducia nel fatto che se un soggetto economico lede la salute e l’ambiente, calpestando norme e limiti con la compiacenza di autorità infedeli, in qualche modo debba essere punito o quantomeno fermato. 

Peraltro, valga ricordare che l’ipotesi di accusa era costruita su di un solido impianto probatorio di natura scientifica, oltre che su rilevanti intercettazioni che mostravano la collusione e la compiacenza delle autorità di controllo con la fabbrica inquinante. (3)

Di fronte alla tristezza del momento, torna in mente lo Sciascia del Giorno della Civetta, laddove faceva riflettere il capitano dei Carabinieri sull’enorme numero di omicidi per causa d’onore sentenziati in Sicilia, al tempo in cui l’omicidio passionale si pagava poco: 

Il delitto passionale, il capitano Bellodi pensava, in Sicilia non scatta dalla vera e propria passione, dalla passione del cuore; ma da una specie di passione intellettuale, da una passione o preoccupazione di formalismo, come dire? giuridico: nel senso di quella astrazione in cui le leggi vanno assottigliandosi attraverso i gradi di giudizio del nostro ordinamento, fino a raggiungere quella trasparenza formale in cui il merito, cioè l’umano peso dei fatti, non conta più; e, abolita l’immagine dell’uomo, la legge nella legge si specchia” (4)

Quel dolore dell’abolizione dell’immagine dell’uomo e dell’umano peso dei fatti è ciò che resta per ora a noi dall’epilogo di Venerdì 13 settembre nell’aula tarantina. Insieme a questo, lo sfogo di molti, per cui tanto asciutto formalismo sia molto lontano dall’idea di Antigone, la quale tutelava i diritti sostanziali contro la spietata fiscalità di Creonte. Un umano, amaro, ed erroneo convincimento, di un sapore metallico, che rimanda alle riflessioni di Pasolini e ai versi di De Andrè: “se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”?

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Note:

(1) https://www.marx21.it/italia/inizia-lappello-del-processo-ambiente-svenduto/

(2) Così il passo della sentenza di primo grado in https://www.giurisprudenzapenale.com/2024/09/14/processo-ilva-la-sentenza-di-primo-grado-sulle-eccezioni-di-incompetenza-funzionale-ex-art-11-c-p-p/

(3) cit. nota 1 : Come rilevato in un precedente scritto, l’equipe di periti allora incaricati dal GIP Todisco rispose affermativamente ai quesii circa la nocivita’ delle emissioni dello stabilimento pe la vita dei lavoratori e degli abitanti del distretto di Taranto, inclusi i comuni di Massafra e Statte, mettendo inoltre a punto una perizia basata su dati che poi hanno generato un vero e proprio studio epidemiologico, trasformatosi in articolo pubblicato e sottoposto a revisione paritaria in sede scientifica, nonche’ affiancato da altra letteratura sperimentale di conferma.

(4) L. Scascia, Il giorno della civetta, Einaudi 15ma ed. 1972, p. 110.

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